Vino: in Puglia c'è anche quello "barese", ma è meno conosciuto e diffuso. Ecco perché
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martedì 2 marzo 2021
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di Gabriella Mola
Lo abbiamo chiesto al 30enne Vito Angiuli, proprietario dell’azienda vinicola Angiuli di Adelfia, nata nel lontano 1880 ma che, come tante altre realtà locali, ha iniziato a “etichettare” solo a partire dal 2000.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Perché nel barese si è arrivati tardi a vendere vino imbottigliato?
Le motivazioni sono diverse. La prima è legata al fatto che, sin dalla seconda metà dell’800, l’uva prodotta a Bari e provincia è stata utilizzata più che altro per “tagliare” altri vini. Il mosto veniva infatti spedito direttamente nel Nord Italia per correggere prodotti caratterizzati da eccesso di acidità, scarso colore e basso grado zuccherino. Non è un caso che in passato molte aziende venissero costituite proprio vicino alla ferrovia: in questo modo si caricavano più velocemente i treni che partivano per il settentrione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E poi nel secolo successivo arrivò il boom dell’uva da tavola…
Sì, a partire dagli anni 30 del 900 il barese divenne “patria” dell’uva da tavola. Si preferì puntare su questo prodotto perché forniva una resa decisamente superiore all’uva da vino. Tra l’altro il terreno del sud-est barese si dimostrò adattissimo a questo tipo di coltura: essendo carico di azoto conferiva più zucchero, con l’argilla che andava poi a regalare un bel colore dorato. Così gli agricoltori decisero di specializzarsi, anche grazie all’ideazione del “tendone” che fu impiantato per la prima volta a Noicattaro. Proteggeva le piante dall'irraggiamento diretto del sole, garantendo loro una maggiore aerazione. Questo sistema col passare degli anni si fece sempre più delineato e organizzato, tanto da essere richiesto da altre regioni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Negli ultimi decenni però il mercato del vino è esploso. Tra l’altro in Puglia sono giunti investitori che hanno puntato forte sulle viti locali. Nel barese però questa “aria nuova” non è stata avvertita: come mai?
Per via dell’estremo frazionamento delle terre tipico del sud-est barese. Qui i possidenti hanno da sempre coltivato l’uva in piccoli vigneti molto distanti tra di loro, spesso gestiti da diversi componenti della famiglia. Il motivo era quello di ridurre al minimo i rischi derivanti da agenti atmosferici sfavorevoli come la grandine. Così se il maltempo colpiva un’area rovinando il raccolto c’era sempre un’altra zona che si salvava.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Una tattica intelligente…
Che però ha sfavorito Bari nel momento in cui in Puglia sono arrivati gli investitori dal settentrione. Costoro hanno infatti preferito acquisire grandi appezzamenti di terreno del Salento o del foggiano, in modo da ottimizzare le risorse evitando nel contempo di dover predisporre mille atti notarili. Si pensi ad esempio all’azienda “Tormaresca” di proprietà della famiglia toscana Antinori. Quest’ultima alla fine degli anni 90 ha deciso di comprare nel tacco d’Italia, ma lo ha fatto a Minervino Murge e a San Pietro Vernotico, non certo a Gioia del Colle, Adelfia, Acquaviva o Santeramo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Un peccato se si considerano le grandi potenzialità del vino “barese”.
Certo. Basti considerare che il famoso Primitivo nasce proprio a Gioia e non a Manduria come molti pensano. Fu scoperto dal gioiese Indelicati nel 700, ma nel 1881 la contessina Sabini di Altamura si sposò con un nobile di Manduria e portò in dote proprio le barbatelle di primitivo che da allora si diffuse nel sud della Puglia. Se però negli anni la variante tarantina è stata in grado di diffondersi e farsi conoscere in tutto il mondo, quella barese è rimasta decisamente indietro. E questo ancora oggi. Basti pensare che noi come azienda vinicola spesso declassiamo la doc Gioia del Colle trasformandola in “Igp Puglia”: denominazione che, rispetto alla prima, riesce a essere maggiormente spendibile sul mercato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
* foto di Antonio Caradonna
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
I commenti
- Miriam Buono - Brava Gabriella interessante articolo hai centrato in pieno la problematica e poi orgogliosa dell' intervista ad un mio compaesano proprietario dell' ottima cantina Angiuli Un saluto Miriam Buono