di Eva Signorile

Il Palazzo dell'Acquedotto Pugliese: una miniera artistica riscoperta
BARI - Il 24 aprile 1915, dalla fontana prospiciente l'Ateneo, in piazza Umberto, zampillò per 25 metri di altezza il primo getto d'acqua portato in Puglia dalla Campania, attraverso l' Acquedotto pugliese. L'arrivo dell'acqua nella nostra regione fu un evento storico che trovò la sua degna rappresentazione nel "Palazzo dell'Acquedotto", un gioiello artistico incastonato nel “quartiere Umbertino” di Bari. Siamo andati a visitarlo sotto la guida dell' ex direttore dell'ente d’irrigazione e professore universitario in pensione, Giuseppe Calò-Carducci.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L'edificio si trova in via Cognetti 36, dove le bianche pietre di Trani del suo rivestimento duettano col rosso del vicino teatro Petruzzelli.  L'opera reca ovunque l'impronta della mente fervida e geniale dell'artista romano Duilio Cambellotti, che ne ha curato anche il più piccolo particolare: dai marmi policromi che richiamano ora la nostra bandiera, ora l'acqua, fino alle vetrate, ai lampadari e alla tappezzeria, le cui lane e sete Cambellotti scelse personalmente, chiedendo agli armeni insediati a Bari di tesserle secondo i suoi disegni, tutti ispirati dal tema dell'acqua. 

Fu il foggiano Gaetano Postiglione, secondo presidente dell'Ente Autonomo Acquedotto Pugliese, a volere un palazzo che rappresentasse degnamente la conquista dell'acqua da parte della Puglia e ne affidò la costruzione a Cesare Brunetti, giovane ingegnere da poco assunto. Nel 1930 il rustico dell'edificio era completato: una struttura che si articolava su sei piani "fuori terra", scantinati e "roof-garden”, per un totale di 8mila mq coperti e 200 ambienti. A Duilio Cambellotti fu affidato il compito di curarne "l'immagine". Un'opera ciclopica che lui portò a termine in 20 mesi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L'acqua domina tutta la struttura, a partire dal grande androne che si apre oltre il pesante portone in legno da cui si accede all'interno dell'edificio: al di là delle griglie in ghisa lavorata, infatti, si intravede la bellissima vetrata sul fondo, le cui decorazioni in metallo nero rappresentano getti d'acqua. "Cela" il cortile interno, al cui centro si trova una vasca da cui si "innalza" la colonna della fontana, fatta in modo da rappresentare proprio un getto d'acqua.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Questo elemento è presente nelle forme delle maniglie, nei dipinti alle pareti, persino negli intarsi madreperlacei dei tavoli creati dallo stesso artista: sembra di sentirne lo scroscio. Le finestre si susseguono su ogni pianerottolo, al pari di un'anfora in marmo rossastro, dalla quale sgorga un getto d'acqua inciso nel marmo bianco.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Nelle vetrate sono riprodotte altre anfore dalle quali esce una spiga: tra le anfore e le spighe si scorgono una C rovesciata, a formare un arco e una D che la incontra: le due lettere e la spiga sono la firma del Cambellotti: la ritroveremo, in arancione, sulla tela del "salottino", al primo piano, quello degli uffici di rappresentanza. Proprio questa stanza è al centro della scoperta che ha collegato la decorazione del palazzo al Cambellotti. Fino al 1989 si ignorava infatti l’opera dell'artista romano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

All'epoca, l'ingegnere Giuseppe Calò -Carducci frequentava spesso quella stanza, in qualità di direttore generale dell'Ente Irrigazione ed era rimasto affascinato da una tela presente sulla parete di fronte alla finestra. La tela è dominata dalla rappresentazione della nostra regione, sovrastata dalle immagini di San Michele Arcangelo, San Nicola e Sant'Oronzo, cioè i protettori delle tre province esistenti al momento della creazione dell'Acquedotto. A destra c'è Nettuno che domina una creatura marina, a ricordare il forte legame dei pugliesi con il mare, mentre a sinistra c'è una donna che versa l'acqua da 12 anfore: la donna che porta l'acqua sarà un tema ricorrente in tutto il palazzo. Nell'89 Giuseppe decise di mostrare la tela a suo fratello, appassionato collezionista di antiche cartoline, molte delle quali sono proprio disegnate dal Cambellotti. Quando Carmelo Calò Carducci vide quelle due lettere e la spiga arancione, in basso a destra sul dipinto, non ebbe alcun dubbio su chi fosse l'autore delle deocrazioni. La mano di Cambellotti era rimasta ignorata dal 1934, come era stato possibile?

Per Carmelo le ragioni risiedono proprio nel genio ribelle di Cambellotti, che si trovò a lavorare in piena epoca fascista: ai potenti dell'epoca non andava giù che il suo estro avesse potuto esprimersi tanto liberamente nel Palazzo dell'Acquedotto e si fece in modo di lavorare per il suo oblio. 

Usciti dal salottino, raggiungiamo il Salotto della Presidenza, dominato da una tela triangolare che occupa quasi tutta una parete, con propaggini lungo la parte superiore delle altre pareti. Nell'alto del dipinto principale compaiono edifici romanici che richiamano il borgo antico di Bari, ma che sfumano, in basso, in strutture più astratte che ricordano invece aree industriali: il Cambellotti, esponente dell'Art Nouveau, aveva sposato la cugina del futurista Boccioni, la cui influenza è evidente.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Frontalmente a questa tela, si entra nella Sala del Consiglio, dominata da tele che si rincorrono per tre pareti e che ritraggono una tipica scenetta agreste pugliese, con gli ulivi utilizzati per stendere i panni e l'immagine di un canale che sfocia in fonti d'acqua in marmo, nella parete centrale. Il tavolo monumentale, caratterizzato da intarsi in madreperla è stato restaurato e se si volesse spostarlo lo si dovrebbe assicurare per circa un milione e mezzo di euro. Ai due ingressi dalla sala campeggiano quattro statue di donne che versano acqua in una conca: si tratta in realtà di lampade da parete.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La stanza attigua è il salottino della vicepresidenza, nel quale spiccano due frammenti di dipinti che riproducono paesaggi pugliesi: è tutto ciò che resta di un dipinto che decorava l'intero salotto: distrutto per ansia di "rinnovamento" al pari della vasca in marmo presente un tempo nella sala da ballo, situata al piano superiore, nella zona dell'appartamento presidenziale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L'appartamento presidenziale si trova al secondo piano e constava di 11 ambienti più accessori. Oggi ne sopravvivono cinque: tre dell'appartamento vero e proprio e due ex uffici in cui sono stati sistemati i mobili più belli del Cambellotti. Le stanze rimanenti sono state destinate agli uffici. L'appartamento era stato progettato da Postiglione che però non potè goderselo perché nel frattempo era diventato ministro delle Comunicazioni. Il primo ambiente è un ufficio, a sinistra c'è la stanza dei bambini, dove tutto è riprodotto in duplice copia. Spicca la vetrata colorata che ora si trova davanti alla finestra e che un tempo immetteva nella stanza dei giochi, poi diventata archivio. I segni di una crepa sembrano quasi la cicatrice di una ferita inferta da un distratto impiegato che si lasciò sfuggire una mensola, rompendo la vetrata, che da allora fu spostata qui.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A destra del piccolo ufficio, si trova la ex Sala da ballo, che i fratelli Calò Carducci hanno ribattezzato "La Sala del Rammarico", perché nel 1957, sotto la presidenza di Giuseppe Mininni, tutto ciò che adornava la stanza fu eliminato, a cominciare dalla "Fontana delle chiocciole", per finire alle statue in marmo e alle cornici delle porte. Oggi non rimangono che il pavimento in marmo e i mobili da ufficio disegnati e realizzati dallo stesso Cambellotti, fra i quali spicca un tavolo intarsiato a spigoli con madreperla, realizzato con un unico pezzo di noce, tagliato in quattro. Sul tavolo sono intarsiati due cerbiatti e due ulivi i cui rami formano gli archi di un acquedotto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Proseguendo, ci ritroviamo nella stanza da letto degli ospiti, dove si può ammirare fra l'altro una cassettiera le cui maniglie sono rappresentate da rondini in volo. L'ambiente successivo è costituito dalla stanza nuziale, il cui pezzo forte è una toilette che suscita l'invidia e l'ammirazione di molte signore. Anche questa stanza era stata eliminata nel 1957, ma i pezzi sono stati ritrovati in un deposito a Modugno, a eccezione dei comodini. 

La visita termina nel cortile interno: al centro troneggia una fontana il cui tronco centrale in pietra di Trani è oggi rivestito dal Capelvenere, una felce. La colonna è sovrastata dagli stemmi di otto province e sorge da una vasca bianca e azzurra: le fasce azzurre, che riprendono il movimento delle onde, sono fatte da piccole tessere in pasta di vetro di Murano. Nella pavimentazione si alternano marmi di Trani e pietra lavica.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il cortile, di forma geometrica, si comporta come una cassa acustica e qui si può parlare a voce normale, sicuri di poter essere sentiti da chiunque. Si pensa però che questo effetto sia stato casuale e non cercato nella progettazione. Bisce d'acqua in metallo si inseguono lungo le giunture degli otto tubi che fanno defluire l'acqua piovana: questo animale un tempo veniva utilizzato per mantenere pulite le cisterne. Per Cambellotti dovevano rappresentare la purezza dell'acqua. Per lo stesso motivo, anche i cavalli, che bevono solo acqua pulita, sono stati riprodotti dal Cambellotti a più riprese nell'arredamento e nei dipinti. 

La nostra visita finisce qui, da dove siamo partiti, nell'antro del palazzo. Prima di salutarci, però, l'usciere Franco Lattarulo ci accompagna per un ultimo scatto di tutta la scalinata, anch'essa frutto della mente inesauribile di Duilio Cambellotti, un artista al quale i fratelli Calò-Carducci hanno ridato il giusto ruolo nella storia di Bari.


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Eva Signorile
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