di Giulia Mele - foto Christian Lisco, Valentina Rosati

Chiese opulente, palazzi eleganti e un amatissimo patrono: alla scoperta di Montrone
ADELFIA - Una cittadina formata da due ex paesi storicamente autonomi, uniti nel 1927 in un unico comune e costretti da quasi cent’anni a una curiosa convivenza forzata. È Adelfia, centro a sud di Bari, della quale due settimane fa esplorammo il rione Canneto. Oggi è arrivato il turno dell'altra anima del borgo, quella più antica: Montrone, che può rinfacciare ai “rivali” un'opulenta chiesa matrice, eleganti palazzi e un amatissimo e patrono. (Vedi foto galleria)

La sua storia comincia cento anni prima rispetto a quella di Canneto: era infatti il 982 quando Roni Sansech, commerciante di bestiame greco, decise di insediarsi su un'altura del posto. Il venditore era in fuga da Bari, invasa dai Longobardi e dette così vita al "Mons Roni", villaggio che nel XII secolo venne poi trasformato in feudo da Guglielmo II di Sicilia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Nei secoli successivi l'area fu dominata da diverse famiglie nobiliari, su tutte quella dei baresi Dottula (dal 1339 al 1417) e dei Bianchi, originari di Bologna, a partire dal 1690. Due stirpi destinate a unirsi: nel 1700 Luigi de Bianchi sposò Francesca, ultima discendente dei Dottula, acquisendo un doppio cognome tuttora legato a una delle più belle residenze di Bari Vecchia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La nostra visita a Montrone comincia in via Vittorio Veneto, lì dove si trova un grazioso ponticello che collega (e divide) i due quartieri. Dal viadotto basta incamminarsi per duecento metri verso est per incontrare la prima sorpresa: l'entrata secondaria del Palazzo marchesale, i cui proprietari risiedono fuori e tornano raramente in paese, rendendo di fatto difficile l’esplorazione dell'edificio (ma che siamo riusciti a viitare in seguito).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ci accontentiamo di osservare l'esterno di quello che viene comunemente chiamato "castello", con una massiccia torre angolare che affianca l'entrata e si lascia coprire da una rigogliosa vegetazione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Sulla parete laterale destra compare una targa che ricorda Giordano de Bianchi Dottula, esponente del casato famoso per la sua attività di politico e letterato. La dicitura riportata è però sbagliata. «C'è scritto che il nobile nacque nel 1872 e morì nel 1946 - avverte Gerardo Torres, la nostra guida -, ma in realtà vide la luce nel 1772 e spirò nel 1846».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Non vi sono dubbi invece sull'epoca della costruzione della residenza: venne eretta tra il 1390 e il 1396 per volere di Nicolò Dottula al posto di un grande frantoio, subendo poi numerosi restauri. Fu Giambattista Galeoti, patrizio napoletano che nel 1519 aveva acquistato il feudo, a trasformarla definitivamente in dimora gentilizia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Proseguiamo lungo via Vittorio Veneto per un altro centinaio di metri. Sulla sinistra appare l'arco di accesso al centro storico del rione: una struttura color sabbia arricchita da cornicioni e decorazioni in pietra bianca. Si sviluppa in tre livelli: il primo, col suo bugnato decorativo sormontato dallo stemma del borgo e la data di realizzazione dell'opera (1881), il secondo che accoglie una scultura a bassorilievo raffigurante la pietà e quello superiore, sede dell'orologio e della statuina di San Trifone, protettore di Montrone.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Esitiamo per un attimo nel varcare l'arco perchè a pochi passi più avanti, in corso Umberto I, si affaccia l'affascinante palazzo Angiuli. L'immobile fu fondato alla fine dell'800 ed è contraddistinto da quattro colonne che racchiudono il portone e reggono l'unico elegante balcone. In cima al suo ingresso spicca il capo della dea Minerva.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Torniamo indietro per passare quindi sotto la porta della città vecchia, ritrovandoci in via Santa Maria del Principio. La strada prende il nome dall'omonima chiesa che sorge sul lato destro, la più antica di Montrone: risale infatti al 1086. Presenta un'architettura semplice, con una facciata in pietra e un campanile a vela che si innalza alle sue spalle.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


«La sua denominazione – ci spiega Torres - è legata a un affresco della Natività realizzata in una grotta,  cavità sopra la quale venne costruito il tempio. L'opera, creata da un sacerdote greco, venne poi rimossa da Galeoti e collocata all'interno dell'edificio». Il luogo sacro è però chiuso, per cui non ci è possibile ammirarlo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Proseguendo in via Santa Maria del Principio si oltrepassa un altro arco che riprende l'estetica di quello principale, con l'aggiunta però di una balaustra superiore decorativa. Giriamo quindi a destra in via Chiesa Madre, in fondo alla quale appare l'imponente sagoma della chiesa principale del quartiere, dedicata a San Nicola di Bari ed eretta nel 1706 al posto di una cappella crollata.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«La facciata del luogo di culto, in stile classico, è scandita da tre livelli – ci illustra l’architetto Paolo Tupputi -. I primi due a partire dal basso sono delimitati da quattro lesene di ordine composito, che sorreggono una trabeazione composta da un architrave tripartito in cui si alternano triglifi e motivi floreali. L’ultimo invece consiste in un grande timpano triangolare. E in due nicchie poste ai lati del portale spiccano due affreschi di San Nicola e San Rocco».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma a sbalordire il visitatore sono gli interni dell'edificio, che si sviluppano in un'unica luminosa navata. Su entrambi i lati fanno capolino tre cappelle coperte da archi a tutto sesto e divise da lesene con capitelli ionici in oro zecchino. Dello stesso pregiato materiale sono le decorazioni floreali del soffitto, sul quale spiccano quattro affreschi del pittore molfettese Saverio Calò che riprendono altrettanti epidodi della Bibbia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Nella cappella a destra, quella più vicina all'altare, balza all'occhio la statua del "festeggiatissimo" patrono San Trifone, vestito da guerriero romano, che ogni 10 novembre viene portata in processione per le strade del borgo, sede per l'occasione di un famoso spettacolo pirotecnico.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Con la mano sinistra regge una lancia che infilza una cavalletta: un particolare che ricorda la mancata invasione dei temibili insetti del 1783, che salvò i raccolti dei montronesi e venne attribuita ai poteri del martire. Ai lati il santo è ritratto anche in due tele del 1922 realizzate da Michele Montrone, una in cui ne viene commemorata l'uccisione e l'altra nel quale lo si vede a protezione del paese.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ci avviciniamo all'altare, sovrastato da un arco trionfale a tutto sesto recante lo stemma di Montrone: tre colline con in cima una croce latina affiancata da due stelle, simboleggianti la religione cristiana e da altrettante lunette, che omaggiano invece l'islamismo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Sulla sinistra adocchiamo la porticina che conduce nella sagrestia, dove è conservato il dipinto di San Trifone portato in processione la sera prima della festa patronale e soprattutto una reliquia del martire: un dito, incastonato in reliquiario argentato. «Poter conservare solo un dito è motivo di scherno da parte dei cannetani - sottolinea la nostra guida -, i quali invece conservano quasi tutte le ossa del loro patrono, vale a dire San Vittoriano».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Usciamo dalla chiesa fiancheggiandone il lato sinistro, quello che insiste su piazza Papa Leone XIII. Sullo slargo si affacciano altri due magnifici edifici: il gemello di Palazzo Angiuli e l'ottocentesco Palazzo Macchia, eretto in stile liberty.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Infine torniamo a percorrere via Santa Maria del Principio, che subito cambia nome in piazza Mercato. Da qui esploriamo le ultime due traverse. La prima è via Marchese di Montrone, in fondo alla quale spunta l'accesso principale al predetto Palazzo marchesale, sovrastato dallo stemma dei Dottula. Accanto all'ingresso è visibile l'entrata alla cappella di San Rocco, risalente al 1709, sede dei battesimi di tutti i discendenti dei Bianchi Dottula.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La seconda strada è via Nicolò Dottula, che riserva un'ultima sorpresa: un arco che segna l'accesso settentrionale del centro storico, abbellito con un gigantesco murales del 2019. Il soggetto ritratto? Ancora lui, ovviamente: San Trifone, il "custode" che protegge Montrone da ogni “sventura”, cannetani compresi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

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