Terma romana, rifugio, catacomba: Ruvo nasconde la millenaria grotta di San Cleto
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mercoledì 9 luglio 2025
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di Antonio Fiamma - foto Rafael La Perna
Siamo quindi andati a visitare la millenaria grotta in occasione dell’evento “Rose e Rosati” organizzato dalla Pro Loco. (Vedi foto galleria)
Ci troviamo in largo San Cleto dinanzi alla chiesa del Purgatorio, costruita nel ‘600 unendo il precedente tempio religioso dedicato a San Cleto a dei palazzi adiacenti. Per questo oggi l’edificio ci appare con il suo aspetto poco “classico”, caratterizzato altresì dalla presenza di due navate al posto di una, tre o cinque.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
All’interno sono diversi i segni della devozione a San Cleto: il terzo Papa della storia. Ad esempio la volta dell’antica navata, affrescata con scene del martirio del santo avvenuto secondo la tradizione nel 92 d.C. E poi una pala d’altare del 1537, nota come il polittico della Madonna della Margherita o della Madonna con il Bambino tra i Santi Cleto e Biagio, realizzata dal misterioso pittore ZT.
Memorie di un tempo in cui San Cleto era fortemente venerato in paese, prima di cedere il posto nel cuore dei fedeli da San Rocco e da San Biagio, attuale patrono.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma il tesoro della chiesa si nasconde nel sottosuolo. Accediamo quindi alla sagrestia dove una stretta scalinata ci conduce a sette metri sotto il manto stradale: nella Grotta di San Cleto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L’ipogeo si presenta come un ampio vano a pianta rettangolare di circa 90 metri quadri scavato nella roccia e nel tufo, con pareti realizzate con tecnica edilizia mista e volta a botte alta circa 3,30 metri. L’ambiente è diviso da due archi trasversali in tre campate e scandito da quattro pilastri.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Siamo lì dove leggenda vuole si riunissero i primi cristiani ruvesi sotto la guida di San Cleto, religioso che venne nominato vescovo di Ruvo da San Pietro in persona, nella visita di quest’ultimo al paese avvenuta durante un viaggio da Gerusalemme a Roma.
In realtà nel 2002, durante le operazioni di rilievo dei danni subiti dal terremoto di San Giuliano, il luogo si rivelò essere altro: una cisterna romana del II secolo d.C. che riforniva il sovrastante impianto termale emerso proprio durante i lavori di consolidamento della struttura.
«I romani erano dei validissimi ingegneri - illustra la guida turistica Vittoria Caifasso -. La cisterna presenta infatti grandi bocche da cui si attingeva l’acqua, condotti in creta che la purificavano e che la immettevano nel complesso termale. Oltre a pareti impermeabilizzate con mattoni in cotto rivestiti da uno strato di malta per evitare dispersioni di acqua. Geniale è poi il sistema antisismico, realizzato con la tecnica dell’opus reticulatum: i blocchi di pietra romboidali che vediamo, disposti a formare un reticolo, sono in realtà dei coni con le punte infisse nella muratura».
Proseguiamo in fondo al vano. Alle nostre spalle, su un altare posto in una nicchia in pietra ricavata da un pilastro, si erge la statua di San Cleto benedicente: segno che la grotta servì in seguito come luogo religioso, forse una catacomba. I recenti lavori di restauro hanno infatti portato alla luce tre camere funerarie.
Seppur il busto e la fisionomia ricordino le statue romane, la scultura è di molti secoli più tardi, databile tra il XIV e il XVI secolo. La testa e il braccio, in pietra leccese, sono aggiunte successive volte a riprodurre le sembianze del santo, come i realistici occhi in pasta vitrea. Il foro sul petto conteneva una reliquia, trafugata chissà quando.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
C’è da dire che la grotta nel corso dei secoli ebbe più volte la funzione di rifugio. Durante le invasioni barbariche dei Goti nel V secolo e dei Saraceni nell’VIII secolo i ruvesi si riunirono infatti qui per scampare alle violenze dei popoli stranieri. Una funzione, quella di riparo, che fu assolta dall’ipogeo anche negli anni della Seconda guerra mondiale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«A tal proposito - interviene Vittoria - c’è chi sostiene che quel grosso buco nel muro che vedete servisse come cunicolo utile alla fuga, portando sino alla Chiesa di Sant’Angelo distante 400 metri da qui».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Non ci resta ora che risalire, ma prima durante il percorso ci fermiamo a visitare il livello intermedio tra la grotta-e la chiesa soprastante: quello che duemila anni fa ospitava i veri e propri ambienti termali romani. Qui, a tre metri di profondità, è possibile ammirare resti della pavimentazione a mosaico con tessere monocrome in calcare realizzata con la tecnica dell’opus tessellatum.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Si presume che questa fosse una zona del paese abitata da persone benestanti, dato il ritrovamento di una domus patrizia nell’ipogeo della vicina Cattedrale – conclude la guida –. Ed è quindi qui, che nel II secolo dopo Cristo, tra calidarium, frigidarium e tepidarium i ruvesi venivano a rilassarsi godendo della calda acqua termale della grotta di San Cleto».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
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