di Eva Signorile

Stalle, locande e prostitute: la "Guaragnèdde", una Bari scomparsa che sopravvive
BARI – Ciò che è rimasto è una manciata di basse, colorate e scalcinate antiche palazzine nascoste all’ombra di alti edifici nati intorno agli anni 70. Oggi vi parliamo di una zona di Bari che sembra essere stata letteralmente cancellata dalla memoria della città, ma che nonostante questo continua imperterrita a sopravvivere, con i suoi ricordi, i suoi racconti, i suoi riti. E’ la “Guaragnèdde”, una piccola porzione di territorio raccolta tra via Brigata Regina e via Napoli, il cui nome rimanda a storie di stalle, locande e prostituzione e alla quale sono legate le leggende della “Mòsce” e delle “Pazzaridde”. (Vedi foto galleria)

Siamo in una parte di Bari abbastanza isolata, di fronte al porto e compresa tra i quartieri Libertà e Marconi, non lontana da fabbriche in disuso come quell’ex acciaieria Scianatico di cui abbiamo già scritto. Per accedervi occorre imboccare via Brigata Regina: poco prima di arrivare sul lungomare Vittorio Veneto sulla sinistra si apre una stretta strada: è via Chiaia, quella che permette l’ingresso alla “Guaragnèdde”. Qui ci sono vicoli conosciuti solo dai residenti: via Ricciotto Canudo, via Capitano Michele Milano, via Arcangelo Scacchi, via Francesco Rismondi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Proprio da quest’ultima strada partiamo nel nostro racconto di una Bari dimenticata. Qui, in un due vani a pianoterra conosciamo le sorelle Musto: Maria e Filomena. Hanno entrambe superato gli 80 anni, ma possiedono una memoria che l’età non ha scalfito. Le troviamo in questa stanza che un tempo era il vano della pescheria di famiglia: la vera casa era la stanza alle spalle, quella che ora è la camera da letto. Maria è la più grande e mentre racconta pela una quantità infinita di patate che si faranno fritte per i nipoti. “Memena”, cioè Filomena, è invece più timida e sta seduta davanti a una stufa stringendosi al marito Vito che le siede accanto silenzioso.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Questa zona è nata all’inizio del secolo scorso e si è in seguito chiamata “Guaragnèdde”, in onore del signor Guaragnella, un uomo ricco e padrone di tutta la terra qui intorno – ci racconta Maria alternando l’italiano a un dialetto serrato -. Qui un tempo abitavano gli stallieri e i carrettieri: era pieno di stalle per i cavalli. La frutta e la verdura che arrivavano dal porto venivano poste sui carri e fatte partire per i “sette casali”».  «Si trattava dei paesi vicini come Palese, Santo Spirito, Carbonara e Triggiano», ci spiega Domenico, genero di Filomena, anche lui presente nella stanza assieme alla moglie Maria. 
 
Essendo una zona movimentata, di scambi e commerci, qui c’erano anche osterie, cantine e naturalmente prostitute. «Le “male donne” stavano però alle “Pazzarìdde”», tiene a precisare Filomena. Da quanto capiamo questa parte di quartiere non esiste più: è stata buttata giù dai palazzi sorti negli anni 70 tra via Tommaso Fiore e corso della Carboneria, lì dove si trova il Tribunale dei Minorenni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Mentre la “Guaragnèdde”, per quanto circondata da nuove costruzioni, continua nel suo piccolo a resistere. Lasciamo così la famiglia per immergerci nelle pittoresche viuzze del rione. Ci dirigiamo su via Milano, una stradina caratterizzata per basse palazzine a uno-due piani dei primi del 900.  Ne individuiamo una giallo sole e rosso argilla, che reca ben evidente in alto l’anno di costruzione: 1925.  Sul portone dell’edificio si trova un’edicola di Sant’Antonio: ne scopriremo altre due in via Scacchi e nella traversa I di via Brigata Regina. I residenti sono infatti da sempre devoti al Santo di Padova, che viene celebrato con tutti i crismi il 13 giugno di ogni anno.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Proseguiamo e ci sorprende una casettina che sembra sbucata da un libro di fiabe, dipinta com’è di un tenero verde pastello. Un’altra invece ha le pareti dipinte di un rosso scuro su cui spiccano la porta e la finestra in legno, ingentilite da candide tende in pizzo. Anche sulla più ampia via Arcangelo Scacchi, si alternano vecchi edifici abbandonati (probabilmente vecchie stalle) a immancabili abitazioni colorate. Ma ora dobbiamo terminare il nostro giro perché abbiamo appuntamento in via Ricciotto Canudo dove ad aspettarci c’è il 52enne signor Vincenzo, proprietario di un’enoteca.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Lui è infatti il diretto discendente della mitica “Jannìne La Mòsce”. «Giovannina era la mia bisnonna – ci dice l’uomo – ed era soprannominata così perché in quel modo si definivano le persone il cui viso era stato deturpato dal vaiolo». Jannìne assieme a suo marito Nicola Angiuli aveva aperto alla fine dell’800 una locanda dove si poteva bere e mangiare del buon cibo casalingo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il locale (che nel passaparola della gente prese anch’esso il soprannome della proprietaria) sopravvisse per decenni e diventò frequentatissimo e famoso in tutta Bari. Vincenzo ci mostra una pubblicazione in bianco e nero dove in una foto del 1948 si vedono i vecchi proprietari e una parte della locanda: un patio protetto da una piccola tettoia, panche, tavoli e casse di birra.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Della “Mòsce” è ancora possibile scorgere l’accesso, su via Brigata Regina 140. In un lungo muro di tufo, nel tratto finale della strada, si nota una piccola porta in metallo arrugginito: è da lì che si entrava nel locale situato proprio tra il lungomare e via Brigata. Oggi varcato quel confine si notano ancora i resti dei muri perimetrali della locanda nascosti in un’area ormai adibita a parcheggio fra pezzi di vecchi mobili e gatti randagi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il locale chiuse nel 1965. In quegli anni anche Guaragnella vendette i terreni in suo possesso per permettere la costruzione di alti palazzi in cemento armato. Non ci fu più posto per carrettieri e cavalli, ma i più tenaci fecero in modo di resistere, come le sorelle Musto i cui figli acquistarono l’edificio in cui un tempo vivevano e vendevano il pesce o come il panettiere di fronte a casa loro, che esibisce con orgoglio la storia di famiglia: “Panificatori da tre generazioni”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Insomma la “Guaragnèdde”, seppur con difficoltà, è sopravvissuta. Oggi appare come un luogo dove sembra che il tempo si sia fermato. Le abitazioni sono sempre quelle di una volta e qui tra edicole votive che rimandano ai vicoli di Bari vecchia e fra crocchi di gente che chiacchiera sull’uscio di casa, i bambini giocano ancora a pallone per strada. E fa nulla che da via Milano si intraveda il nuovo ponte Adriatico che “scende” tra gli alti palazzi circostanti: quella in fondo è un’altra città.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)


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Eva Signorile
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  • alberto grandolfo - LE FACCIO PRESENTE PER AMOR DI VERITA' STORICA CHE IL TALE RICCO "GUARAGNELLA" SI CHIAMAVA PRECISAMENTE : PIETRO LAGUARAGNELLA PERTANTO IL NOME DELLA ZONA DERIVA DAL COGNOME PER ESETESO!
  • Francesco Quarto - sorprendente! Sono entusiasta ... ci passo spesso per raggiungere la biblioteca nazionale (per evitare traffico) e in effetti è un percorso fuori dal mondo e pieno di indicaizoni toponomastiche di "prestigio". Brava la SIgnorile! e Brava Barinedita che ci regala scorci inediti e suggestivi della nostra città! Francesco Quarto
  • Giuseppe Vischio - ...un vago ricordo della mia infanzia in via riciotto canuto della guaragnella, risveglia momenti di vita vissuti nei primissimi anni 60. E' bello tornare a sognare quegli attimi vissuti, anche grazie a voi che riportate alla memoria la Bari che fu.


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