La storia dell'affondamento della nave Galilea: salpata dalla Grecia non arrivò mai a Bari
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mercoledì 27 ottobre 2021
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di Irene Coropulis
Una vicenda che, seppur drammatica, continua a essere poco conosciuta e raccontata. Eppure nel tragico evento persero la vita ben 1075 persone. I superstiti furono infatti solo 280 su un totale di 1355 passeggeri.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La maggior parte erano alpini: soprattutto friulani che stavano rientrando dal territorio ellenico per andare a combattere sul fronte russo. Ma tra i deceduti si contarono anche diversi pugliesi che facevano parte dell’equipaggio o che, in qualità di carabinieri, stavano scortando alcuni prigionieri civili greci.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Uno di loro era Carlo Capobianco, 39enne di Capurso il cui nipote quest’anno ha pubblicato un volume per ricostruire al meglio i fatti avvenuti nel 1942. Il libro si intitola “L’affondamento del Galilea” e l’autore è un 64enne triggianese, ex maresciallo dell’Esercito, che porta il nome e il cognome del nonno ucciso durante il conflitto. Lo abbiamo intervistato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Con questo libro si fa finalmente luce su una vicenda poco nota…
Sì. Da bambino mi raccontavano che mio nonno Carlo era morto in mare e che non era riuscito a salvarsi a causa del pesante zaino che aveva sulle spalle. La storia era volutamente fantasiosa, perché nessuno in famiglia sapeva effettivamente cosa fosse successo sulla Galilea. Così nel 1999 decisi di mettermi a cercare informazioni, iniziando una serie di ricerche che portarono a studiare carte conservate negli archivi di Stato e della Marina Militare sparsi tra Bari, Roma e Venezia. Mi ci sono voluti vent’anni di lavoro e solo ora ho potuto finalmente dare alla luce “L’affondamento del Galilea”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Perché tante difficoltà?
Come tutte le vicende “minori” che riguardano la Seconda Guerra Mondiale anche quella di Patrasso non è stata adeguatamente studiata e approfondita. Dobbiamo poi considerare che le operazioni in Grecia risultano poco documentate, probabilmente perché non si trattò di un’esperienza gloriosa per il nostro Paese. Il contrattacco dell’esercito greco fu infatti devastante per gli italiani, che riuscirono ad avere la meglio solo grazie all’intervento della Germania. Iniziata per rivendicare la potenza militare italiana, la campagna si trasformò in un’epocale disfatta che mise a nudo tutti i limiti dell’Esercito Regio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Chi c’era su quella nave?
Prima di tutto alpini, appartenenti per la maggior parte al Battaglione Gemona della divisione Julia di Udine. In totale c’erano 1355 passeggeri: più del doppio rispetto alla capienza consigliata. Un numero altissimo dovuto alla immediata necessità di far rincasare i militari che, concluse le operazioni in Grecia, dovevano poi partire per il fronte russo. Oltre all’esercito c’erano anche i membri dell’equipaggio, una ventina di prigionieri civili greci e un gruppo di carabinieri che doveva sorvegliarli, tra cui il mio povero nonno.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Suo nonno non era l’unico pugliese sulla Galilea…
Il 50 per cento degli imbarcati era originario del Nord Italia, ma il resto era meridionale, di cui tantissimi pugliesi, visto che la nave copriva proprio la tratta Bari-Grecia con il compito di trasportare i soldati. Il capoluogo rappresentava infatti uno scalo strategico per l’operazione bellica, sia per la grandezza e soprattutto per l’importanza che l’area portuale aveva nel Mediterraneo. Quel 28 marzo 1942 il piroscafo era partito da Patrasso assieme al “Piemonte”, un convoglio di altre cinque natanti con cui sarebbe dovuto giungere l’indomani proprio in Puglia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma la Galilea a Bari non ci arrivò mai.
La notte del 28 marzo si compì la tragedia al largo dell’isola greca di Antipaxos, nel Mar Ionio. Un sottomarino inglese colpì con un missile il primo mezzo nemico trovata sulla sua rotta: era proprio la Galilea. Cominciò così un’agonia di cinque ore, dalle 22.50 fino alle 3 del mattino. Il piroscafo imbarcava acqua che con forza si diffondeva in tutti gli ambienti, nonostante questi fossero divisi in compartimenti stagni per evitare l’allagamento. E poi le luci vennero meno, la nave iniziò a piegarsi, mentre il panico dilagava a bordo: c’era chi si tuffava senza saper nuotare, chi in mare veniva colpito dalle eliche e chi invece provava a resistere alle acque gelide. Mio nonno molto probabilmente era nelle stive con i prigionieri, in attesa di un ordine di fuga che però non arrivò mai. Dei 1355 passeggeri si salvarono solo in 280. E la Galilea, ex lussuoso piroscafo civile della triestina Adriatica Società Anonima di Navigazione, si inabissò nello Ionio, lì dove giace ancora oggi il suo relitto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Come mai sopravvisse soltanto un quinto dei passeggeri?
Si sarebbero potute salvare più vite, ma si unirono diversi fattori che diedero luogo al disastro. I soccorsi che arrivarono dalla vicina Grecia furono tardivi a causa delle comunicazioni lente e confuse. La nave poi aveva a bordo quasi il triplo di passeggeri che avrebbe potuto sopportare e questo sicuramente fu un altro svantaggio perché non c’erano sufficienti scialuppe di salvataggio. In più dai documenti sono emerse delle mancanze da parte del “caposcorta”, il mezzo che avrebbe dovuto controllare l’intero convoglio Piemonte. Le direttive furono confusionarie e così le altre cinque imbarcazioni si allontanarono velocemente per evitare ulteriori attacchi, continuando la rotta verso Bari e lasciando la Galilea sprofondare lentamente.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E oggi di questa tragedia non resta ormai quasi più memoria...
In Friuli-Venezia Giulia è rievocata con commemorazioni annuali che celebrano i tanti alpini che non sono mai tornati a casa. Ma nel Meridione a ricordare la storia si trova solo un monumento posto in piazza Matteotti a Capurso su cui sono incisi i nomi dei caduti del paese. E poi c’è il Sacrario Militare dei Caduti d’Oltremare di Bari, dove sono ospitate alcune salme recuperate sulle spiagge greche. Per il resto possiamo dire che la memoria della Galilea si sia anch’essa inabissata. Per questo credo che la mia ricostruzione sia importante: è un modo per rendere giustizia a tutti coloro che furono lasciati a morire a bordo di quella maledetta nave.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
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Irene Coropulis
Irene Coropulis
I commenti
- Francesco Callegaro - Proprio ieri sono ritornato in Friuli, sul Monte di Ragogna - luogo denso di vicende belliche, soprattutto del 1917, e con spettacolare vista sul sottostante fiume Tagliamento -. Sulla sommità di questa piccola altura, tra molte testimonianze di tristi vicende del passato, c’è anche un monumento che ricorda la tragedia del Galilea. Oltre ai tanti alpini del Gemona, alcune lapidi ricordano anche la perdita dei bersaglieri del 2° Reggimento e del I e XXI Battaglione Carabinieri. Oltre alle lapidi, esiste anche un piccolo monumento inserito a cura dell’Associazione Nazionale Carabinieri, in data 23.09.1990, a ricordo dei carabinieri periti. Non ho ancora potuto visionare il libro del sig. Capobianco e, quindi, non so se era a conoscenza di questa presenza in Friuli. Se può essere di interesse, posso trasmettere volentieri qualche foto delle testimonianze citate. Un cordiale saluto. F.C.
- francescutti gioacchino - Faccio i complimenti a Carlo Capobianco per l'impegno e la tenacia con la quale ha portato avanti la sua ricerca e la pub blicazione che parla di una tragedia mai del tutto chiarita nei suoi aspetti, e, per noi friulani mai dimenticata. Anche io sono nipote di un alpino disperso . Grazie Capobianco