di Gaia Agnelli

Centinaia di alti falò sparsi per le vie di Castellana: è la suggestiva e "infuocata" Festa delle Fanove
CASTELLANA GROTTE – Centinaia di altissime cataste di legna che restano accese per tutta la notte e intorno alle quali ci si riunisce intonando canti popolari e gustando pietanze tradizionali. È questa la “Festa delle Fanove” di Castellana Grotte, un secolare rito in cui devozione religiosa e folklore si uniscono, dando vita ogni 11 gennaio a una magia “infuocata”. (Vedi foto galleria)

Certo, l’usanza dei falò è presente un po’ in tutto il barese. Si pensi a quelli in onore di San Giuseppe, della Madonna dell’Immacolata Concezione a Capurso o di Santa Lucia a Corato. Ma a Castellana l’evento assume una dimensione che è lecito definire enorme, con quasi 300 fuochi ardenti sparsi per tutto il paese. E questo dal lontano 1691, anno in cui si è cominciato a omaggiare la Madonna di Vetrana, colei che liberò la cittadina dalla peste.

«La leggenda ha origine nel dicembre del 1690 – ci spiega Luigi Nitti, cultore di storia locale –. Una nave proveniente dal Montenegro approdò in una cala di Costa Ripagnola, tra Cozze e Polignano, sbarcando un carico di merce infetta. Fu così che la terribile malattia, in men che non si dica, si diffuse in tutti i paesi limitrofi, bussando il 23 dicembre anche alle porte di Castellana».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Coloro che vennero colpiti dal morbo furono isolati in un lazzaretto ubicato presumibilmente nel convento di San Francesco da Paola. «La paura cominciò a prendere il sopravvento  - continua l’esperto -. Così la sera tra l’11 e il 12 gennaio del 1691 due sacerdoti, don Giuseppe Gaetano Lanera e don Giosafat Pinto, pensarono di rivolgersi alla Madonna per superare questo momento di difficoltà. In particolare il primo si recò nella chiesetta rurale della Madonna della Vetrana per recitare le sue preghiere. Si trattava di un tempietto del XIII secolo dove, posizionata sotto un affresco della santa, si trovava una lampada votiva dentro la quale ardeva un olio sacro».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

I religiosi rimasero ore e ore a implorare la Vergine, sino a quando decisero di andare a dormire. E fu allora, durante la notte, che apparve loro in sogno la Madonna, la quale sussurrò che se gli appestati fossero stati unti con l’olio ardente sarebbero guariti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La mattina del 12 gennaio 1691 i religiosi seguirono l’indicazione ricevuta e si recarono nel lazzaretto ungendo i bubboni dei malati proprio con l’olio benedetto. E incredibilmente tutti furono liberati dalla malattia, la quale abbandonò subito Castellana Grotte. Così la città contò solamente 22 morti, a differenza delle vicine Conversano e Monopoli che registrarono oltre mille decessi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Il giorno successivo i cittadini si adoperarono per effettuare le operazioni di pulizia e disinfestazione, bruciando tutti i vestiti e gli oggetti dei ricoverati. La tradizione dei falò avrebbe origine proprio da quell’atto di liberarsi delle suppellettili “sporche”. «Ma non solo - sottolinea Nitti -: perché i castellanesi accesero i fuochi per ringraziare la Madonna del miracolo, in segno di festa, accoglienza e calore».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Tra i guariti ci fu pure la contessa Dorotea Acquaviva dei Duchi d'Atricontessa, la quale per riconoscenza alla Santa Liberatrice stanziò dei finanziamenti per ricostruire un nuovo Santuario della Madonna della Vetrana, tutt’ora esistente, davanti al quale ogni anno viene acceso uno dei falò più grossi delle Fanove.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Qui si brucia tradizionalmente la prima delle quasi 300 pire che arderanno nella notte tra l’11 e il 12 gennaio – ci illustra l’esperto di storia castellanese Sebastiano Coletta  –. Quella del Santuario prende vita utilizzando la fiaccola dell’antica lampada votiva del miracolo. E dalla chiesa parte poi una lunga fiaccolata che gira per tutto il paese andando ad accendere le altre cataste sparse per le strade. I fuochi più alti raggiungono anche i 20 metri, come i tre di Porta Grande, quello del Convento e quello di Largo San Leone Magno, mentre gli altri si aggirano sui 13 metri. Un tempo i falò erano una decina, anche perché era faticoso metter su la legna usando solo le scale: ora invece ci sono i macchinari che rendono tutto più semplice».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Una volta accese le pire ci si riunisce intorno ad essi per riscaldarsi, cantare e ballare. Ovviamente non manca la parte gastronomica: perciò al folkore si alternano gustose pause culinarie con taralli, ceci fritti, legumi, frittelle, carne arrostita o al sugo e bicchieri di vino rosso.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Anche se c’è da dire in realtà che l’evento inizia qualche giorno prima con la suggestiva “Diana” – tiene a precisare Sebastiano – . La domenica precedente all’11 gennaio, tre ore dopo la mezzanotte, i cittadini fanno il giro notturno di tutti i frantoi oleari del paese, accompagnati dalla banda e dagli amministratori comunali, per raccogliere l’olio che arderà per un anno sotto l’immagine della Santa. Proprio quell’olio da cui tutto ha avuto origine».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

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  • Federico simone - Scritto da grande esperta di giornalismo..


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