Da Rosina de le pezze vecchie alla Pizzellara: sono i personaggi della Bari che fu
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giovedì 27 febbraio 2020
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di Gaia Agnelli
Un quartiere, quest’ultimo, che per tanto tempo ha rappresentato quasi un paese a sé stante, con le sue regole, le sue storie e naturalmente i suoi personaggi. Una caratteristica che il centro storico in realtà continua a mantenere, anche se tra piano Urban, movida e turisti, ha un po’ perso quel carattere di “esclusività” che faceva dei suoi abitanti dei “cittadini a parte”.
E così dopo avervi parlato della mitica Finella, colei che per prima ha fritto e venduto le sgagliozze a Bari, siamo andati alla ricerca di quei “commercianti” che dal Dopoguerra in poi hanno tirato a campare inventandosi i mestieri più svariati. Persone che venivano chiamate per soprannome, identificate proprio dal lavoro svolto: donne e uomini che ormai non ci sono più, ma il cui ricordo è ancora vivo tra le strade della città antica.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Partiamo dalla chiesa della Santissima Trinità e dei Santi Medici, di fronte al Castello Normanno-Svevo, lì dove si aggirava “Rosina de le pezze vecchie”. La signora barattava pentole, piatti, bicchieri e tegami in cambio di indumenti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Portava con sé un grosso sacco dietro la schiena che la costringeva a camminare un po’ storta e tutta piegata in avanti – ricorda Luciano, anziano residente del centro storico -. Al polso sinistro aveva legato un secchio vuoto e con il braccio destro reggeva un cesto con dentro le cose usate. La riconoscevi subito dalla sua voce che recitava il solito motto: Le pezze vecchie a la vecchie l’ha da venne».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
In strada Dietro San Vito, lavoravano invece le sorelle Porzia, Chella e Domenica, quest’ultima classe 1928. Le tre erano parrucchiere a domicilio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Quella più attiva era Domenica – racconta l’anziana Gianna -. Tra un chiacchiera e l’altra era abilissima a fare u tupp, la pettinatura che andava di moda negli anni 50». Da qui il suo soprannome: “La pizzellara”, ossia colei che faceva “le pizze in testa”, quelle che oggi chiameremmo comunemente chignon.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Una curiosità. Per spazzolare i capelli usava il pettine a denti stretti: era l’unico metodo per distruggere le uova dei pidocchi, grande problema che affliggeva Bari vecchia», aggiunge Nicola Cutino, esperto di tradizioni baresi che ci ha aiutati nella ricerca dei personaggi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Altro fruttivendolo improvvisato era Giovanni, detto “Geuànn de l’nzalàte”. Abitava vicino a Santa Maria del Buonconsiglio e le mattine di ogni sabato e domenica, puntuale come un orologio, spuntava con una bicicletta o un motorino allestito a negozio di verdura. «Ricordo quando passava sotto casa – commenta la signora Maria –: era impossibile non accorgersi del suo arrivo. Gridava sempre “la nzalàt! Le rafanìdde!” e tutti accorrevano a comprare i suoi prodotti».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Spostiamoci ora verso il molo San Nicola, il cosiddetto N’ dèrr’a la lanze, lì dove agiva “La fèmmene de le pèlose”, una signora che con il mare alle spalle vendeva le sue “pelose” (granchi favolli) appena pescate.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«La chiamavamo anche "la ross”, per via del colore dei suoi capelli – ci spiega un pescatore del posto –. Lei era l’unica femmina tra di noi, ma si era trasformata in un vero maschiaccio. La ricordo quando nonostante l’età avanzata guidava un motorino “Motom”».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Concludiamo la nostra rassegna con la leggendaria Caterina Fusco, detta "Catarìne Zecutàne" (Caterina di Zio Gaetano): colei che ha fatto nascere tanti barivecchiani. Era infatti una vammàre, ossia una levatrice. I suoi strumenti da lavoro erano un telo di plastica da stendere sul letto, vecchie lenzuola e fogli di giornale per evitare di sporcare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Mia nonna iniziò a lavorare a 34 anni – ci racconta la nipote Anna Cassano -: rimase vedova molto giovane e decise così di rimboccarsi le maniche per non far mancare nulla ai suoi quattro figli. Imparò il mestiere da due amiche: donna Pierina e donna Maria. E amava tanto il suo mestiere: partendo dalla sua casa nei pressi della Muraglia correva in aiuto di chiunque la chiamasse, a tutte le ore del giorno e della notte».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Aveva un grande cuore – ricorda il signor Gennaro-. È con lei che mia madre ha partorito tutti i miei fratelli e la cosa bella è che lo ha fatto sempre con un sorriso rassicurante». «Ed era anche molto competente - aggiunge l’anziana Teresa-. Durante il parto si accorgeva subito se qualcosa non andava bene e in quei casi allertava un dottore».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Catarìne ha fatto nascere tre generazioni di baresi – conclude emozionata la nipote – e fin quando ci saranno bambini, il suo ricordo non svanirà mai».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica)
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I commenti
- Licio Marotta - Complimenti. Se li raccogliete in un libro diventano ancora più intetessanti