di Eva Signorile

In Puglia c'è chi coltiva lo zafferano: il delicato oro rosso di Deliceto
DELICETO – C’è una Puglia che si fa forse ancora più bella quando l’estate finisce, lontana dal fragore del mare e dalle mete più conosciute. Deliceto, in provincia di Foggia, è una piccola perla di questa categoria. Un gruppo di casupole abbarbicate lungo i crinali delle colline, spunta all’improvviso tra le pale eoliche sparse sul Tavoliere, incoronato dal bel castello normanno e quasi sospeso su quel confine che separa la Puglia dalla Campania.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A Deliceto l’autunno sciorina le sue migliori mercanzie. Qui, a circa 600 metri sul livello del mare, questa stagione ha il colore raffinato del fiore lilla dello zafferano e il gusto pungente, eppure dolce, dei suoi rossi pistilli: è il frutto del caparbio lavoro del 51enne Giuseppe Patella, delicetano da generazioni che si perdono nella storia. L’agricoltore ha deciso di scommettere sul suo territorio e di provare, a un certo punto, a impiantare nel borgo del Subappenino Dauno una coltura alternativa a quelle dominanti del grano, dell’ulivo e della vite. C’è da dire che la coltivazione dello zafferano è davvero rara in Puglia: la sua poca simpatia per i territori pianeggianti e i suoi alti costi, lo hanno sempre reso poco appetibile agli altri contadini.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma Patella ha avuto l'intuizione che il territorio in altura di Deliceto e la terra drenante potessero invece creare un’opportunità allo zafferano (così come avviene in Abruzzo, patria di questa spezia) e ha vinto la sua scommessa, visto che il suo zafferaneto va avanti ormai da 25 anni. Abbiamo trascorso con lui un’intera giornata, seguendolo nelle fasi che accompagnano il percorso della nobile spezia, dal momento del suo raccolto, fino alla sua produzione. (Vedi foto galleria)

La giornata dello zafferano inizia alle primissime luci dell’alba ed è scandita da fasi di lavorazione che devono esaurirsi nel più breve tempo possibile per preservarne il prezioso aroma. I pistilli del crocus sativus (nome scientifico della pianta della spezia) vanno raccolti quando i fiori sono ancora ben chiusi per garantirne il più possibile la purezza e l’integrità. «Il bocciolo – ci spiega Giuseppe – protegge i pistilli dall’umidità e dalla terra che magari il vento o l’acqua della pioggia potrebbero portare al suo interno». Ma in via del tutto eccezionale, l’agricoltore ha evitato di raccogliere lo zafferano il giorno prima del nostro arrivo, permettendoci di godere della vista impagabile della distesa lilla dei suoi fiori aperti, ordinati su solchi separati da piccoli canali che garantiscono il rapido defluire dell’acqua nel caso di piogge.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

C’è stato un tempo in cui buona parte del campo era coperta da questa pianta profumata, ma qualcosa nel clima è cambiato. «Da almeno tre anni in questo territorio si abbattono piogge troppo intense che danneggiano i bulbi» , sottolinea Patella. Il risultato è che negli ultimi anni l’agricoltore ha visto drasticamente ridursi il numero delle piantine. Sì perché lo zafferano, per quanto forte, ha un nemico mortale: l’umidità, che ne mina i bulbi e li rende vulnerabili agli attacchi di funghi, muffe e marciume. Patella però non si arrende e ogni mese di agosto, dopo il periodo di “riposo vegetativo” che inizia a maggio, scava la terra intorno ai bulbi, li riprende uno ad uno e si dedica ad un’accurata selezione, per ripiantare poi i più grossi e integri a settembre.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Tra metà ottobre e la prima settimana di novembre esplode la fioritura delle nuove piantine. È questo il periodo più frenetico, quello della raccolta. Lo zafferano è una pianta che esige gentilezza: un movimento poco preciso potrebbe causare la sua rovina. Patella è paziente, ci concede di aiutarlo a raccoglierlo, mettiamo a repentaglio qualche piantina nei nostri primi tentativi e sentiamo in lui un’apprensione che educatamente tenta di nasconderci. Infine ci siamo: anche noi riusciamo a prendere le preziose coppette lilla senza arrecare danni al resto della pianta. Intorno ai fiori, è tutto un affaccendarsi di calabroni, coccinelle e api ingorde del prezioso polline. Per Giuseppe sono le benvenute: «Con il loro lavoro, le api impollinano i fiori rendendo le piante più forti. Sono preziosissime».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In poco tempo, di tutto quel lilla non resta che uno sparuto gruppo di fiori sul bordo del campo: sono lasciati lì proprio per le api. «Non bisogna approfittare della nostra terra – afferma il contadino davanti ai nostri sguardi confusi – è peccato togliere tutto alle api». Prima di abbandonare definitivamente il campo, l’uomo getta sulla terra una manciata di petali e dei pistilli: «Restituirle un po’ di ciò che ti ha dato, è un modo che avevano gli antichi per ringraziare la terra del raccolto».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Raggiungiamo il centro di Deliceto arrampicandoci lungo stradine quasi verticali e arriviamo a casa di Giuseppe, dove ci accoglie Rocco, suo padre. Con la sua coppola schiacciata su un viso solcato dalle rughe dei suoi 84 anni e una giacca scura troppo grande per il suo magro corpo raccolto sul suo bastone, è l’emblema di questa porzione di Sud che credevi risucchiata dalla Storia e che ritrovi qui praticamente intatta, concentrata nelle due stanze che formano la casa rimasta come decine di anni fa, nell’odore della stufa a legna ancora spenta.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ci studia Rocco, ma è un attimo, poi con il cesto svuotato sul tavolo, inizia il suo paziente lavoro di “sfioratura”. Le mani che credevamo arrugginite dall’età, si muovono sicure e veloci separando i pistilli rossi dal resto del fiore. Si tratta anche in questo caso di un lavoro di estrema precisione: lo zafferano non deve rovinarsi, anche nell’estetica. Giuseppe ci spiega che è bene fare in modo di ricavare i tre pistilli uniti alla base. Prova a spiegarci le mosse. È tutto un rapido movimento delle dita che sanno separare i petali e gli stami: sono i filamenti rossi dei pistilli che costituiscono la preziosa spezia. Malgrado un incidente che ha intaccato i movimenti fini della sua mano destra, Giuseppe è una vera macchina da guerra con i fiori: in una sola mossa è in grado di separare i “buoni” dai “cattivi”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Nel frattempo, Patella non smette di raccontare: narra di quando il suo campo era grande, prima delle piogge e per la sfioratura si mobilitava tutta la famiglia: la madre e la sorella, e si doveva chiamare anche qualche vicino e i fiori coprivano tavoli che si stendevano dalla cucina-ingresso, dove siamo ora, fino alla stanza retrostante. Si facevano gare a chi sfiorava di più e più velocemente. «A volte succede che all’interno ci siano pistilli gemelli. È un evento raro – ci dice – e allora chi ne trovava uno era il fortunato».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Tra un racconto e l’altro, il tempo scorre in fretta, i fiori si esauriscono e sul tavolo restano solo due cumuli di pistilli. Giuseppe li riunisce e li pesa su una bilancia di precisione: come uno sciamano, annuncia che dopo l’essiccazione avremo circa 10 grammi di zafferano purissimo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La produzione di zafferano si svolge in maniera artigianale: Giuseppe ha un vecchio catino di metallo: lo riempie di carboni che poi accende. L’improvvisato braciere viene poi portato nell’altra stanza, sotto una scala da muratore, a cui viene appeso il setaccio con i pistilli. Con la mano sul braciere, Giuseppe sceglie la giusta temperatura e quindi la distanza cui appendere il setaccio. Dopo circa una ventina di minuti, tutto è pronto. Del nostro raccolto, non restano che filamenti raggrinziti e di un rosso più cupo, ma un odore intenso ci colpisce a sorpresa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Credevamo di conoscerlo, eravamo abituati alle bustine con la polvere, ma questo profumo ci coglie completamente impreparati. Non c’è possibilità di descriverlo: bisogna essere qui e respirare a pieni polmoni. «È meglio evitare lo zafferano in polvere – ci confida Giuseppe – è più a rischio di sofisticazioni. Ci sono stati casi in cui addirittura si spacciava polvere di mattoni per zafferano».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Rivoltiamo i filamenti, ora croccanti, su un foglio di carta assorbente e pesiamo nuovamente: la bilancia segna 9,7 grammi, pronostico rispettato. Una mattinata di lavoro e circa duemila fiori raccolti, per ottenere questi pochi grammi. Ma valgono una piccola fortuna. Del resto la parola zafferano deriva dall’arabo “za’ faran” che vuol dire “oro”, “luce”, a sottolinearne non solo il caratteristico colore che trasmette alle pietanze, ma anche l’enorme valore che ha questa spezia, il cui prezzo oscilla tra i 12 e i 20 euro al grammo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Lo zafferano di questi luoghi è decisamente un tesoro da scoprire e promuovere. Ma il territorio non sembra essere in grado di costituirsi in rete, di incentivarne la produzione, di contemplare l’ipotesi di creare un marchio specifico di zafferano pugliese. E Giuseppe Patella rischia di rimanere un novello Don Chisciotte, che combatte all’ombra delle vicine pale eoliche.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

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