di Salvatore Schirone e Bepi De Mario - foto Antonio Caradonna

Da inavvicinabile "lazzaretto" a quartiere borghese: è la storia di Poggiofranco
BARI – Da inavvicinabile “lazzaretto” a quartiere borghese. Non tutti sanno che Poggiofranco, il rione forse più “ricco” di Bari abitato com’è da imprenditori e professionisti, è nato sessant’anni fa in una zona non solo periferica e popolare, ma soprattutto poco “raccomandabile”, per via della presenza del sanatorio “Cotugno”: l’istituto che ospitava i malati di tubercolosi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La “vecchia” Poggiofranco sorse proprio attorno al sanatorio, con l’edificazione nei primi anni 50 di alcune case popolari tra viale Papa Giovanni XXIII, via Niceforo, via Pansini e viale Papa Pio XII. Bassi e colorati edifici di due massimo tre piani, inseriti in aree condominiali circondate da strette stradine, che sono ancora presenti e abitati. (Vedi foto galleria)

«Io vivo ancora in una di quelle case», ci spiega Vito Arcieri, 72enne cresciuto in questo rione e memoria storica del quartiere. Lui dal 1969 gestisce un’autofficina ad angolo tra via Pansini e via Mauro Amoruso e ha visto con i suoi occhi la trasformazione di Poggiofranco da “terra di nessuno” ad ambita zona residenziale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Negli anni 50 qui però non c’era nulla – continua l’uomo -. Le poche palazzine popolari erano inserite in un contesto fatto di campagna, piccole masserie e la solitaria ottocentesca villa Costantino che si trova ancora oggi su via Camilla Rosalba. Il filobus che saliva da viale Orazio Flacco finiva la sua corsa davanti all’ospedale e poi tornava indietro».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L’ospedale appunto, quello che tutti i baresi ricordano ancora come il “lazzaretto” e che dopo varie trasformazioni oggi ospita l’istituto oncologico “Giovanni Paolo II”. Fino a metà degli anni 60 la struttura fu utilizzata per ospitare e isolare coloro che erano stati colpiti da tubercolosi, malattia altamente infettiva. L’alone di paura che circondava l’area era sufficiente a tenere lontani il resto dei baresi. «Lì non ci poteva entrare nessuno, era sorvegliatissimo – ci spiega sempre la nostra guida  –. Noi ragazzini non potevamo nemmeno giocare a pallone nelle vicinanze: c’era sempre un guardiano che ci cacciava».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
Come detto l’ospedale è ancora presente: costeggia con il suo alto muro la fine di viale Orazio Flacco e sull’austero portale di entrata, lasciato intatto dopo la ristrutturazione di una quindicina d’anni fa, si legge ancora in caratteri romani l’anno di fondazione: 1939.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ma proseguiamo il nostro viaggio nella prima Poggiofranco. Di fronte all’istituto si trova un giardinetto compreso tra la biforcazione dei viali Orazio Flacco e Papa Pio XII. La particolarità è che si trova su una piccola altura che degrada verso le case popolari di via Pansini: un “poggio” appunto, che probabilmente ha dato il nome al quartiere.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

All’interno del giardino si trova poi un altro simbolo del rione: quella strana struttura che dal 1978 ospita una nota rosticceria della città. E’ a due piani, ognuno dei quali a forma di cilindro, ma il secondo è più basso e largo di diametro così da dare alla struttura la forma di un “fungo”. «Fu costruito nel 1955 come chiosco provvisorio a uso bar– ci racconta Giuliano, gestore della rosticceria e proprietario dell’immobile -. Nei primi anni fu però adibito a deposito per le maestranze impegnate nella costruzione del nuovo quartiere. Successivamente il fungo fu affittato alla Asl per farne un centro per le vaccinazioni, per poi essere da me rilevato e trasformato in rosticceria».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


«La struttura però all’inizio degli anni 70 fu occupata abusivamente - ci avverte Vito -. Venne utilizzato come deposito di refurtiva dal malavitoso Giuseppe Carenza, affiliato a una grossa banda di delinquenti di Bari Vecchia. Ma un giorno ci fu il blitz della polizia».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Qui l’anziano si ferma per lasciar proseguire il racconto al collega Vincenzo (elettrauto che lavora accanto a lui) e a una 79enne pensionata che abita a Poggiofranco dal 1962. «Era il 19 gennaio del 1973 – ricordano i due -. La squadra si appostò presso il distributore di benzina situato tutt’ora in Viale Papa Pio XII, di fronte all’abitazione dei genitori di Carenza e tese l’imboscata. Ma il bandito reagì prontamente: si mise al volante di una 500 e aprì il fuoco. Un maresciallo si scagliò allora contro di lui per disarmarlo ma fu colpito al volto e ucciso. Seguì una sparatoria durante la quale Carenza fu ferito gravemente e arrestato. Nell’occasione vennero ferite in modo lieve anche le sorelline del delinquente che si trovavano assieme a lui».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Abbiamo verificato la storia raccontataci dagli anziani di Poggiofranco: è tutto vero. Il povero maresciallo si chiamava Vittorio Maggiore e aveva 49 anni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Una rara foto della fine degli anni 60 mostra l’incrocio tra viale Orazio Flacco, via Pansini e via Mauro Amoruso: il cuore della vecchia Poggiofranco. Al centro il “fungo” con una scala a chiocciola in seguito eliminata e i sette box che ospitarono i primi esercizi commerciali della zona (tra cui una storica tabaccheria) e che ora sono occupate dalle autofficine.  

Una cartolina che immortala l’inizio del riscatto di un quartiere che non ci stava a essere considerato periferia, lazzaretto o ricettacolo di malavita e che seppe trovare la forza di cambiare e di trasformarsi. Perché a partire dall’inizio degli anni 60 tutto cambiò, nel momento in cui la famiglia Amoruso Manzari, proprietaria della maggior parte dei terreni qui presenti, decise di investire nel cemento. Si aprirono strade e vennero costruiti nuovi appartamenti circondati da verde e cortili. Il rione si espanse prima fino a viale Kennedy, per arrivare poi nei decenni successivi a ridosso della tangenziale. 

«Era il 1965 – conclude Vito – tornai dal militare e il mio quartiere era irriconoscibile, non riuscivo quasi più a trovare la strada di casa mia, sembrava di essere in un’altra città. Era nata la nuova Poggiofranco».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

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