Abbattimenti, sentenze, risarcimenti e infinite polemiche: è la lunga storia di Punta Perotti
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lunedì 26 settembre 2022
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di Giancarlo Liuzzi
Tutto inizia nel 1989 quando lo studio di architettura Chiaia-Napolitano presenta, su commissione delle società dei gruppi imprenditoriali Andidero (Mabar), Matarrese (Sudfondi) e Quistelli (Iema), il progetto per la costruzione di Punta Perotti.
L’idea era quella di realizzare su un’area di 100mila metri quadri posta sul lungomare sud di Bari grattacieli residenziali, un hotel, un porticciolo, impianti balneari e giardini. A essere scelta fu la zona oggi compresa tra le spiagge di Pane e Pomodoro e Torre Quetta, lì dove sorge Parco Perotti.
Un angolo di Bari, va detto, da sempre “ai margini” della vita cittadina: separato dal resto della città dai binari della ferrovia e interessato da prostituzione, costruzioni abusive e soprattutto carenza assoluta di servizi. In passato sia il Gran Lido Marzulli che la sala ricevimenti Transatlantico, entrambi sorti in questa zona negli anni 50, erano stati costretti a chiudere per beghe burocratiche riguardanti le concessioni demaniali. L’area era stata così lasciata nel nulla più totale, preda di degrado e malaffare.
Così all’epoca il progetto di realizzare, seppur per iniziativa privata, un qualcosa che facesse rinascere il lungomare sud piacque un po’ a tutti, istituzioni comprese. Il Consiglio Comunale tra il 1992 e il 1993 approvò quindi i tre piani di lottizzazione facenti capo alle rispettive società di costruzione. E nell’ottobre del 1995, il Comune di Bari (in quel periodo il sindaco era Simeone Di Cagno Abbrescia del Centrodestra), rilasciò la concessione edilizia necessaria per l’avvio dei lavori, che iniziarono nello stesso anno.
Nel giro di 12 mesi la città vide così sorgere tre enormi costruzioni che cambiarono completamente lo skyline del lungomare barese. Tutto procedeva molto speditamente, sin quando cominciò a venir fuori tutta una serie di irregolarità riguardanti la posizione in cui il complesso edilizio stava sorgendo.
Venne infatti evidenziato dalla stampa locale prima e dalla Soprintendenza per i beni culturali e ambientali dopo, come il complesso immobiliare si trovasse troppo vicino all’Adriatico, andando quindi contro i dettami della Legge Galasso del 1985 che vietava di rilasciare permessi di costruire sui siti di interesse naturale, come appunto le zone costiere. Il che portava problemi non solo dal punto di vista ambientale ma anche paesaggistico, visto che Punta Perotti stava creando un effetto “saracinesca” nella visuale panoramica del litorale.
Così il 27 aprile 1996 la Procura di Bari aprì un’inchiesta, predisponendo nel marzo del 1997 il sequestro del cantiere. E il 10 febbraio 1999 il Tribunale riconobbe il carattere illegale dell’opera, con sentenza confermata dalla Corte di Cassazione il 29 gennaio 2001. E così su Punta Perotti fu messa la parola fine.
Si rilevò infatti come i terreni interessati, al momento dell’adozione del progetto, erano soggetti a divieto assoluto di costruire e a un vincolo paesaggistico imposto dalla legge Galasso e dalla legge regionale n. 56/1980 (che disciplina la pianificazione urbanistica sul territorio). Mancava nella documentazione anche il parere di conformità alla tutela ambientale da parte della Soprintendenza la quale, se fosse intervenuta in tempo, avrebbe di certo evidenziato il vuoto legislativo e bloccato i lavori sul nascere. Il tutto considerando che il piano di attuazione del piano regolatore generale di Bari (risalente al 1986), al momento dell’approvazione della lottizzazione, era scaduto da oltre un anno.
Ai costruttori però non vennero imputate colpe: se è certo che l’opera era stata costruita lì dove non poteva sorgere, è vero anche che Andidero, Matarrese e Quistelli avevano in mano tutti i permessi per poter realizzare il complesso. Fu infatti loro riconosciuta l’assoluta innocenza, perché avevano commesso un «errore inevitabile e scusabile» nell’interpretazione di disposizioni regionali «oscure e mal formulate» che interferivano con la legge nazionale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Era stato invece il Comune a rilasciare troppo frettolosamente i permessi, anche se gli amministratori non vennero mai portati davanti a un tribunale per rendere conto del loro operato. La stessa sentenza della Cassazione affermò del resto che «in assenza di un’inchiesta riguardante i motivi dei comportamenti degli organi pubblici non era permesso fare supposizioni».
La Suprema Corte riconobbe comunque l’illegalità dei piani di lottizzazione e delle autorizzazioni e venne ordinata la confisca di tutte le costruzioni e dei terreni i quali, per effetto della sentenza, vennero acquisiti di diritto dal Comune.
I costruttori però non accettarono la decisione dei giudici e chiesero a Comune, Regione e Ministero un risarcimento danni ammontante complessivamente a 570 milioni di euro: una cifra esorbitante che considerava il valore del terreno sequestrato, il mancato guadagno derivato dal non completamento dell’opera e il danno d’immagine.
Il Comune però (che nel frattempo, passato al Centrosinistra, era guidato da Michele Emiliano) non tenne conto di questa richiesta e proseguì sulla strada tracciata, ovvero quella di restituire alla cittadinanza l’area dove sorgeva Punta Perotti.
Vennero così fissate le date della demolizione e Punta Perotti venne abbattuta con cariche esplosive e in diretta televisiva nazionale il 2, il 23 e definitivamente il 24 aprile del 2006, tra boati, fumo e polvere.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
“L’ecomostro” sparì così per sempre: al suo posto fu creato l’attuale Parco Perotti, ma le polemiche riguardanti la sua confisca e demolizione non si spensero. Nel gennaio del 2009 la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo diede infatti ragione alle ditte costruttrici, decretando come la confisca del complesso avvenne in violazione del diritto della protezione della proprietà privata e della Convenzione dei diritti dell'uomo.
Questo perché, al momento del rilascio delle autorizzazioni, non c’era volontà diretta da parte delle imprese a commettere un illecito e nessuna autorità era intervenuta per bloccarne la costruzione. Non potendo quindi prevedere di essere in errore e non avendo commesso un reato, non avrebbero dovuto subire la confisca della proprietà.
Alla fine del 2010 i suoli su cui sorgevano gli edifici vennero così restituiti ai legittimi proprietari. Venne precisato, peraltro, che al posto di confiscare l’intera area, sarebbe stato sufficiente disporre la demolizione delle opere edilizie realizzate e dichiarare inefficace il progetto.
Non solo, nel 2012 un’ulteriore sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo condannò lo Stato italiano a pagare 49 milioni di euro alle imprese costruttrici per la perdita economica subita dalla ingiusta confisca (il più alto risarcimento mai imposto a uno Stato nei confronti di privati). E un’ulteriore sentenza della corte di Appello di Bari del 12 settembre scorso ha condannato Comune di Bari, Regione Puglia e Ministero della Cultura a liquidare (in questo caso alla sola Sudfondi), altri 9 milioni di euro per il danno patrimoniale dell’azienda.
La vicenda di Punta Perotti si è risolta quindi in un vero e proprio “pasticciaccio”, in cui a perderci sono stati tutti: per primi i baresi, che non solo hanno dovuto pagare il conto degli errori commessi dai protagonisti della storia, ma hanno rinunciato a veder riqualificata una zona cittadina che continua ancora oggi a essere incredibilmente poco valorizzata.
(Vedi galleria fotografica)
Il video dell’abbattimento di Punta Perotti:
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
I commenti
- antonio - errore macroscopico da parte della giunta come pure dei richiedenti (furbetti?) : in fase di presentazione del progetto non è stato prodotto un plastico che ne evidenziasse l'impatto? Disegni, prospettive, anche a "volo d'uccello" al fine di contestualizzare al meglio la costruzione e l'ambito in cui veniva inserita? Cecità politica e "furbetti del quartierino" han fatto sì che tutto andasse, purtroppo, a rotoli con buona pace dei cittadini che, in qualche modo, stante la situazione e ricorsi dopo ricorsi, dovranno PAGARE ! Che vergogna! Bari non merita simili Personaggi, ne va del buon nome della Città e dei suoi Cittadini, utili servi? Mah!