di Alessia Schiavone

Viaggio nell'ex brefotrofio di Bari, lì dove sopravvivono i ricordi dei bimbi abbandonati
BARI - Ne abbiamo parlato più volte: un complesso in via Amendola è stato per decenni la casa di centinaia di neonati indesiderati. Era lì che funzionava infatti l’ex brefotrofio di Bari, l’istituto che accoglieva i bambini abbandonati. Inaugurato nel 1932 con il nome di Onmi (Opera nazionale maternità e infanzia) smise di funzionare negli ultimi anni del 90 quando si decise di sgomberarlo per la mancanza di piccoli. Nel frattempo aveva cambiato denominazione in “Istituto provinciale prima infanzia”, proprio la scritta che è possibile leggere ancora oggi sulla facciata principale di uno dei due edifici che lo componevano. (Vedi foto galleria)

Perché il complesso è ancora lì, ubicato nell’isolato tra via Amendola e stradella Petrera. E’ formato dall’antica Villa Capriati (che ospitò i neonati dal 1932 al 1956), abbandonata da anni e occupata ora da precari e studenti e da un grande edificio giallognolo attuale sede della Polizia provinciale, che accolse i piccoli dal 1956 fino alla chiusura dell’istituto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Dopo aver raccontato le storie di chi in quel luogo ci ha lavorato o di chi seppur per pochi mesi ci ha vissuto, abbiamo deciso di andarci a dare un’occhiata. Non senza motivo, visto che alcune stanze del brefotrofio “sopravvivono” ancora: all’interno del secondo edificio si trovano infatti numerosi locali non utilizzati che ospitano ricordi di piccoli che lì hanno passato i primi anni della loro vita.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Entrando dall'ingresso che si affaccia su strada Petrera ci troviamo davanti a un viale inghiottito da un fitto giardino che ci conduce verso l’imponente complesso. Distinguiamo tre padiglioni, di cui uno visibilmente decadente, con finestre fatiscenti e gli accessi murati. Accediamo quindi nel secondo, dove una porta aperta ci invita a entrare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Saliamo le scale e ci ritroviamo di fronte a un lungo corridoio le cui mura colore verde acceso trasudano frammenti di vita che si ostinano a voler rimanere imprigionati in quel luogo. A darci questa sensazione sono i tanti disegni appiccicati alle pareti. Alcuni rappresentano animali, altri paesaggi tinteggiati con i colori dell'arcobaleno. A catturare il nostro sguardo è soprattutto un cartoncino che ritrae due colombe a bordo di un carretto giallo con la scritta "briciole".Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Sono stati creati dai bimbi che vivevano qui, mentre attendevano un’adozione che però purtroppo non sempre arrivava. I piccoli, se nessuno decideva di prenderseli con sé, una volta raggiunti i 3 anni venivano trasferiti in un orfanotrofio, dove venivano ospitati fino alla maggiore età.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Proseguiamo il nostro giro. Sulle porte di alcune stanze si trova ancora la targhetta che ne indicava il reparto, come quella di colore rosso castagno che recita “logoterapia”. A questo punto usciamo e ci rechiamo al terzo padiglione. Ma purtroppo qui veniamo fermati: ci viene detto che per poter proseguire occorre un’autorizzazione rilasciata dagli enti competenti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Peccato perché da quanto sappiamo in questo plesso si troverebbero delle antiche cullette in metallo e piccole vasche dove i bambini venivano lavati. Nel sotterraneo ci sarebbe addirittura anche una piccola cappella, utilizzata all'epoca per battezzare i neonati non appena giunti in istituto.  

Abbandoniamo così con rammarico l’ex brefotrofio. Purtroppo la burocrazia non ci permetterà di ritornarci: il permesso per una visita da parte del segretario generale della Città Metropolitana non arriverà mai.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma abbiamo fatto delle ricerche e siamo riusciti a sapere che l'intera struttura poteva ospitare circa 150 posti letto. Ogni piano aveva un reparto. C’era quello dove venivano ospitati gli “immaturi”, i piccoli nati prematuramente e un altro in cui erano accolti i bambini in quarantena. Naturalmente era presente una stanza dove i bimbi venivano accuditi dalle puericultrici, oltre all’area riservata alle balie esterne che allattavano i neonati dietro corrispettivo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Si trattava di una struttura d’eccellenza e vi era una pulizia disarmante. Due volte al giorno le suore lavavano i pavimenti con sapone e acqua bollente e sterilizzavano gli indumenti con appositi macchinari. Una cura garantita dai tre medici che si susseguirono nella gestione dell'Istituto: il professor Francesco Pinto, il dottor Nitti e il dottor Pasquale Martinelli.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E pensare che nel 2008 la Provincia di Bari voleva demolirlo: per fortuna questo attentato alla memoria fu impedito dai tanti che in quell'edificio avevano lasciato i loro primi ricordi. Lì dove avevano imparato a camminare, a parlare, a sorridere, a piangere.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)


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  • Monica - Poveri bambini abbandonati. Speriamo che abbiano trovato famiglie buone.
  • Anna - Io ci sono sta dal 3 giorno di vita fino a 2 anni, ripresa dalla famiglia d'origine, ho vissuto 17anni e mezzo di incubo, con una madre terribile e un padre che soccombeva.


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