di Luca Carofiglio - foto Antonio Caradonna

Da allegra comunità a rione abbandonato da tutti: la storia del Villaggio del Lavoratore
BARI Un quartiere nato nel 1950 che per lungo tempo ha rappresentato più un “paese” che un rione, lontano com’era dal resto della città ma dotato di negozi, scuole, chiese e persino di una squadra di calcio. Parliamo del Villaggio del Lavoratore, sobborgo nato all’ombra della Stanic ed edificato proprio per dare un’abitazione alle migliaia di lavoratori occupati nella grande raffineria. Una zona di Bari che però, dopo aver assistito alla chiusura dell’industria nel 1976, ha cominciato pian piano a perdere la sua identità, trasformandosi in un anonimo dormitorio di periferia popolato da 3500 anime. (Vedi foto galleria)

Per raggiungere il Villaggio è necessario percorrere tutta via Bruno Buozzi,  poco prima che diventi statale 96. Il complesso è stretto tra quest’ultima arteria, il canale Lamasinata, la ferrovia e la tangenziale ed è quindi accessibile solo grazie a un paio di ingressi, tra cui via Damiani, strada che decidiamo di attraversare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ci ritroviamo subito circondati da bassi e vecchi edifici, alcuni dei quali di pallidi color pastello. Davanti a un villino rosa in ristrutturazione incontriamo due operai al lavoro. «Lo chiamate "villaggio"? - ironizza uno dei due manovali -. Ma se non c'è nemmeno una salumeria. Ieri a pranzo per comprare un panino e una birra ci siamo dovuti spostare con la macchina». Gli fa eco Nice, residente in un palazzo vicino. «Qui non c'è niente – afferma malinconica la signora -. Non abbiamo farmacie, bar o supermercati: tocca mettersi in auto anche per acquistare un po' di latte».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E pensare che qui in origine c’era tutto. «Anche un calzolaio e un’edicola – ci racconta la 70enne Angela Campanella, storica locale -. Il rione fu infatti pensato per rendere la vita agevole ai tanti dipendenti della Stanic che tra l’altro potevano recarsi al lavoro percorrendo poche decine di metri. Questo permise la creazione di un forte e allegro spirito comune all’interno del Villaggio: ogni giorno si trovava un’occasione per festeggiare e stare tutti insieme. Si trattava in fondo di persone che lavoravano per la stessa azienda e che nel tempo libero condividevano gli stessi spazi, costretti a vivere molto lontano dal centro cittadino».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Un'atmosfera di fratellanza che però si incrinò quando la Stanic venne dismessa e smantellata: molti dipendenti scelsero di andare a vivere altrove e poco alla volta il borgo cominciò a perdere la sua identità. «Risiedo nel Villaggio da sempre - spiega il 41enne Donato Panza, membro del comitato di quartiere - e ricordo che da piccoli, negli anni 80, potevamo ancora contare su quattro campi da calcio, una nostra squadra (la Polisportiva Villaggio Lavoratore Stanic), un laboratorio ebanistico, officine, carrozzerie, un ristorante e una merceria. Oggi però non è rimasto più niente».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Se non altro su via Damiani nel 2010 è stato realizzato un parchetto con delle giostre. «È dedicato a Carlo Sabbà, il dirigente veneziano della Stanic che si spese per far costruire il villaggio», sottolinea l'esperto del territorio Nicola De Toma. Qui osserviamo il 53enne Vincenzo, intento col pennello a dar vita a un presepe, su "mandato" del comitato di quartiere.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Svoltiamo ora a destra, percorrendo una traversa che interseca via Martin Lutero. All'incrocio balza all'occhio una bassa costruzione dipinta di verde che presenta una vecchia cassetta delle poste probabilmente ancora attiva. Di fronte alla struttura spunta invece un gabbiotto della polizia municipale, ma degli agenti non c'è nemmeno l'ombra. «Lo hanno realizzato ma non è mai stato utilizzato - evidenzia Panza -. Tra il serio e il faceto abbiamo proposto al Comune di trasformarlo in un chioschetto per la vendita dei gelati».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Arriviamo così al civico 13 di via Martin Lutero, dove si erge dal 1961 la parrocchia del rione dedicata alla Santa Famiglia, preceduta da una piazzetta puntellata da alberi e panchine. «Lì dentro fu cresimato il calciatore Antonio Cassano», rivela Angela.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Tutt'attorno è un susseguirsi di bassi edifici e ben più austeri immobili grigi. Girando a destra in via Virgintino sbuca un campetto di calcio: il terreno è malridotto e dalla recinzione, piena di buchi, si intravede da lontano uno dei camini della centrale dell'Enel in dismissione.

Il campo è però destinato a scomparire, per far spazio a una scuola materna. «È da tempo immemore che attendiamo di avere un edificio per la didattica - continua De Toma -. Negli anni 90 vantavamo un asilo, due sezioni di scuola elementare e tre di scuola media, dislocati in alcuni seminterrati. A un certo punto furono chiusi e mai più rimpiazzati».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Raggiungiamo infine strada vicinale Messenape per salire su uno dei palazzi e avere una visione d’insieme del quartiere. Dall’alto possiamo anche osservare la stazione ferroviaria in costruzione sulla linea Bari-Taranto. «Spero sia utile per andare in centro - afferma Linda, la signora che ci ha ospitato nel suo appartamento -. Per ora abbiamo a disposizione due soli autobus».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Torniamo sulla via, che si snoda costeggiando i pilastri della tangenziale, quando all’improvviso spunta davanti a noi un bar-pizzeria che resiste da più di 40 anni. L’unico punto di incontro di un Villaggio dimenticato da tutti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

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