La leggenda di Santa Maria Greca: quel dipinto "divino" che scacciò la peste da Corato
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lunedì 9 marzo 2020
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di Luciana Albanese
L’opera è esposta nella cripta della chiesa e risalirebbe al 1656, anno in cui la terribile pestilenza colpì il Sud Italia. Secondo la tradizione i coratini, stremati dall’epidemia, cominciarono a cercare rifugio nelle 25 torri delle mura che allora cingevano il loro abitato. In particolare si riunirono dinanzi a una delle fortificazioni, quella nota come “La Greca”. Ritenevano infatti che nelle sue segrete, all’epoca inaccessibili, vi fosse una tela della Vergine: recuperarla avrebbe potuto attirare la grazia di Dio, l’unico in grado porre fine alle sofferenze.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
A farsi carico della ricerca fu il sacerdote Francesco Lojodice, che riuscì ad aprire un varco nell’ipogeo senza però rinvenire nulla. Tutto però cambiò nella notte del 17 luglio, quando al parroco apparve in sogno Maria: la Madonna gli disse che avrebbe salvato il borgo, a patto che le venisse dedicato il sotterraneo esplorato qualche giorno prima.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E così il giorno dopo, per esaudire il desiderio dell’Immacolata, partirono i lavori per trasformare la grotta in un luogo di culto. Il prelato ottenne inoltre che un pittore si mettesse a disposizione per dar vita a una raffigurazione della figura femminile con cui aveva parlato nel sonno. L’artista, malgrado le indicazioni dettagliate del committente, non riuscì però a creare una rappresentazione fedele.
Ma ci fu un colpo di scena: a mezzogiorno, ad un tratto, l’armonioso suono di un campanello annunciò un prodigio. Una donna cieca riacquistò di colpo la vista e con un dito indicò la tavola del pittore, sulla quale comparve all’improvviso la figura della Vergine così come descritta da Lojodice. Da quel momento la peste smise di flagellare Corato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L’icona miracolosa venne posizionata nel sotterraneo, al di sopra del quale nel 1664 iniziò l’innalzamento di una vera e propria chiesa: un provvedimento necessario, visto l’incessante flusso di fedeli desiderosi di ammirare l’opera. Il resto è storia ben documentata, con i diversi restauri che hanno modificato più volte l’aspetto del santuario, oggi visitabile.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L’edificio sorge in corso Garibaldi 55, nel centro storico, a poche centinaia di metri dall’elegantissimo De Mattis, il “palazzo dalle pietre appuntite”. La bianca facciata, in stile neoclassico, è solcata da quattro paraste che terminano in altrettanti capitelli ionici. Risulta inoltre puntellata da tre oculi: quelli laterali sono ciechi, mentre l’apertura centrale sormonta l’ingresso, a sua volta posto in cima a una piccola scalinata.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Varchiamo l’entrata per esplorare l’interno, dislocato su una pianta a croce greca con tre navate. Diamo un’occhiata all’altare marmoreo, sovrastato da una finestra dai colori vivaci, per poi concentrarci sull’ala destra dell’ambiente.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Qui osserviamo prima il sepolcro di Luisa Piccarreta, mistica coratina scomparsa nel 1947. «La sua esistenza fu segnata dai dolori per le stigmate – spiega don Sergio, l’attuale parroco -. Un sacrificio riconosciuto dalla Chiesa, che nel 2005 ha avviato il processo di canonizzazione». Poi, a poca distanza, individuiamo l’accesso alla rampa che conduce nella cripta.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Lo imbocchiamo, imbattendoci a sinistra della rampa in una statua di cartapesta riccamente decorata che ritrae proprio la Madonna Greca. E man mano che scendiamo le scale ci rendiamo conto di trovarci in un piccolo gioiello posto cinque metri sotto il livello stradale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il tempietto è infatti costituito da una stanza coperta da un’unica volta a crociera con fregi barocchi, dalla quale pende un raffinato lampadario del 900 in vetro di Murano. Il lato sinistro, oltre a un gruppo della Madonna del Rosario in plastica del 1952, offre la curiosa visione del prolungamento murario non intonacato della chiesa sovrastante, appartenente addirittura all’antica torre.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Volgiamo ora lo sguardo verso l’abside, preceduto da due curatissime fioriere e una balaustra a colonnine in pietra marrone di Minervino Murge. Il nostro occhio cade naturalmente sul massiccio altare marmoreo color castagna forgiato nel 1921, lì dove sulla parte sommitale spicca il dipinto “divino”: l’adoratissima icona di Maria, realizzata a olio su legno di pioppo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La protagonista del quadro ha la pelle scura ed è vestita con abiti di foggia greca, altro elemento che ha contribuito al suo appellativo. Con la mano destra regge Gesù Bambino, con la sinistra impugna un pastorale bizantino. È inoltre circondata da una serie di angeli e, in basso a sinistra, dal campanellino che anticipò il miracolo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Alla sinistra dell’immagine adocchiamo infine un’apertura: la oltrepassiamo, ritrovandoci in un piccolo ambiente completamente spoglio e all’apparenza anonimo. Ma è proprio qui che sarebbe avvenuto il miracolo nel lontano 1656, dando inizio a un culto che sopravvive a distanza di più di trecento anni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica)
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Scritto da
Luciana Albanese
Luciana Albanese