di Federica Calabrese

La storia di Palazzo Nitti-Valentini, che a Bari Vecchia tutti chiamano "du Calandrìidde"
BARI – A Bari Vecchia lo chiamano tutti il palazzo “du Calandrìidde”, perché fu sede per tutto il 900 dell’omonima “cantina” dove si vendeva il vino sfuso. Ma Palazzo Nitti-Valentini (questo il suo vero nome) è stato soprattutto un convento e una residenza nobiliare ed oggi ci appare come un gioiellino dal grande fascino seppur bisognoso di serie ristrutturazioni. (Vedi foto galleria)

L’edificio si trova in piazzetta dei 62 marinai e domina uno degli incroci più frequentati del centro storico. Si erge infatti alla fine della trafficata strada delle Crociate, famosa per le colorate bancarelle e a due passi dall’arco Angioino che conduce alla Basilica di San Nicola.

A due piani, lo stabile è caratterizzato da un portale ad arco sorretto da due massicce colonne doriche e arricchito dall'alternanza di bugne piane e coppie di bugne a punta di diamante. L’accesso è poi sormontato da un architrave con bassorilievo in pietra della Madonna col Bambino e dall’epigrafe in latino sub tuum praesidium sancā dei genitrix ("sotto la tua protezione Santa Madre di Dio").Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La scritta, assieme ad altre due incisioni più piccole situate sotto due croci su globi, annuncia l’ingresso a quello che doveva essere un antico luogo sacro. Il palazzo, costruito nel 500, si dice infatti sia stato originariamente un monastero, lì dove avrebbe anche alloggiato Papa Sisto V venuto in pellegrinaggio a Bari per venerare le spoglie di San Nicola.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma la sua vita “ecclesiastica” non durò in eterno. Due secoli più avanti il convento venne abbandonato, per poi essere comprato e restaurato nel 700 dai Nitti-Valentini, ricchi mercanti che stabilirono qui, per oltre un secolo, la propria residenza.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Nell’800 però, con la costruzione del borgo murattiano, le famiglie nobili lasciarono il centro storico e gli antichi palazzi cominciarono ad essere abitati dal popolo. L’edificio divenne così un “condominio” (ciò che è ancora oggi) e all’inizio del 900 fu anche sede di una rinomata “cantina” dove si vendeva il vino a barivecchiani e pellegrini.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Fu il signor Gaetano Dentamaro ad aprirla – ci racconta Michele Fanelli, esperto di tradizioni locali - e lui era così fiero della sua attività che ogni giorno si affacciava fuori dal portone per decantare le lodi del suo “nettare degli dei”. La sua voce era tanto alta che fu ben presto soprannominato “calandrìidde”, ovvero colui che cinguetta come una calandra, l’uccello canterino».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Da qui l’appellativo del palazzo, che mantenne il suo nomignolo per tutto il 900, visto che la cantina alla morte di Gaetano fu prima rilevata dai figli e poi da alcuni dipendenti. Tra questi Ferdinando Allegrezza, che portò avanti la gestione fino all’inizio del nuovo millennio, quando i locali dell’esercizio commerciale furono destinati a bed and breakfast.


Non ci resta ora che varcare la soglia. Ci immergiamo così in un grande atrio sulle cui pareti laterali notiamo alcuni anelli in ferro che un tempo servivano per legare i cavalli. La stessa pavimentazione a pietre irregolari mostra ancora i solchi lasciati dalle ruote dei carri. Tavolini neri in plastica, biciclette e motorini, invadono però l’antico ambiente, quasi “spogliato” della sua sacralità originaria.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma di fronte a noi ecco che si rivela uno scenario del tutto diverso e incantevole: una scala in pietra e un elegante loggiato a due ordini rievocano la presenza della famiglia nobile che qui ha vissuto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La gradinata divide i due livelli: il piano terra, immediatamente visibile, è formato da tre archi impostati su pilastri quadri a bugne. Solo quello centrale dà accesso però alla scalinata mentre i laterali sono chiusi da cancellate in ferro. Due stemmi bianchi in pietra e tre aperture circolari regolari completano l’arredo subito al di sopra delle arcate.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Percorriamo così la scalinata accerchiata da pallide pareti color crema. Al primo piano osserviamo altri tre archi retti su colonne tuscaniche: i capitelli sono però parecchio danneggiati e messi in sicurezza grazie a fascioni in ferro arrugginiti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A catturare la nostra attenzione però è la presenza in una nicchia di un grande affresco, deteriorato in più punti: raffigura la Madonna, Elisabetta, San Zaccaria e San Giuseppe. Non sappiamo con esattezza a che età risalga, ma i vermigli panneggi della Vergine e il velo ocra di Elisabetta dominano la scena, lasciandoci immergere nell’atmosfera sacra dell’incontro tra i santi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Al di sotto una statuetta in ceramica di San Pio circondata da vasetti con fiorellini rosa e bianchi è invece testimonianza di un culto tutto contemporaneo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Continuiamo a salire. Un rosone tondeggiante sormontato da un piccolo architrave in pietra svetta sulla sporca parete di fronte a noi: ecco un’altra traccia superstite dell’antico convento. Da qui spunta anche una stella di Natale. «Ogni anno in occasione delle festività - ci racconta ancora Fanelli – io ed altri barivecchiani allestiamo la piccola balconata con luci e decorazioni, esponendo anche una piccola natività all’interno».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Alziamo ora lo sguardo al soffitto per lo spesso solaio ligneo, disegnato con tempere e datato fine 800/inizio 900. La balconata del primo piano, sostenuta da colonnine, si affaccia sulle stanze riservate ad alloggio turistico. Mentre salendo al secondo livello, tra biciclette rotte e mattoni in pietra accatastati, abbiamo infine la visione dall’alto del cortile interno, lì dove un tempo “u calandrìidde” celebrava e magnificava la bontà del suo vino.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)


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Federica Calabrese
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  • Francesco Quarto - Ottimo servizio, ben corredato da belle immagini. Continuate così, per tanti altri edifici storici della città vecchia. Un solo appunto, ma non diretto a voi di Bari Inedita. Mi risulta che le varie soprintendenze dei beni culturali siano piuttosto ostili a consentire lavori di "abbellimento" delle strutture architettoniche. Non sono un tecnico, storico dell'arte o architetto, ma mi chiedo, da cittadino, se sia preferibile il mantenimento di una struttura in continuo degrado (e le foto illustrano la situazione e la condizione) o piuttosto transigere al rigore "normativo", forse mutuato da Cesare Brandi?
  • Vittorio Cesana - sempre interessante


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