Carnevale, addio innocenza: «I ragazzini non si mascherano più, per loro è una festa infantile»
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lunedì 12 febbraio 2024
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di Gaia Agnelli
«Il Carnevale prima attraeva tutti - chiarisce Michele Sogari -, mentre ora interessa solo ai più piccini e magari agli adulti, che desiderano tornare indietro alla loro infanzia. Al contrario i ragazzi non si mettono più in gioco, si stanno “adultizzando”, pensano solo a smartphone e social network e considerano il travestirsi come un passatempo inutile. A questo va aggiunto il lockdown che ha fatto perdere ai bambini anni di spensieratezza: alcuni di loro non hanno mai festeggiato il Carnevale prima di oggi o se lo hanno fatto erano troppo piccoli per ricordarlo».
Il Carnevale ha quindi perso la sua innocenza e se un tempo i giorni di febbraio rappresentavano un tripudio di coriandoli, di veglioni, di scherzi di ogni genere, di “battaglie” per strada a colpi di bombolette spray e schiuma appiccicosa, oggi sono divenuti molto meno “colorati”.
«Quando i ragazzini decidono di mascherarsi, magari perché spinti dai propri “nostalgici” genitori, scelgono abiti legati alle serie tv - sottolinea il 52enne Giuseppe Boccone, uno dei titolari del negozio di giocattoli “Babylandia” fondato nel 1970 - . Ormai i vestiti di Pippi Calzelunghe, Robin Hood, di pirati e cavalieri sono solo un ricordo: i giovanissimi preferiscono seguire le mode del momento. Ad esempio l’anno scorso abbiamo venduto tantissimo l’abito di “Mercoledì”, la serie televisiva di successo creata sul personaggio della Famiglia Addams. Addirittura c’è chi si è vestita come l’amica di Wedsnesday: Enid, che in realtà indosso aveva solo un jeans e un maglione colorato. Insomma se prima il Carnevale rappresentava l’occasione per sorprendere, per essere originali, per trasformarsi in qualcosa di completamente diverso dagli altri, ora è divenuto il tripudio dell’omologazione».
«Vero – conferma Eugenio Sogari -. Oggi i più piccoli chiedono più che altro di indossare i panni dei personaggi della Marvel e della Disney, mentre i più grandi, quando si mascherano, si "buttano" sulle serie tv. Abbiamo avuto richieste per gli abiti di Harley Quinn, di Squid Game e della Casa di Carta e per fortuna che “Mare Fuori” non prevede travestimenti specifici, altrimenti si sarebbero tutti vestiti come i detenuti del film».
Dello stesso parere è Valentina Ricci, 45enne titolare del negozio “Aria di Festa”, aperto allo scoccare del nuovo millennio. «Prima c’era una certa ricercatezza dell’abito da indossare, che doveva essere unico e originale - afferma -: ci si recava addirittura dalla sarta per farlo cucire a mano. Erano vestiti pieni di inventiva, cura e amore per i dettagli, scelti da giovanissimi che passavano ore in negozio a provarli. Oggi invece mandano la mamma a scegliere per loro».
La donna del resto, in qualità di animatrice, ha notato una crescente indifferenza dei bambini nei confronti delle feste, che si trasformano in un pretesto per passare sì del tempo tra coetanei, ma ognuno con lo smartphone in mano. «Si è persa la la voglia di socializzare – dichiara l’esperta –. Ci si annoia subito: i ragazzini riescono a giocare una mezz’oretta ma poi chiedono il telefono ai genitori, quando non hanno il proprio. Complice anche il lockdown passato in casa davanti a tv e computer, sembra che non sappiano più chiacchierare e divertirsi senza l’aiuto della tecnologia. È per questo che anche il Carnevale non li attrae più, anzi pare addirittura si vergognino a festeggiarlo: la considerano una tradizione infantile».
Per fortuna rimangono gli adulti a essere ancora fedeli a questo rito. «Sono tanti i grandi che, dopo essersi arresi all’impresa di “vestire” i figli, decidono di mettersi in gioco - sottolinea Valentina -. C’è chi va sui grandi classici, come i cavalieri, i moschettieri e Zorro, ma anche chi con un pizzico di inventiva sceglie abiti innovativi come la Statua della Libertà o Joker. Tra i temi più gettonati, da qualche anno a questa parte, c’è quello “hippie”: colori, fiori, ghirlande e bandane per rivivere la spensieratezza e l’allegria di quando si era bambini».
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I commenti
- Vito Petino - MARTEDÌ 13 FEBBRAIO 2024, ultimo di Carnevale prima della Quaresima - Alla ricerca delle radici di padri e nonni in una Bari rivoluzionata. Confrontiamo i luoghi nel tempo. Bari, era il 10 Febbraio, martedì grasso ultimo giorno di Carnevale del 1948; eccomi davanti alla Caserma Picca vestito da agnellino. Pensavo io. Quella pelle di pecora con cappuccio me la regalò zia Caterina. Zio Giovanni, il marito, una settimana prima del martedì grasso aveva scannato la pecora Bianchina, con cui spesso giocavo nella loro masseria di San Francesco alla Rena, e la zia, che faceva la materassaia, mi confezionò quella "maschera". La mattina di quel 10 Febbraio Babbo, su insistenza delle mie cugine già signorinelle, chiese inviti per il Veglione di Carnevale organizzato dal Dopolavoro della Ferrovia Suddest, dove lavorava, e che si sarebbe tenuto il sabato 14. Il ballo fu organizzato in un salone molto grande del vecchio palazzo di via Dante, che guardava la via Marchese di Montrone, proprio davanti. Ricordo che la festa fu bellissima. Coriandoli di ogni colore sminuzzati in piccoli cerchietti o a rotelline che, lanciate, diventavano spirali allungate, mascherine di raso variopinto con sembianze di fate, oppure in cartone raffiguranti visi di personaggi delle fiabe, dall'orco famelico al lupo cattivo, trombettine gracchianti o del tipo a lingua di camaleonte che si srotolava con un suono sibilante quando vi si soffiava nel beccuccio, arrotolandosi di nuovo. Le mie cugine avevano agganciato qualche giovanotto figlio di ferroviere, con la certezza che all'età giusta ogni papà sarebbe riuscito a farlo lavorare in Suddest. Ma dopo meno di una settimana non riuscirono a quagliare. Al termine di tanta festa cominciarono i problemi per me. Quella maschera camuffata da agnellino, che volevo smettere, non era solo per Carnevale. - E ccom alla Mamm, perchè non vuoi mettere il "cappottino" che ti ha regalato zia Caterina. Iè bell e t ten acchsì cald. Mi disse Mamma. Ma pur rotolandomi sul pavimento per non metterlo, non ci fu santo. Ho dovuto portarlo sino alla fine di quell'inverno. Nell'autunno di quell'anno non mi andava più. Fortunatamente ero cresciuto troppo. Mamma lo regalò a una sua amica, che ne aveva bisogno per il proprio figlio. Quella stessa mattina sul tardi con mia cugina Antonetta, pace all'anima sua, eravamo stati in piazza Roma nella Direzione della Suddest a ritirare gli inviti per il Veglione del successivo sabato sera dal responsabile del Cral. Al ritorno fu lei che mi fece fare la foto in piazza Luigi di Savoia da un fotografo ambulante, che stazionava da quelle parti con la sua macchina istantanea in legno a cassetta su un trepiedi. - Accom u sit chmbnat u pccninn. Disse il tizio a mia cugina, mentre le raccomandava di tenere la foto dai bordi per farla asciugare. E come se la rideva Antonetta, guardando a tratti la foto durante la passeggiata verso casa. Tenendomi per mano mi trasmetteva attraverso il braccio il sussulto del riso, che io a meno di tre anni e mezzo con sguardo dubitoso non capivo. - E c ttin da rit, alla zì. Sta acchsì bell u pccninn jind alla ftografì. Disse Mamma, mentre io mi arrabbiavo con Antonetta, avendo intuito che era di me che se la rideva ❤☕❤🥐❤...
- Enzo - Hai ragione su tutto ! Condivido in pieno quello che hai scritto con molta competenza di linguaggio. Brava Gaia