Un "libro di storia in pietra": il Castello Marchione, simbolo della nobile Conversano
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mercoledì 22 maggio 2019
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di Giancarlo Liuzzi - foto Valentina Rosati
Facciamo un passo indietro. È il 1054 quando il condottiero normanno Goffredo d’Altavilla assume il titolo di comes di Conversano trasformando il casale Cupersanem nel fulcro di un’ampissima contea che arriverà a comprendere buona parte della Puglia, da Bari a Nardò, rendendola il feudo più vasto di tutto il Meridione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma sarà solo nel XV secolo, sotto il dominio della casata Acquaviva d’Aragona, che Conversano raggiungerà il suo massimo splendore, grazie all’opera di grandi cavalieri, santi, letterati e artisti. Una stirpe (paragonata per il suo mecenatismo ai Medici di Firenze), le cui gesta è possibile ripercorrere per intero proprio visitando il Castello Marchione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Per raggiungere la tenuta dal centro cittadino è necessario imboccare la provinciale 101 per Putignano, strada che dopo 6 chilometri affianca le colonne in pietra che danno il benvenuto al maniero. Superato l’ingresso ci ritroviamo così lungo un viale alberato: conduce a un portale in pietra avvolto nell’edera, il cui arco ci porta al cospetto del castello.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il “Marchione”, la cui sagoma si staglia su un placido prato all’inglese dal colore verde intenso, si presenta su due livelli, una pianta rettangolare e quattro piccole torri agli angoli. Incantano la perfetta simmetria, l’ordinato sviluppo delle sue forme e soprattutto l’elegante doppia scala balaustrata centrale. Quest’ultima conduce a un patio arricchito da tre arcate che poggiano sui capitelli di slanciate colonne.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«La prima parte dell’edificio risale alla fine del 400 – ci spiega il 50enne Michele Forte, uno dei proprietari -. Fu costruita come torre di avvistamento per poi essere ampliata nei secoli successivi. Il piano superiore ad esempio è del 1650. Nell’800 il castello entrò in una fase di crisi a causa del trasferimento dei nobili a Napoli: divenne persino una masseria, per poi essere rivalorizzato e ristrutturato a metà del secolo scorso dagli ultimi discenti degli Acquaviva d’Aragona».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Non ci resta ora che entrare. Dopo aver dato uno sguardo al livello inferiore, adibito a ricevimenti ed eventi, saliamo la scala predetta per giungere al piano nobile, introdotto da uno splendido patio decorato con eleganti statue femminili in pietra. Da qui su è possibile ammirare il giardino che avvolge il castello e i due corpi di guardia situati di fronte alla facciata.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Attraverso una porta accediamo ora al salone: una grande stanza dominata dal soffitto in legno su cui è disegnato lo stemma degli Acquaviva d’Aragona. L’ambiente è arredato con mobili d’epoca, tra cui alcune poltroncine che si dice siano state realizzate con la pelle di alcuni prigionieri. Non sappiamo se la storia risponda al vero, ma di certo alcuni documenti attestano che un abate, inviato come sicario a uccidere un membro della casata, fu catturato e scuoiato: con i suoi resti fu realizzato un macabro trofeo poi esposto nel Castello di Conversano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Al centro del salone domina la scena il grande quadro di Giangirolamo II Acquaviva d’Aragona, detto “il Guercio”, uno dei maggiori esponenti della famiglia vissuto nel XVII secolo. «Nonostante le leggende che lo dipingono come un uomo malvagio, fu lui che contribuì alla fondazione di Alberobello – sottolinea Forte - e sua sorella Donata divenne un’importante badessa mitrata del monastero di San Benedetto».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Visitiamo le sale laterali, dove tra quadri, mobili e particolari oggetti quali un gabinetto in legno, fanno bella mostra numerosi volumi antichi. Michele ne apre uno dalla copertina riccamente istoriata. «E’ il libro firme del Castello – spiega -, con il ricordo di tutte i reali che qui hanno soggiornato».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma è ora arrivato il momento di fare un vero salto indietro nel tempo. La nostra guida con molta cura prende da alcuni cassetti preziose e dettagliate pergamene risalenti a oltre cinque secoli fa. Si tratta di documenti tramandati di generazione in generazione, fino al principe Fabio Tomacelli Filomarino Acquaviva d’Aragona, ultimo conte di Conversano, morto nel 2003 senza eredi.
Ora si è finalmente deciso di tirar fuori e studiare queste carte, che potrebbero riscrivere buona parte della storia degli Acquaviva d’Aragona. «Abbiamo avviato un grande progetto di recupero in collaborazione con università ed istituti di ricerca – sottolinea Forte -. L’obiettivo è creare un museo permanente della casata proprio qui a Marchione».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il padrone di casa ci mostra prima una carta del 1456 del Re di Napoli Alfonso d’Aragona, con la quale viene attribuita la contea di Conversano agli Acquaviva. Poi è il turno di una pergamena decorata del 1550 che porta il nome di Carlo V, imperatore del Sacro Romano Impero. E infine ammiriamo una bolla papale del 1750 con tanto di sigillo in piombo di Benedetto XIV. «Purtroppo la grafia è di difficile lettura – ammette Michele - ma tratta sicuramente di privilegi nobiliari».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Non ci resta ora che lasciare le stanze, per dirigerci nel cortile, lì dove ci attende l’ultima tappa del nostro viaggio: la graziosa chiesetta, che dal XVII secolo sorge accanto al castello. Gli Acquaviva d’Aragona erano infatti molto religiosi e fra i tanti nomi di santi della casata spicca il beato padre Claudio che divenne a soli 37 anni il più giovane “Papa Nero” della storia, la massima carica dell’ordine dei Gesuiti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L’interno del tempio presenta un piccolo altare in legno sormontato da un dipinto di Nicola Gliri, allievo di Francesco Fracanzano, noto pittore napoletano del 600. Raffigura la Madonna del Rosario con San Domenico e Santa Caterina d'Alessandria. È l’ultima chicca regalataci da questo elegante castello, imponente edificio che è lecito definire un “libro di storia in pietra”.
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