di Giancarlo Liuzzi - foto Francesco De Leo

Un'enorme dimora che sfugge agli occhi dei baresi: è il secolare Palazzo Arcivescovile
BARI – Una dimora enorme, probabilmente la più grande di Bari Vecchia, la cui preziosa facciata però sfugge agli occhi dei passanti. È questo il profilo del Palazzo Arcivescovile, secolare complesso a forma trapezoidale posto accanto alla Cattedrale di San Sabino, che funge da residenza e luogo di rappresentanza dell’arcivescovo, oltre a ospitare il Museo Diocesano. La struttura si compone infatti di diversi corpi di fabbrica, il principale dei quali è caratterizzato da raffinati decori barocchi e preziose statue e sculture, che sono però visibili solo attraversando un arco inserito all’interno di alte mura. (Vedi foto galleria)

Viene attribuito all’abate Elia, fondatore della Basilica di San Nicola, l’avvio nel 1106 dei primi lavori per la costruzione dell’edificio, che ospitò sin da subito il vescovo. Dopo vari ampliamenti e restauri avvenuti nei secoli successivi, tra il 1600 e il 1700 si decise di realizzare un unico complesso architettonico di pregio che fungesse da scenario politico e religioso per l’attività del vescovo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Furono quindi unite le varie strutture presenti sull’isolato e nel 1737 si decise di affidare i lavori conclusivi al celebre architetto napoletano Domenico Antonio Vaccaro, lo stesso al quale furono commissionati, nel 1738, i lavori di rimodulazione della Cattedrale in stile settecentesco. La struttura subì così un totale “imbarocchimento” che si è conservato pressoché intatto sino ad oggi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Per raggiungere il Palazzo Arcivescovile partiamo da piazza dell’Odegitria, sulla quale si staglia la bianca facciata della Cattedrale. Qui, sulla destra, riusciamo a scorgere uno degli ingressi posteriori del complesso, contraddistinto in alto da un piccolo rosone cinquecentesco appartenuto un tempo alla chiesetta del Santissimo Sacramento, demolita negli anni 30 del 900 durante i lavori di restauro della Cattedrale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Oltrepassato un altissimo arco ci spostiamo su strada dei Dottula dove prosegue il lato est del fabbricato. Questa parte, chiamata in passato Palazzo dell’Episcopio, fu vittima a metà degli anni 50 di un drastico abbattimento che fu però fermato nell’agosto nel 1954 quando durante i lavori vennero rinvenuti resti di costruzioni medievali oltre a un’antica chiesa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Si nota infatti il netto contrasto architettonico tra la gialla facciata ricostruita in quegli anni, caratterizzata da una serie simmetrica di finestroni, e l’adiacente prospetto in pietra del XIII secolo, con finestre e archi centinati, salvato dalla distruzione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Proseguendo per qualche decina di metri, all’incrocio con strada Ronchi, si apre il vasto portale ad arco con plinti ruotati che dà accesso al Museo Diocesano. La galleria, realizzata negli anni 80 nelle antiche sale di rappresentanza del vescovo, occupa l’intero piano dell’immobile e ospita importanti testimonianze artistiche della cristianità, tra le quali i preziosi rotoli degli Exultet.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Giungiamo infine in largo San Sabino dove il prospetto a due piani del palazzo si divide sulla sinistra con una parte in pietra contraddistinta da monofore di stampo medievale e, sulla destra, con una porzione intonacata caratterizzata da finestre e aperture ad arco più recenti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Infine, sull’angolo nord della piazza, si trova l’arco che ospita il portone d’ingresso all’ala monumentale del Palazzo, sormontato da un’elegante balaustra in pietra. È qui dietro che si nasconde la parte più preziosa dell’edificio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Percorriamo così il passaggio con volta a botte, affiancando delle arcate litiche cinquecentesche, per raggiungere l’ampio cortile interno al centro del quale svetta una colonna in granito che regge la statua di San Sabino con mitra e pastorale posizionata qui nel 1651.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E davanti a noi ecco la maestosa facciata principale del Palazzo, la cui vista è però “sporcata” sia dalla presenza di molte automobili parcheggiate, che dai lavori di restauro che stanno interessando il fabbricato da alcuni mesi a questa parte.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Restiamo comunque incantati dalla bianca facciata dell’immobile impreziosita dalla ricchezza degli stucchi e decori color ocra. L’architettura barocca della struttura, affiancata dall’imponente veduta laterale romanica dall’adiacente Cattedrale, crea un singolare quanto affascinante contrasto stilistico davvero unico nella città vecchia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«L’edificio si innalza su quattro piani distinti da lunghe cornici marcapiano – ci illustra l’architetto Simone De Bartolo –. Il prospetto è contraddistinto dai due avancorpi laterali, tipici del barocco: stilisticamente si tratta di una rielaborazione della parte posteriore del romano Palazzo Barberini. Si distinguono i timpani curvilinei e le volute, che movimentano la facciata la quale diventa più lineare e meno elaborata ai livelli superiori».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il piano terra, sul quale si aprono i due ingressi al Palazzo, è abbellito dalle seicentesche statue in pietra dei santi Pietro e Paolo dello scultore ostunese Michele Greco. Provengono dalla scomparsa chiesa di San Pietro delle Fosse e, prima dell’attuale collocazione, erano posizionate ai lati del portale della Cattedrale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Notiamo anche mascheroni, antichi decori in pietra e iscrizioni che ricordano i precedenti interventi sull’edificio. All’altezza del primo livello, nella parte centrale dello stabile, si apre la raffinata terrazza balaustrata. Di quest’ultima colpisce il parapetto su cui poggiano una teoria di archi a tutto sesto, inquadrati da lesene che reggono una leggera cornice. Altri dalle forme mistilinee sono ornati da sette busti classicheggianti del marmista Carlo Tucci, collaboratore dell'architetto Vaccaro, e da due sculture di putti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Entrando dall’ingresso di sinistra accediamo allo scalone interno e raggiungiamo l’ampio terrazzo dell’edificio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Da qui il nostro sguardo viene attratto dalla parte interna della loggia, con una serie di arcate medievali cieche binate a tutto sesto impreziosite da archetti pensili, rinvenute durante i restauri degli anni 60, nelle quali si aprono delle bifore che danno affaccio alla terrazza. Riusciamo anche a notare delle formelle e degli elementi decorativi romboidali smaltati testimoni del millenario passato del complesso.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Sulla nostra destra invece, voltando lo sguardo, non si può non rimanere incantati dalla Cattedrale di San Sabino, qui visibile da una prospettiva inedita. Notiamo il rosone laterale, le bifore romaniche, l’alto campanile e persino ciò che resta del suo secondo campanile, che venne amputato nel 1613 a causa di un forte terremoto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Un angolo che pochi baresi conoscono, ma che racconta la lunga storia architettonica e religiosa dell’antica città.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

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