di Ilaria Milella

Strage di via Niccolò dell'Arca: il ricordo di Mario, uno dei sopravvissuti
BARI  -La mattina del 28 luglio 1943 a Bari, in via Niccolò dell’Arca, 20 persone furono uccise per mano dei fascisti. Quest’anno, a 70 anni da quel giorno, il Comune di Bari ha voluto ricordare la strage dedicando alla memoria dei caduti delle pietre d’inciampo e delle lastre commemorative (vedi foto galleria). Noi abbiamo ascoltato la testimonianza del 90enne Mario Carli, che quel giorno assistette alla carneficina e perse uno dei suoi più cari amici: il 18enne Vittorio Giove. Questo è il suo racconto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Nel 1943 io e Vittorio Giove vivevamo nello stesso palazzo, ci conoscevamo da sempre e eravamo molto amici. Il padre di Vittorio era il marchese Pappalepore, con cui aveva un rapporto molto conflittuale. La mattina del 28 luglio tutta la nostra “comitiva” era riunita al Caffè Savoia: eravamo riusciti a convincere Vittorio a riappacificarsi con il padre, con cui non parlava da diverso tempo. L’incontro tra i due era appunto fissato in quel bar. Purtroppo però la cosa non presa la piega giusta: dopo qualche minuto Vittorio non volle più saperne di parlare e decise di allontanarsi. E noi gli andammo dietro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Quel giorno per le strade di Bari sfilava  un corteo. Era diretto verso il carcere della città per richiedere il rilascio di un gruppo di antifascisti.  La fila dei dimostranti superò via Sparano, e noi, vedendoli, ci unimmo alla schiera, incuriositi. Oltrepassammo piazza Umberto e imboccammo via Niccolò dell’Arca, arrivando all’altezza del vecchio cinema Umberto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


In quella strada c’era la federazione dei Fasci di Combattimento, che quel giorno era presidiata da alcuni soldati.  Noi ci avvicinammo al portone della federazione, ma un ufficiale invitò tutti i civili ad abbandonare il terreno. I manifestanti però non si mossero. L’ufficiale mandò un secondo avvertimento ai civili e ordinò alle  truppe il “crociatet”, ovvero l’ordine di mettersi in posizione di fuoco. Tra i cittadini fu un marinaio il primo a rendersi conto di quanto stava per accadere: disse a tutti di disperdersi e allontanarsi. Purtroppo però nessuno si mosse. E in quel momento l’ufficiale  gridò: “crociatet! puntate! fuoco!”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Noi ci trovavamo vicino al portone del cinema Umberto e come gli altri cominciammo a scappare. Tutti riuscirono a disperdersi, tranne 20 ragazzi che si trovavano per terra, feriti o morenti. Io fui fortunato, venni urtato da un gruppo di persone che si era voltato per correre via: il colpo mi fece cadere e finii sotto una pila di cadaveri. Così mi salvai la vita.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Dopo circa  quindici minuti la strada si era svuotata, io mi alzai e raggiunsi mio padre, che lavorava  lì vicino. Ma prima guardai in terra e tra i tanti corpi ormai senza vita vidi quello di Vittorio: giaceva riverso al suolo, ormai morto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Non ho mai dimenticato quel giorno, l’ho portato dentro di me per tanti anni e non mi lascerà mai. Ma ricordare è importante. Solo così gli uomini, forse, riusciranno a non ripetere i gravi errori commessi nel passato».


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