di Giancarlo Liuzzi - foto Fabio Voglioso

Affreschi del 300, eleganti capitelli, la citazione di Boccaccio: è l'abbazia di San Leone a Bitonto
BITONTO – Una secolare storia legata a una grande fiera citata addirittura nel Decameron di Boccaccio, preziosi e suggestivi affreschi trecenteschi e un chiostro con raffinati colonnati e capitelli decorati. È il mondo che si cela all’interno dell’Abbazia di San Leone, complesso religioso edificato tra l’XI e il XII secolo a Bitonto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Un sito sorprendente ma sconosciuto ai più, come del resto tanti tesori del grosso paese in provincia di Bari. Bitonto infatti, più di altri centri, ha sofferto l’ingombrante presenza della malavita locale che finora ha reso difficile una sua valorizzazione turistica e culturale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Eppure San Leone merita senz’altro una visita. Fu costruita dagli abati benedettini e ben presto divenne oltre che un convento anche un punto di riferimento commerciale. All’esterno infatti, nel “campo di San Leone”, ogni aprile veniva organizzata dai religiosi una grande fiera che richiamava mercanti da ogni dove. La festa divenne così celebre da essere menzionata nel Trecento dal poeta Giovanni Boccaccio in una delle novelle del Decamerone.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Dal 1494 l’abbazia fu retta poi dagli olivetani, fautori dell’ampliamento della struttura e della realizzazione del chiostro rinascimentale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Con la soppressione degli ordini monastici nel 1807, il complesso fu abbandonato, depredato e ridotto a rudere. Furono i frati minori osservanti, guidati da padre Agostino Del Vecchio, a riacquistarlo dal demanio nel 1886 e ad avviare, nel 1894, la ristrutturazione dell’edificio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Dopo ulteriori restauri nella seconda metà del 900, l’abbazia si mostra oggi in tutta la sua rinnovata bellezza, contando una chiesa ancora attiva. Siamo così andati a visitarla, aiutati dal dettagliato volume “L’abbazia di San Leone a Bitonto - un monumento nel tempo” (quorum edizioni) di Marcello Mignozzi. (Vedi foto galleria)

L’ex convento si trova in posizione centrale, adiacente all’angolo nord della verdeggiante villa comunale, l’unico spazio rimasto non edificato dell’antico campo della fiera. Ci basta quindi alzare la testa per ammirare il trecentesco campanile che sovrasta l’abbazia: è a cuspide con l’ampia apertura ogivale che ospita due campane.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Avvicinandoci alla facciata in pietra, coperta da alberi e luminarie temporanee, notiamo delle snelle finestre in stile gotico-pugliese e l’architrave di accesso alla chiesa con dedica al santo. Sul prospetto laterale sono invece ben evidenti le sovrapposizioni strutturali dell’edificio: antiche arcate murate con all’interno finestroni rettangolari più recenti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Accediamo ora al complesso grazie alla disponibilità di padre Leonardo Civitavecchia. Attraverso un ampio portone in legno ci spostiamo quindi nel chiostro interno, costruito sul preesistente cortile benedettino intorno al 1524. La data è riportata su una porta insieme con lo stemma degli olivetani e la frase latina ad solem versus ne loquaris (quando il sole ha compiuto il suo corso, non parlare).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La struttura quadrangolare è costituita da raffinati colonnati voltati a crociera con arcate a tutto sesto, riscoperte negli anni 80 con l’abbattimento del muro che le aveva inglobate. Ad affascinare sono gli eleganti capitelli, ornati in diversi modi: volute angolari, protomi umane, foglie d’acanto con coppe sovrastate da delfini.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


L’ultima ala del chiostro si interrompe bruscamente a metà, lasciando scoperto il resto della struttura. Del restante colonnato, crollato nel corso dei secoli, sono ancora visibili i peducci di appoggio delle volte e le arcate murate.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Attraversando il rigoglioso cortile tra agrumi, cycas e arbusti, attraverso una porticina ci spostiamo all’interno della chiesa. L’edificio religioso si presenta come un alto ambiente rettangolare ad aula unica, illuminato da finestroni gotici e chiuso da una copertura in legno spiovente.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Lo spazio, che si mostrava in rovina alla fine dell’800, fu rivisitato agli inizi del 900 su progetto dell’ingegnere bitontino Luigi Sylos con la collaborazione dell’architetto Ettore Bernich, l’eclettico ideatore di Palazzo Fizzarotti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Accanto però a “moderni” altari dalle linee semplici, corredati da statue di santi in cartapesta, permangono in questa chiesa anche elementi più antichi. Come la scultura raffigurante San Leone, del 1671 e soprattutto gli affreschi del presbiterio, delimitato da un ampio arco ogivale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Qui infatti le alte pareti sono interamente colorate con molteplici scene religiose e si resta incantati di fronte ai differenti cromatismi e alla raffinatezza dei particolari delle opere.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Nel volume di Mignozzi leggiamo che i decori, databili tra il 1330 e il 1340, furono coperti nell’800 da cinque strati di intonaco. Fu proprio Bernich che, durante un sopralluogo della chiesa nel 1894, notò tracce di pitture oltre il muro scrostato, iniziando lui stesso a rimuoverne il resto. Fu così che gli affreschi vennero riscoperti e restaurati.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Sulla parete di fondo è rappresentato il Giudizio universale, con il Cristo pantocratore sul trono e al di sotto gli apostoli con tuniche dai colori vivaci e quattro pannelli con vari personaggi tra cui la Vergine e un angelo che accompagnano i beati in Paradiso.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Sul lato destro scorgiamo in alto gli evangelisti con le sacre scritture, mentre nel livello inferiore tre edicole trilobate in cui sono inseriti San Nicola da Tolentino, San Nicola da Myra e Santa Caterina d’Alessandria.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E infine la terza parete, che si rivela la più ricca di particolari, nonostante buona parte degli stucchi sia andata perduta. Si tratta del Lignum vitae (Albero della vita): tema iconografico diffuso tra il XIII e XIV secolo ispirato alla tradizione ebraico-cristiana.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Al centro, seppur molto sbiadito, si staglia imponente il Cristo sulla croce, dal quale dipartono dodici rami accompagnati da scritte ormai quasi illeggibili. Ai piedi del Messia vi sono la Vergine e San Giovanni, con al centro San Pietro e Paolo racchiusi in due grandi foglie.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Concludono la scena, sul lato sinistro, rappresentazioni di santi e angeli in riquadri geometrici e, nella fascia in basso, San Bonaventura di Bagnoregio, fiancheggiato da sei santi fra cui San Benedetto: l'ispiratore di quei monaci che quasi mille anni fa, edificarono questa splendida abbazia sopravvissuta nel tempo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)


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Giancarlo Liuzzi
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