di Mina Barcone - foto Valentina Rosati

Bitonto, il Trappeto del Feudo: lì dove in epoca romana si producevano olio, pane e vino
BITONTO – Un casale di epoca romana, una chiesetta dismessa, resti di macine, una peschiera e due menhir. Sono i tesori conservati all’interno del Trappeto del Feudo, un complesso risalente a circa duemila anni fa: ampliato nel XIII secolo è ancora ben visibile sulla strada che collega Santo Spirito a Bitonto. (Vedi foto galleria)

Parliamo quindi di un luogo che racchiude secoli di storia e che l’80enne proprietario Damiano Stellacci, medico e appassionato di cultura locale, cura quotidianamente e mette talvolta a disposizione di eventi e spettacoli.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Per arrivarci da Bari percorriamo la Statale 16, imbocchiamo l’uscita Bitonto Santo Spirito e proseguiamo per circa due chilometri lungo la Strada Provinciale 91: la nostra destinazione si trova sulla destra.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Dall’esterno l’edificio si presenta a base rettangolare con un tetto spiovente a chiancarelle che ricorda strutture di cui ci siamo già occupati: i lamioni, ripari per la transumanza caratterizzati da un’architettura “a pignon”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Si tratta in realtà di un frantoio di epoca romana dove vi producevano olio, farina e vino – ci spiega Stellacci –: faceva parte di un feudo che comprendeva anche una villa padronale e una torre di avvistamento. La proprietà era molto estesa e vantava anche un affaccio sul mare, non è infatti molto distante dal porticciolo di Santo Spirito».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Percorriamo la stradina interna alla destra della provinciale, che divide l’area in due appezzamenti distinti, e accediamo al vasto campo di ulivi laterale attraversando l’ingresso segnato da due pilastri in mattoni. All’interno del giardino subito notiamo una grande pietra fissata perpendicolarmente nel terreno: si tratta di un menhir risalente al Neolitico.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L’uso che si faceva di queste costruzioni millenarie è ancora incerto. Per qualcuno erano rudimentali osservatori astronomici, per altri simboli per indicare i confini dei territori, per altri ancora servivano ai sacerdoti gallo-celtici nella celebrazione di culti sacri.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A “fare compagnia” al monumento c’è anche un altro menhir di grandezza più modesta che il proprietario ha dovuto incastonare tra le pareti del frantoio dopo un tentato furto qualche anno fa: un’operazione fortunatamente conclusasi con il trafugamento erroneo di un masso senza valore.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Alle spalle del megalite ammiriamo quindi la grande struttura d’epoca romana rimaneggiata a più riprese tra il XIV e il XVII secolo e ci introduciamo nel giardino interno attraverso un cancello cinto da un alto muretto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Al centro, ai piedi di un alberello, sono posizionati quattro oggetti tondi di pietra. «Tre sono basi delle macine romane per la lavorazione delle olive – illustra Stellacci –. Il quarto, che ha un solco circolare, è invece il piatto di una pressa».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Sul lato destro c’è poi un ingresso ad arco realizzato intorno all’800 che si affacciava direttamente sulla strada provinciale. Attorno alla metà del secolo scorso, con l’arteria che diventava sempre più trafficata e pericolosa, è stato dismesso e murato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

È arrivato ora il momento di ammirare l’interno entrandovi dal suo accesso medievale. La struttura infatti ne possiede altri due, di cui uno originale collocato sul retro, adiacente alla chiesetta cinquecentesca, e un altro di epoca rinascimentale con tre alti scalini a ciascun lato della porta.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Possiamo quindi osservare meglio l’architettura del fabbricato, frutto di due edifici accorpati realizzati in periodi distinti. Notiamo prima l’ampio ambiente a volta risalente a circa duemila anni fa, con aperture ad arco sulle pareti laterali nelle quali molto probabilmente erano adagiate le presse.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La sezione d’età medievale è invece costituita da uno spazio poco più piccolo con copertura ogivale, con gli archi acuti che sembrano quasi fatti per dividere l’area in due parti. Alzando lo sguardo è persino possibile notare una piccola finestrella che, situata esattamente al centro, segna il punto d’incontro dei due corpi di epoca diversa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Di particolare interesse è poi il forno romano, segno che il grano macinato veniva qui usato per preparare il pane. In anni successivi ne venne realizzato anche un altro, più angusto, accanto all’ingresso principale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ci rechiamo ora nel retro del trappeto per visitare un altro tesoro: i resti della chiesetta cinquecentesca ormai dismessa. «Sappiamo che si trattava di un luogo sacro in quanto viene menzionata nel resoconto di una visita pastorale del 600 – ci dice il nostro accompagnatore –. Doveva essere intitolata a San Francesco o a San Lorenzo».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Varchiamo la porticina in legno e ci ritroviamo in un piccolo spazio voltato a botte con due anguste finestrelle. Un tocco di colore viene conferito dal pavimento con le sue mattonelle decorate risalenti “solo” al secolo scorso. In un angolo sono accatastate seggioline spaiate e ai lati posizionate delle panche: è evidente che qui da molto non si celebra una messa, anche se pare quasi che se ne attenda una.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L’ultima tappa della nostra esplorazione è nel secondo appezzamento situato di fronte alla masseria, lì dove si trova un’ulteriore struttura realizzata con la tecnica del muretto a secco. Sei pilastri si innalzano su una base rettangolare con al centro un buco di forma quadrata: si tratta di una peschiera che serviva per raccogliere l’acqua necessaria alle colture, ma anche agli animali e ai proprietari.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Scendiamo per una ripida scalinata realizzata dallo stesso Stellacci e ci ritroviamo in un “cunicolo” voltato a botte. Dal foro sopra di noi, che una volta serviva a immergere il secchio da riempire, entra la luce che permette di osservare giochi di ragnatele e muschio verde sui muri.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Un posto suggestivo che conclude la nostra visita nel Trappeto del Feudo: un luogo millenario che tra ulivi e vigneti ha fatto la storia dell’agricoltura di Bari.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)


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  • Vincenzo Martino - Complimenti articolo molto interessante e complimenti al dott. Stellacci . Foto bellissime!
  • Adriano Mazziotti - Uno di quei luoghi dove le pietre "parlano".
  • Francesco Quarto - Articolo di grande interesse, non vedo l'ora di recarmi sul sito per guardare da vico (post virus). Tuttavia ho una osservazione "critica": non sono sicuro che le pietre fisse menzionate e illustrate siano effetivamente menhir. la letteratura sul tema, che però non ho potuto controllare, sempre a causa delle limitaizoni all'accesso a archivi e biblioteche, non mi pare conosca i momumenti in questione. Uno storico esperto del territorio cui ho chiesto un parese ha confermato, facendole sue, le mie perplessità. BIsogna peraltro riconoscere che anche la zona di bitonto, modugno, bitetto, terlizzi ecc è ricca di testimonianze remote (ma anche altrove, casamassima, sammichele, cellamare, cassano) ... purtroppo le nostre soprintendenze non pare siano molto interessate a ricerche, censimenti, ordinamenti e divulgazione degli antichissimi fenomeni. ciao francesco quarto Se avrete modo di verificare e di farmi sapere (cortesemente) vi sarò grato.


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