Bari, la storia dei Pupillo: famiglia di pescatori da quattro generazioni
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lunedì 18 maggio 2015
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di Ilaria Milella
Lui a Bari è un’istituzione e il suo cognome è conosciuto da tutti coloro che bazzicano la zona tra i moli Sant’Antonio e San Nicola: pescatori professionisti, amatoriali e proprietari di pescherecci e piccoli gozzi. Del resto suo padre Vincenzo era capitano di pescherecci negli anni 40 e sono pescatori anche suo figlio, il 52enne Vincenzo e suo nipote, il 25enne Giuseppe (è evidente come nella famiglia Pupillo viga ancora la norma non scritta di dare al figlio il nome del nonno). Parliamo di persone che sono nate e cresciute nel porto, incuranti di i baresi piano piano si stiano allontanando dal proprio mare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Cominciai questo lavoro giovanissimo, mentre ancora l’Italia era coinvolta negli eventi drammatici della Seconda guerra mondiale – racconta l’anziano Giuseppe -. Nel 1943 ero al porto di Bari proprio mentre veniva bombardato dagli avieri tedeschi. Ricordo che ero occupato a tirare le reti in barca e d’un tratto le sirene annunciarono lo stato d’allarme. Quel giorno più di venti navi vennero affondate nel porto, molte avevano bandiera americana e noi le chiamavamo “le Libertine”».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Fino alla fine degli anni 40 l’azienda ittica che dava lavoro ai pescatori era la società Virmpesca dei fratelli Nicola, Andrea ed Attilio Mastronardi, i cui uffici avevano sede in via Venezia. Fiore all’occhiello della compagnia era il motopeschereccio “Sparviero”, la barca da pesca più grande a Bari a quell’epoca.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Il capitano era mio padre, Vincenzo Pupillo – sottolinea Giuseppe -. Da bambino salivo a bordo della nave per rubare i biscotti dalla cambusa. Ricordo mio padre come un buono, chiamava a lavorare con lui tutti, anche se non conoscevano il mestiere del pescatore, ma era un uomo che sapeva farsi rispettare da chi gli era sottoposto. Alla fine degli anni 40 l’azienda fallì a causa di alcune operazioni poco chiare – continua il pescatore - anche se mio padre aveva già abbandonato la Virmpesca da tempo e si era messo in proprio. Le barche dell’azienda rimasero attraccate al porto per molti anni, in attesa che un giudice tributario decidesse il loro destino».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Lo Sparviero rimase ancorato al molo fino al 26 novembre del 1955, giorno in cui una violenta mareggiata spezzò gli ormeggi della barca e, nonostante numerosi tentativi di portarla in salvo da parte di volontari, vigili del fuoco e pescatori accorsi sul posto, si andò a schiantare sul lungomare nei pressi di "N' derr la lanz", rovesciando lampioni e distruggendo parte del manto stradale (vedi foto galleria). Lo Sparviero rimase incastrato tra il basso fondale e il lungomare per mesi e mesi fino a quando, nel febbraio del 1957, la Capitaneria di Porto fece rimuovere il relitto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Negli anni 50 il posto della Virmpesca venne preso dalle ditte degli Amoruso e dei De Giosa. Le due imprese erano entrate in commercio con poche barche, tre per l’Amoruso e cinque per la De Giosa, espandendosi nel corso di quel decennio. La loro sede commerciale era in un palazzo proprietà della Capitaneria di Porto situato presso il molo Pizzoli.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Io ero stato assunto dai De Giosa – ci racconta Pupillo -. A 18 anni ero già diventato capopesca e facevo avanti e indietro tra Bari e Lampedusa alla ricerca di tonni e pesce spada. Ogni tre giorni caricavamo fino a trecento cassette e facevamo scalo a Siracusa per i rifornimenti. A quell’epoca il pesce non veniva trasportato da aerei o altri mezzi, eravamo noi pescatori a catturarlo dalle profondità abissali, inoltre nelle acque dell’Adriatico non si trovavano molte specie e quindi eravamo costretti a spingerci fuori, facilitati dal costo relativamente basso del gasolio. Navigare fino a Lampedusa era considerato molto rischioso, il mare era spesso in burrasca, poche barche si spingevano fin lì e provenivano quasi tutte da Mazara del Vallo in Sicilia, ma gli unici ben organizzati eravamo noi baresi. Il nostro era un mestiere pericoloso – dice ancora l’uomo - ma quello che volevo era vedere terre sconosciute, ero giovane e desideravo l’avventura. Rimasi con i De Giosa fino al 1959, non prima di aver provato l’ebbrezza di andare a pescare calamari e seppie fino nell’oceano Atlantico, fin quando riuscii a mettermi in proprio».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Da allora la famiglia Pupillo è proprietaria di tre pescherecci ormeggiati nei pressi del molo Sant'Antonio, uno dei quali, il Nicolaus, è stato sorteggiato quest’anno per trasportare la statua di San Nicola in mare durante la celebrazione della festa patronale. Con il vecchio pescatore lavorano il figlio e il nipote.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Amo il mio lavoro, del resto per scegliere questo mestiere difficile bisogna essere fortemente motivati, quasi innamorati - afferma il 52enne Vincenzo Pupillo, figlio di Giuseppe Pupillo -. Nel 2002 mi fu diagnosticata un’ernia del disco e i medici mi vietarono di continuare a pescare, fui operato e per un anno affrontai un periodo di depressione. Ma lo superai e ritornai a mare. Essere sorteggiati per trasportare la statua di San Nicola è una di quelle cose che mi ricompensa dei sacrifici fatti dieci anni fa. Sono fiero di ciò che faccio – continua l’uomo -. I Pupillo sono da quattro generazioni sul mare, da mio nonno Vincenzo comandante dello Sparviero, a mio padre Giuseppe che valicava i confini del Mediterraneo fino a me. È parte della nostra identità e spero di aver passato la mia passione anche a mio figlio Giuseppe, che oggi collabora con noi».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica)
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Ilaria Milella
Ilaria Milella
I commenti
- Gaetano - Un pezzo di storia nostrana intrisa di interessanti ricordi e storia di vita vissuta, davvero grazie ai Pupillo per aver rilasciato l'intervista e alla giovane giornalista per averci lavorato e riportato foto dei giornali dell'epoca. Ottimo articolo!
- nicola - "Navigare fino a Lampedusa era considerato molto rischioso, il mare era spesso in burrasca, poche barche si spingevano fin lì e provenivano quasi tutte da Mazara del Vallo in Sicilia, ma gli unici ben organizzati eravamo noi baresi". Come non paragonare questa affermazone allo spirito di quei 62 marinai che nel 1087 portarono le reliquie da Myra a Bari, percorrendo quasi 5000 km in andata e ritorno, senza bussola ma armati di coraggio, esperienza conoscenza delle stelle e forse qualche portolano.
- nicola - Ero molto piccolo, 3 , 4 anni e ricordo questa imbarcazione, naufragata sul lungomare. Quando ho letto l'articolo tutto è tornato alla mia memoria apprendendo i dettagli di una storia che altrimenti non avrei mai conosciuto. Grazie per questo recupero di memoria.
- nicola - perche non andate a cercare nel archivio la storia del pescereggio natale senior.della ditta de giosa.io cero nel 1969 a brdo.. grazie
- Francesco - Confermo la straordinaria vita marinaresca della famiglia Pupillo. Ho avuto il piacere di conoscere personalmente sia Giuseppe padre,Vincenzo e Giuseppe figlio e ne sono fiero perché oltre ad essere onesti lavoratori sono persone straordinariamente gentili e disponibili. La mia stima è rivolta a loro ed alle loro famiglie.
- Carlo - Mio padre lavorava con la ditta DeGiosa a Bari in quel tempo e fino al 1966 e mi parlava spesso i viaggi a Lampedusa con i piroscafi di DeGiosa , lui era il motorista / elettricista su quelle nave Sebastiano A. detto Semino .