Quando a Bari imperversavano i ''topini'': intervista a M., pioniere dello scippo
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venerdì 16 febbraio 2018
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di Veronica D'Elicio
Ognuno di loro aveva un soprannome, erano lesti, furbi e velocissimi. Bastava un attimo di distrazione per ritrovarsi derubati, spesso con forza e violenza. Il termine “topino” derivava proprio dalla capacità da parte di questi giovani di intrufolarsi tra la gente per poi sgattaiolare via e scomparire nel nulla in qualche “buco”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E di fatto in quegli anni a Bari non ci si sentiva mai al sicuro: si faceva man bassa di tutto, ovunque e a qualsiasi ora del giorno. Poi nei decenni successivi gli scippatori pian piano sparirono, visto che cominciarono ad essere reclutati dai clan per essere utilizzati nel più florido spaccio di droga.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Noi siamo riusciti a incontrare uno dei primi borseggiatori della città, un pioniere: si tratta del 61enne M. di Bari Vecchia, attivo già dagli anni 70, quando a suo dire c’era tra i ladri ancora un po’ di “etica”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Quando ha compiuto il suo primo scippo?
Nel 1970, all'età di 13 anni, praticamente “per caso”. In quel periodo lavoravo come garzone in una macelleria del quartiere Libertà e un giorno mentre stavo andando a fare una consegna a domicilio mi accadde una cosa strana. Ero in sella a un motorino “Ciao”e dietro, avvinghiato a me, c’era mio fratello Nicola, più giovane di 5 anni. Mentre percorrevo via Ettore Fieramosca, nei pressi del Tribunale, lui allungò la sua gamba destra per sgranchirla ed ecco che questa si infilò nella tracolla della borsa di una signora di mezza età che in quel preciso momento stava attraversando la strada.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Tornaste indietro per restituire il maltolto?
In realtà io non mi resi conto subito dell'accaduto, ma capii che era successo qualcosa di anomalo perchè la donna iniziò a gridare “al ladro”. Mio fratello però mi chiese di accelerare. A quel punto imboccai una stradina per capire cosa fosse successo e mi fermai. Nicola rideva e teneva la borsa stretta a sé: ci guardammo e senza neanche parlarci decidemmo di tenerci la refurtiva, ovvero un portafogli e qualche spicciolo. Buttammo il contenitore e imbucammo i documenti in una cassetta della posta. Da quel momento diventammo dei topini di professione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Insomma anche voi capiste che c’era la possibilità di fare soldi facilmente…
Sì, la mia generazione fu la prima ad avventurarsi in questo genere di “lavoro”, che all’inizio era svolto esclusivamente da ragazzi di Bari Vecchia e del Libertà. Io lasciai la macelleria e iniziai l’attività di scippatore: durò tre anni, prima che mi dedicassi al contrabbando di sigarette.
Come funzionavano i furti?
Eravamo organizzati con motorini “truccati”, cioè potenziati per renderli così più veloci. Uscivamo la mattina presto, ci incontravamo e poi ci dividevamo per le vie della città, soprattutto del centro. Si agiva in coppia: uno guidava e l’altro dietro eseguiva lo scippo. Una volta presa la borsa si correva a grande velocità andandosi ad infilare nelle stradine di Bari Vecchia, lì dove all’epoca non entrava nessuno.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Avevate dei soprannomi?
Certo. Io mi chiamavo “Sang Sang”, poi c'erano “Mignolino” e “Nanetto”. Ma uno bravissimo, ormai morto da diversi anni, agiva con il suo nome: era Costanzo, ragazzo che raggiunse anche una certa notorietà grazie alla sua agilità e destrezza.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Eravate liberi o parte del bottino andava ai clan?
Assolutamente liberi, i guadagni erano troppo miseri per interessare alla criminalità organizzata. Noi comunque riuscivamo a campare con i nostri 2-3 furti al giorno: entravano in tasca dalle 1000 alle 2000 lire e se poi beccavamo qualcuno “della banca” potevamo riuscire a incassare anche 200-300 mila lire.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
In che senso?
Imparammo a fare gli appostamenti fuori dalle banche. Quelli più grandi entravano, osservavano tutti i movimenti e ci segnalavano chi aveva incassato, soprattutto commercianti che erano andati a cambiare gli assegni. A quel punto noi all’uscita lo inseguivamo e lo derubavamo, portandoci a casa un bel po’ di soldi. Ricordo che tra i nostri obiettivi “classici” c’era il Credito Italiano in corso Vittorio Emanuele.
Quindi colpivate sia uomini che donne…
All'inizio solo le borse delle signore. Poi iniziammo anche con gli uomini, infilando la mano nella tasca posteriore del pantalone con tale destrezza e delicatezza che la vittima nemmeno se ne accorgeva. Per questa attività venivano assoldati i ragazzi più piccoli: seguivano a piedi l’obiettivo e poi scappavano più veloci di un razzo. Attenzione: noi non usavamo la violenza, a differenza dei nostri “colleghi” che iniziarono anni dopo: loro strappavano le tasche con i coltellini.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Perché poi negli anni 80 cambiò tutto…
Io per fortuna smisi prima di quegli anni: un periodo in cui Bari diventò una città difficile, dove non si poteva più camminare. Con la diffusione della droga tra i più giovani di tutti i quartieri cominciò a rendersi necessario possedere sempre liquidità. Si rubava così di tutto: anche bracciali, collane e pellicce, avvalendosi anche della forza se necessario.
Non vorrà dirci che voi topini della prima ora agivate con “etica”...
Sicuramente, ad esempio non scippavamo mai gli anziani e le donne in gravidanza. E se a volte capitava che la signora di turno stringeva forte la borsa non insistevamo e andavamo via. E lo voglio sottolineare: mai abbiamo trascinato per terra qualcuno pur di derubarlo, come è avvenuto spesso negli anni a seguire. In più restituivamo sempre i documenti, imbucandoli nelle cassette della posta. Noi eravamo sì ladri, ma “gentiluomini”. Dopo di noi c’è stato solo “lo schifo”.
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Veronica D'Elicio
Veronica D'Elicio
I commenti
- antonio arky - Via Ravanas, Via Pizzoli, Via Fieramosca, corso Mazzini, ricordo una pizzeria di Mazzini e un "circoletto" di Via Napoli, ritrovo di topini, poi in effetti passati al contrabbando, anche se la storia di cui sopra pare abbastanza inverosimile o quantomeno romanzata.
- Giuseppe Calamita - Bell'articolo! Complimenti per questo sito; i suoi contenuti, le sue immagini. Una rivelazione! I topini di allora si sono diventati contrabbandieri, spacciatori e poi... ospiti nei condomini. Non si vestono come allora. Sarebbe interessante effettuare una ricerca per immagini; degli incroci (via P. Ravanas e via G. Bovio ad esempio) dove sostavano per rendere al meglio di come fossero.
- mario - Gli anni 70 racconterei, l'80 era già tutta un'altra storia. Mi piacerebbe raccontare, sopratutto degli abusi delle istituzioni, anche se devo dire che molti di noi si salvarono. Io c'ero, ne avrei da dire. Si, mi sono commosso.