C'è il basso, l'alto e quello delle meraviglie: sono i leggendari archi di Bari Vecchia
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mercoledì 6 settembre 2017
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di Laura Villani
Il nostro viaggio parte da piazza Federico II, il largo che si trova di fronte all’entrata del Castello Svevo. Qui incontriamo subito il famoso Arco Basso, ingresso della strada omonima nota per le “signore delle orecchiette”. Un tempo chiamato “degli zoccolari” per via della concentrazione di fabbricanti di scarpe che vi avevano bottega, è separato da una casa palazziata dal vicino Arco Alto, caratterizzato da un semplice voltone a botte e impreziosito da un’edicola sacra dedicata a San Nicola e l’Addolorata.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Lo attraversiamo per percorrere strada San Sebastiano fino a sfociare in largo Chiurlia. Torniamo quindi a immetterci nel centro antico attraverso strada San Giuseppe. Qui, nei pressi della chiesa omonima dove ci celebra la messa in latino, alla nostra sinistra si apre l’arco a sesto acuto Notar Morea, dal nome del notaio che visse in questa zona a cavallo tra il XVII e XVIII secolo. Di fronte a noi si alza invece quello intitolato a Giandomenico Petroni, sindaco di Bari e deputato che abitò nella casa soprastante fino alla sua morte avvenuta nel 1908.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Facciamo ora un salto in piazza dell’Odegitria, dove all’ombra della Cattedrale si trova l’arco della neve, di cui abbiamo già parlato in un altro articolo, lì dove anticamente si conservava la neve per poi rivenderla sotto forma di ghiaccio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Mentre poco più distante, in Corte Cavallerizza, si trova un altro passaggio mitico: l’arco delle Streghe (detto anche u-àrche de la Masciare), dal nome delle fattucchiere che secondo la leggenda si riunivano sotto la sua volta a crociera per celebrare i sabba beneventani. Capaci di trasformarsi in gatti neri e lanciare il malocchio, pare che le donne evocassero Satana con la formula sop’ a spine e ssop’a saremìinde m’agghi’acchià a Millvìinde (“su spine e su sarmenti, mi troverò a Benevento”).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Svoltiamo ora nella vicina strada Tancredi, dove in una rientranza troviamo nella corte omonima l’arco Tre Cantaie, riverniciato in un bel colore rosa e decorato da simboli apotropaici bianchi. Il nome deriva dalla barca bizantina trikantìras, fabbricata un tempo in questi pressi e adibita al trasporto di vasi (cantari) di vino, olio e altri prodotti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Torniamo a percorrere strada Tancredi per poi svoltare in strada del Carmine e arrivare in strada dietro Tresca, dove spicca il pittoresco arco Carducci, a tutto sesto, dalla volta dipinta di color celeste acceso punteggiato di stelle dorate. «Il cielo stellato è tipico delle edicole votive, specialmente quando si è in presenza di una Madonna - puntualizza Michele Fanelli, esperto di tradizioni baresi –. In questo caso parliamo di una Madonna Odegitria o di Costantinopoli condotta qui nel 1933».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Risalendo in via dei Due Marinai e proseguendo su strada Quercia ci imbattiamo poi nel particolare Arco San Rocco o “l’arco nell’arco” (u u-àrche inde o u u-àrche). Ad entrarvi sembra di trovarsi in una grotta: basso e rustico, al di là di una piccola edicola consacrata alla Madonna si biforca in altri due archi, uno dei quali conduce in corte Capretti mentre l’altra si immette in corte Garritta.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Torniamo fuori per avventurarci nella stretta e affollata strada Vanese, intitolata a un banchiere di fine 700 che abitò in zona e fuggì lasciandosi dietro ingenti debiti. Questa culmina nell’arco inflesso dallo stesso nome, risalente forse al XV secolo e in seguito restaurato dal Capitolo, un collegio di sacerdoti, che aggiunse l’emblema che vediamo ancora.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Fanelli custodisce un grosso pezzo di struttura staccatosi lo scorso 31 luglio. «Va immediatamente messo in sicurezza, è una vergogna – denuncia –. Questo monumento rappresenta la storia della città: infatti fino alla costruzione del lungomare è stata questa la porta d’ingresso al centro storico per chi arrivava in barca».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Deviamo adesso per andare ad ammirare in via Zonnelli il celebre Arco delle Meraviglie, il cui nome suggestivo rimanda a un aneddoto che lo dice comparso per magia, nottetempo, per unire due amanti sfortunati che abitavano nei palazzi adiacenti. In realtà a vivere nei pressi di questo arco centinato duecentesco a cui si sovrappone un ballatoio con mensoloni del XVII secolo, furono i Maraviglia, famiglia milanese giunta a Bari con la duchessa Isabella d’Aragona e che diede i natali non a tragici amanti ma a due monache, Veronica e Isabella.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Raggiungiamo ora la vicina strada Zeuli, congiunta a via Zonnelli dal magnifico palazzo di fine 500 che racchiude il portone de jesse e trase, arco che ospita annualmente un caratteristico presepe e che fu murato nel 700 in modo da consentire l’entrata nella corte solo a chi avesse il permesso della famiglia Zeuli.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Percorriamo quindi via dei Gesuiti fino a passare davanti alla Chiesa del Gesù e a incontrare sulla nostra destra l’arco di Sant’Onofrio, un tempo custode della chiesa di San Nicola del Porto in cui riposarono le spoglie del Patrono di Bari prima di essere condotti nel monastero di San Benedetto e poi nella Basilica.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il nostro viaggio termina in vico de’ Gironda: di fronte al palazzo omonimo si apre un passaggio basso e stretto tra i più “maltrattati” di Bari, che unisce questa strada a via Vallisa. «Nel gergo popolare viene chiamato “arco del piscio” a causa del suo stato di abbandono e degrado – conferma la nostra guida –. Ma lì sotto si trova una bellissima opera dei fratelli ceramisti Spizzico, un Gesù in croce molto pregiato che da allora gli dà il nome di Arco del Crocifisso».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica)
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I commenti
- Gigi De Santis - Gentile signora Laura. Mi complimento per il suo interessante articolo. Complimenti anche per la grafia in lingua barese. Peccato che l'ultimo riferimento in barese non è stato scritto correttamente. Mi riferisco al portone "de jesse e trase" che va scritto
. Nell'alfabeto barese la consonante straniera, non esiste. La e congiunzione raddoppia la parola che segue quando questa ha la prima sillaba tonica. Complimenti ancora per il significativo articolo. - Emanuele Zambetta - U cèndre stòreche nèste iè ppròbbie berefàtte!