di Luca Carofiglio - foto Antonio Caradonna

Rom, depuratori, canili, rifiuti: nelle campagne di Japigia la Bari ''indesiderata''
BARI - Cani randagi, antenne inquinanti, depuratori maleodoranti, un caterva di rifiuti e i malvisti rom. È il particolare "mondo" che si presenta alla fine di via Caldarola, nel quartiere Japigia di Bari, lì dove la strada sembra finire con un lungo cavalcavia che scavalca la tangenziale. Superato il ponte infatti si trova un'area “nascosta”, immersa nella campagna, in cui i baresi hanno relegato in un colpo solo tutto ciò che non vogliono avere sotto i loro occhi. (Vedi foto galleria)

Il nostro viaggio parte appunto nel pezzo terminale di via Caldarola. Sulla destra scorgiamo il Polivalente che raccoglie alcuni istituti scolastici del rione, mentre a sinistra si erge la chiesa di San Marco, singolare masseria settecentesca adibita dal 1977 a luogo religioso. L'arteria è ingombrata da diversi autobus dell'Amtab che qui ha allestito uno dei suoi capolinea.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ci incamminiamo sul cavalcavia, un posto a noi già noto. Al di sotto di esso infatti nel 2012 raccontammo del rudimentale accampamento realizzato da due rumeni, poi sgomberato dai vigili l'anno dopo. Vi parlammo anche della grossa discarica abusiva sviluppatasi tra i pilastri del viadotto, costellata da arredi e televisori gettati senza troppi complimenti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Lungo il ponte incrociamo una coppia di rom: lui porta con sè una bici, lei spinge un passeggino, incuranti delle auto che sfrecciano a poca distanza. Quando il manto stradale comincia a scendere, imbocchiamo l'uscita a destra che immette in strada di Circonvallazione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Qui scarpiniamo per un centinaio di metri, costeggiando sulla sinistra un appezzamento di terreno recintato interamente da tendoni agricoli: è il campo rom "a cinque stelle", di cui ci siamo occupati in passato. Il soprannome è dovuto al fatto che qui vi sono servizi essenziali come i bagni, l'acqua potabile e l'accesso alla corrente elettrica, "privilegi" assenti negli altri insediamenti simili sparsi per la città. La tendopoli è circondata da cassonetti brucitati e materassi lasciati lì a "marcire" sotto le intemperie.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Giungiamo così su un'ampia rotonda: da qui scegliamo di percorrere sulla sinistra in viale Tre Pile, che si fa largo tra una serie di muri posti su entrambi i lati. C’è anche l’ingresso di una villa, composto da due colonne in pietra e un cancello bianco che nasconde un giardino con alti alberi. Ma non c’è né un citofono a cui suonare, né passanti a cui chiedere chi ci abita.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Probabilmente si tratta dell’abitazione di un custode, quello magari dell'imponente depuratore dell'Acquedotto pugliese. I sylos dell'impianto sono ben visibili anche se protetti da più recinzioni: è da qui che in presenza di vento si innalza l'olezzo di fogna che spesso va ad avvolgere l'intera Japigia. Gli enormi serbatoi mostrano una colorazione rossiccia dovuta all'effetto inesorabile della ruggine.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ci spingiamo più avanti, laddove la carreggiata si restringe e subisce l'invasione della vegetazione incolta. Dinanzi a noi ora svetta la sagoma della "Torre Eiffel" di Bari: è il traliccio di trasmissione delle radio Fm private, che con i suoi 106 metri di altezza risulta essere la più alta costruzione del capoluogo pugliese. La struttura è stata confinata qui per preservare in qualche modo l'abitato dalle emissioni elettromagnetiche. Forte è il contrasto tra la visione di questi giganti di ferro e il verde circostante.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Torniamo sui nostri passi e alla rotonda giriamo a sinistra in una lingua d’asfalto che corre parallela alla tangenziale. Anch'essa prende il nome di via Caldarola ed è conosciuta soprattutto dai baresi più "atletici": affianca infatti due tra i centri polisportivi più grandi della città come il Di Palma e l’Olimpic Center. La viuzza svolta a sinistra e incrocia poi strada rurale Rafaschieri, una di quelle affascinanti arterie di campagna che portano a Mungivacca e Triggiano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


È il momento di tornare indietro, all'estremità del cavalcavia. Qui si hanno due possibilità: girare a sinistra per tornare nel quartiere (ed eventualmente entrare nella circonvallazione) oppure andare a destra sul prolungamento di via Caldarola. Scegliamo la seconda opzione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Costeggiamo così un cancello abbellito da un'aquila e dopo pochi metri svoltiamo a destra: una scritta rossa fatta su un muro con una bomboletta spray ci informa che ci stiamo infilando in strada II Frattasio. La viuzza, delimitata da bassi muretti a secco, si inoltra tra vasti uliveti puntellati dalla solita sporcizia. Sulla destra, davanti a un piccolo rudere, balza all'occhio un cumulo di immondizia spaventoso: bustoni della spazzatura, resti di materiale edilizio e persino videocassette deturpano svariati metri quadri di terreno.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A un certo punto però il muretto a secco di sinistra si interrompe: il varco permette di passeggiare tra gli ulivi e di giungere poi a sorpresa in un boschetto di querce, racchiuso in un appezzamento quadrato. Qui i fusti degli alberi si innalzano piegando verso il centro dell'area verde, creando un inaspettato gioco di luci e ombre. La presenza di cartucce esplose e il rumore lontano di alcuni spari lasciano intendere che siamo in una zona di caccia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Torniamo su strada Frattasio e approdiamo dinanzi ad alcuni fabbricati rosati: è quel che resta di un impianto di affinamento del consorzio Terre d'Apulia. Le costruzioni, prese di mira dai writers, risultano difficili da esplorare per via dei tanti calcinacci ammassati sui pavimenti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Facciamo quindi marcia indietro per ritrovarci sul prolungamento di via Caldarola, l'ultima strada che abbiamo intenzione di perlustrare. Si addentra tra le campagne e dopo una manciata di chilometri conduce a Triggiano. Incrociamo una macchina con dei ragazzi all’interno che si stanno dirigendo proprio verso il paese. «È una via alternativa per tornare da Bari - spiegano con malizia i giovani -, l'ideale per evitare i posti di blocco specie se si è un po’ brilli».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Proseguiamo e sulla sinistra avvistiamo un altro boschetto. Cerchiamo di avvicinarci agli alberi e incontriamo Giovanni, un agricoltore della zona. «Non vi conviene andare di là, lasciate stare», ci dice il contadino con fare misterioso, senza spiegarci il perchè. Ma noi, presi dalla curiosità, ignoriamo il suo consiglio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Arrivati a destinazione scopriamo di esserci imbattuti in un bel faggeto che "racchiude" tra i suoi rami una vecchia torretta dell'Enel con annessa casina in disuso. Ma la "magia" di aver trovato finalmente un pezzo di natura curato dura poco: guardandoci attorno notiamo come anche qui diversi angoli siano stati trasformati in un autentico immondezzaio. Cumuli di vetri rotti, oggetti di plastica, pneumatici, computer, frigoriferi e persino giocattoli rovinano irrimediabilmente un luogo che potrebbe essere benissimo sfruttato per un picnic.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il nostro tour termina qualche decina di metri più in là, dove perveniamo di fronte a un cancello verde: quello del Mapia, il più grande canile del Mezzogiorno, attivo dal 1994. La ringhiera, le mura e i massicci alberi celano alla nostra vista le tantissime bestiole bisognose di essere curate e soprattutto adottate. Del resto anche loro, così come i rom, i tanti rifiuti e lo "sgradevole" depuratore, fanno parte della Bari "indesiderata": un ripostiglio a cielo aperto dove il resto della città cerca di stipare ciò che non vuole avere tra i piedi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

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  • antonio arky colavitti - purtroppo è una peculiarità di tante periferie e satelliti di aree metropolitane, ciononostante i ns urbanisti e politici perseguono diabolicamente l'errore!


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