di Francesco Sblendorio

Bari, alla scoperta di "Santo Spiriticchio": rione nel rione dall'antico passato bucolico
BARI – Un minuscolo "rione nel rione" che già nel nome sembra volersi collegare e al tempo stesso distinguere dal centro abitato più vicino. È “Santo Spiriticchio”, ovvero “piccola Santo Spirito”: una zona del quartiere di Bari che racconta di una realtà storicamente a sé stante, fatta di campi e pascoli e lontana dalla vocazione marinara dell’ex frazione. (Vedi foto galleria)

L’area, posta a nord del porticciolo di Santo Spirito, si presenta come un quadrilatero compreso tra il lungomare Cristoforo Colombo e le vie Caladoria, La Volpe e Berlinguer. Qui, di fronte all’Adriatico, fino agli anni 50 dominavano stalle e povere case in pietra, sostituite nei decenni successivi da villini e palazzine che hanno trasformato il luogo in una sorta di quartiere di villeggiatura. Ma tra chiesette, fontanelle, vecchie scuole e abitazioni degli allevatori, il tempo non ha cancellato del tutto le tracce del passato bucolico.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Per visitare Santo Spiriticchio partiamo dall’ingresso del Lido Cala d’Oro, sorto intorno agli anni 70. Da qui imbocchiamo via Almirante che si inerpica perpendicolarmente al lungomare. Su entrambi i lati vediamo edifici a un piano, con le porte che danno direttamente sulla strada, ma molte di queste sono chiuse: si popoleranno solo con l’arrivo della bella stagione e delle vacanze estive.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Circa a metà della via abita l’80enne Nicola Bonasia, residente storico di Santo Spiriticchio. I suoi ricordi ci portano a 70 anni fa. «Negli anni 50 – esordisce – questo era un luogo lontano dal borgo di pescatori e caratterizzato da distese di terra e fango. Ci vivevano solo i pastori che allevavano pecore, mucche e cavalli e i contadini che coltivavano campi di pomodori».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La stessa attuale residenza di Nicola era adibita in parte ad abitazione e in parte a stalla. È uno degli edifici dell’epoca rimasti fino a oggi. Gli altri, sulla medesima strada, sono la palazzina a fianco a casa Bonasia, i primi tre bassi fabbricati che si incontrano su via Almirante accedendo dal lungomare, un altro poco più avanti che sopra la porta reca ancora l’iscrizione “1954” e un’ultima costruzione che negli anni 50 ospitò una famiglia foggiana sfollata a causa della guerra. «Hanno quasi tutti i muri esterni in pietra a vista – ci fa notare la nostra guida -, anche se nel tempo sono stati tutti ristrutturati e rimodernati».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Da via Almirante ci spostiamo ora sulla parallela via Caladoria. Presenta un susseguirsi di palazzine moderne a uno o due piani, residenze monofamiliari e villini. Ma non mancano due importanti testimonianze del passato. Prima di tutto un bianco edificio, oggi ridotto quasi a rudere, con gli ingressi sbarrati da assi di legno. Le sue porte a metà del 900 si aprivano ogni giorno per i pochi bambini della comunità del quartiere. Troppo lontana per loro era infatti la scuola di Santo Spirito, per cui una maestra veniva qui a tenere le lezioni in due fredde stanzette.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Poco più avanti ecco una fontanella in ferro, con il simbolo del fascio littorio in bella vista. «Qui non arrivavano le condutture dell’Acquedotto Pugliese – spiega ancora Nicola – e le uniche fonti di approvvigionamento erano questo cape de fiirre e un altro simile su via Napoli, oggi scomparso».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


La disponibilità d’acqua era talmente limitata che non ve ne era a sufficienza neppure per lavare il bestiame. «Gli animali venivano portati direttamente in mare – ricorda l’80enne – sfruttando le correnti sorgive fredde e pulite di questo tratto del litorale».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Tornando sul lungomare notiamo sulla sinistra un recente complesso di palazzine. Ha preso il posto dopo il 2000 della sala ricevimenti Saint Tropez. Fu questa, aperta negli anni 60, a segnare la svolta per Santo Spiriticchio. Per la prima volta si abbandonava la vocazione pastorale e si creava uno spazio per le famiglie più abbienti provenienti da fuori. «L’inaugurazione del Tropez – precisa Nicola – dette l’impulso allo sviluppo edilizio dei decenni 60-70, quando molti forestieri, soprattutto bitontini, costruirono qui le proprie residenze estive».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La Santo Spiriticchio dei contadini e degli allevatori cedette quindi progressivamente il posto al luogo di villeggiatura. La metamorfosi “vacanziera” segnò un nuovo importante passo quando sul lungomare, nei pressi dell’attuale pizzeria Miramare, vennero realizzati un hotel e un night club. Ma da quest’ultimo negli anni 80 si propagò un devastante incendio che mandò a fuoco anche l’intera struttura ricettiva. Il suo scheletro annerito fu abbattuto solo molti anni dopo per far posto a nuovi condomini.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il boom edilizio portò alla costruzione di altre palazzine su via La Volpe, la larga strada che lascia il litorale all’altezza della citata pizzeria e si arrampica ripida verso via Berlinguer. Mentre la prima è caratterizzata da una serie di edifici dalla facciata biancastra, la seconda è popolata prevalentemente da villini. Nell’ultimo tratto che precede l’incrocio con il lungomare, però, via Berlinguer offre un poco nobile spettacolo di degrado.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A cominciare da un immobile disabitato dotato anche di una piscina prosciugata sui bordi della quale giacciono vistosi rifiuti. Per proseguire poco più avanti con un’ampia area abbandonata su cui per pochi anni, fino a circa un lustro fa, fu attivo il ristorante Bel Ami, dotato di spazi all’aperto e gonfiabili per i bambini. Di tutto ciò ora resta solo un rudere privo di porte e finestre e la sterpaglia che cresce mangiandosi il cortile esterno. E non sono gli unici casi di incuria che hanno minato la strada verso la modernità di Santo Spiriticchio. Basta tornare su via Almirante e via Caladoria per notare gli scheletri di costruzioni iniziate e mai finite, di cui rimangono solo i muri in mattoni a vista e l’erbaccia che vi prolifera attorno.  

Nonostante tutto però la piccola comunità del quartiere, che a metà del 900 non superava le 50 unità, ora in estate arriva a toccare i 500 abitanti. Negozi e bar non ci sono, ma esiste un centro di aggregazione divenuto simbolo di Santo Spiriticchio: la chiesetta dedicata all'Assunzione della Vergine Maria in fondo a via Almirante. Niente più che uno stanzone rettangolare, accessibile da una porta in ferro e dotato di un piccolo campanile.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Già presente negli anni 50 e poi abbandonata, fu riaperta nel 1970 su iniziativa proprio di Nicola Bonasia. Oggi vi si dice Messa una volta a settimana nei mesi estivi. Al suo interno vediamo un altare, i banchi disposti sui lati, una corda per suonare la campana e, sulla sinistra, la statua della Vergine Maria.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«È la “nostra” Madonna, quella che abbiamo sempre portato in processione – rivendica l’anziano –. Ogni 14 agosto conduciamo in corteo la statua e organizziamo una cena a cui sono invitati tutti i residenti». Sì perché, nel suo piccolo, Santo Spiriticchio non si fa mancare una sua festa patronale: naturalmente diversa da quella che si celebra nella “grande” e “lontana” Santo Spirito.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

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