di Martina Fredella

I congolesi che giunsero nel 1973, primi immigrati africani a Bari: «Ci guardavano tutti con curiosità»
BARI –  Furono i primi africani ad approdare a Bari, ma a differenza dei tanti immigrati giunti in seguito in Puglia per scappare da povertà e miseria, i 25 congolesi che arrivarono qui nel 1973 lo fecero solo per un motivo: studiare all’università. Il gruppo proveniente dall’ex Zaire (Paese che cambierà nome nel 1997 in Repubblica Democratica del Congo), faceva infatti parte di “Cooperazione allo Sviluppo”, un programma della Comunità Europea rivolto ai Paesi meno ricchi del pianeta.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E quei ragazzi, all’epoca poco più che ventenni, a Bari riuscirono a laurearsi e specializzarsi, anche se solo tre di loro rimasero nel capoluogo pugliese. Tutti gli altri preferirono raggiungere altri Paesi europei, come il Belgio, stato di cui il Congo è stato per decenni una colonia. Ancora oggi, nonostante la forte emigrazione che caratterizza la nazione dell’Africa centrale, i congolesi difficilmente scelgono come “meta della speranza” il Sud Italia, prediligendo il Nord della penisola ma soprattutto le nazioni francofone (il francese è la loro lingua ufficiale).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

I giovani rimasti in Puglia nel corso degli anni divennero comunque tutti medici, si sposarono con donne baresi e misero su famiglia. Abbiamo così incontrato il 69enne Kasongo, il 71enne Marussia e il 73enne Sele per farci raccontare la loro storia. L’occasione è stata una festa organizzata il 30 giugno scorso (giorno dell’indipendenza del Congo) all’interno del "Bistrot sociale multietnico” di Piazza del Redentore. (Vedi foto galleria)

Quando arriviamo nel locale rimaniamo sorpresi nel trovare ben otto persone originarie dell’Africa. Oltre ai tre congolesi “baresi” ci sono infatti Njela, Mwanya Mboyo, Kalonji, Mabonfo e Mbandà: tutte persone che negli anni 70 studiarono in Puglia prima di prendere la strade del Veneto, della Lombardia o della Francia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Sono venuto qui da Parigi non solo per celebrare l’indipendenza del nostro paese, ma per ritrovare i compagni di una vita, a 50 anni esatti da quel fatidico 1973 - ci spiega commosso il medico Mabonfo, giunto assieme alla sua compagna Sylvie con la quale vive nella capitale francese dal 1981 -. Nonostante la lontananza continuo a ricordare gli anni dei nostri studi a Bari con grande nostalgia».

Il racconto degli otto inizia proprio da quel gennaio del 1973, quando presero un aereo lasciando per sempre la patria natìa. «La nostra storia non è la tipica storia d’immigrazione - esordisce Kasongo -. All’epoca fummo infatti selezionati in qualità di studenti più meritevoli del nostro paese, ricevendo una cospicua borsa di studio per permetterci di essere autonomi a Bari, città della quale ignoravamo l’esistenza. La cercammo sull’atlante geografico e da lì partì la nostra avventura».


«Atterrammo a Roma con un prestigioso volo Alitalia – continua Marussia, accompagnato dal figlio Maysha, nato a Bari venticinque anni fa -. Eravamo inizialmente 25, tra cui due donne, ma nell’anno successivo se ne aggiunsero altri cinque».

Il loro arrivo in Puglia suscitò parecchia curiosità: a quel tempo infatti le persone di colore rappresentavano una vera e propria rarità. «Alcuni si affacciavano dai balconi chiamando i loro famigliari affinché potessero guardare passare gli stranieri dalla pelle nera  - continua Marussia -. Mi ricordo che nel quartiere Madonnella una donna urlò al marito: “Carlo, vieni a vedere, sono arrivati i cinesi”.

Del resto a parte qualche studente greco, mio marito e i suoi compagni erano di fatto gli unici universitari stranieri - sottolinea la 72enne barese Maria, moglie di Marussia -. Noi ragazze facemmo di tutto per trascorrere un po’ di tempo con loro, desiderose di conoscere il loro mondo, anche se all’inizio si dimostrarono schivi, non ci diedero molta confidenza. Poi però con il passare del tempo si ammorbidirono. E in qualche caso, come nel mio, l’amicizia si trasformò in amore».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

I congolesi studiavano più che altro materie scientifiche, come medicina, farmacia, veterinaria e ingegneria, poiché il loro scopo era quello apprendere quanto più possibile del know-how europeo così da portare in patria il sapere più avanzato. Purtroppo però, a causa prolungati conflitti interni che ancora oggi rendono instabile il Congo, ciò non divenne possibile.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Io scelsi di studiare ingegneria civile e meccanica perché la mia intenzione era quella di costruire le strade e le infrastrutture nel mio paese - ci confida Kalonji -. Ma la situazione politica ed economica andò peggiorando di anno in anno e così decisi di non tornare più, rimanendo per sempre in Europa».

«Del resto oggi siamo qui per celebrare l’autonomia politica del nostro paese, che in realtà è sempre più sottomesso alle potenze straniere – dichiara il medico Mbandà  –. Io comunque sono contento di essere qui: in questa città che mi è rimasta nel cuore ho ritrovato i miei amici, coloro che hanno condiviso con me il sogno di migliorare il nostro povero Congo».

(Vedi galleria fotografica)


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