Quel gioiello rinascimentale nascosto tra le stradine di Mola: è la Chiesa Matrice
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martedì 14 giugno 2022
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di Ilaria Palumbo - foto Antonio Caradonna
Ad annunciare il tempio non ci sono infatti grandi piazze e preziose fontane, come per la ben più valorizzata chiesa Maddalena, eppure la Matrice (che è anche intitolata a San Nicola) rimane l’edificio religioso più importante della cittadina e, varcando la sua soglia, è possibile accedere a un suggestivo mondo fatto di maestose navate, antichi affreschi e tele “segrete”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Per raggiungerla dalla centrale piazza XX Settembre, bisogna muoversi in direzione nord imboccando via Vittorio Veneto. Ci addentriamo così nel cuore della “Terra”, nucleo urbano sorto tra il XIII e il XVI secolo, composto di caratteristiche viuzze e basse abitazioni adagiate su bianche basole.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ed ecco dopo un centinaio di metri apparire la chiesa sulla destra, la cui facciata si staglia su un piccolissimo slargo punteggiato da panchine in ferro battuto. Si tratta di un tempio costruito a partire dal 1547 su un sito duecentesco, creato dai maestri dalmati Giovanni da Curzola e Francesco e Giovanni da Sebenico.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La Matrice, realizzata in conci levigati di pietra dura calcarea, si presenta con un delicato color crema che brilla alla luce del sole. Il prospetto principale dallo slancio verticale è caratterizzato da un rosone in stile romanico e da un architrave sormontato da un timpano triangolare che domina l’ordine inferiore. Su questo fanno capolino docili e grotteschi nani che fungono da telamoni del portale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Costeggiando invece il lato settentrionale dell’edificio che affaccia su via Vittorio Veneto, salta subito all’occhio il secondo portone, detto “dei Leoni”. Qui le due fiere stilofore, dall’aspetto minaccioso, sorreggono le colonnine dell’architrave, sopra il quale si snodano mensole fregiate, capitelli e motivi vegetali.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Le altre facciate non sono però visibili, essendo addossate a vecchie abitazioni che le nascondono al nostro sguardo. Sulla chiesa si erge però, semplice ed elegante, un alto campanile che guarda il mare, costruito a più riprese fra il 1664 e il 1732 e contraddistinto su ogni lato da monofore affiancate da lunghe lesene.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Non ci resta a questo punto che entrare. Varcata la soglia veniamo immersi in un grande ambiente riccamente decorato. Due file di quattro colonne corinzie, con capitelli finemente scolpiti, si rincorrono dividendo la chiesa in tre navate, le quali sono sormontate da volte a crociera e archi a tutto sesto, in pieno stile rinascimentale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Al di sopra si elevano i pilastrini dei due matronei, distinti da una delicata decorazione vegetale e sorreggenti una trabeazione più semplice, la cui copertura è a spioventi in legno.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La navata centrale, illuminata dalla tenue luce filtrata dal rosone, è dominata dal presbiterio e termina con l’abside. Conserva al centro la cattedra vescovile e l’altare maggiore in marmo, attorno a cui si dispongono i seggi in legno del coro, su cui si stagliano le statue dorate di San Filippo Neri, San Nicola di Bari e San Giovanni.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Piccoli altari si aprono lungo le pareti laterali e a colpirci in particolare sono quelli presenti sulla sinistra. Il primo ospita un trittico, un cinquecentesco affresco murario di scuola dalmata, venuto alla luce dopo la rimozione dell’altare ligneo e purtroppo fortemente rovinato. La vivace rappresentazione narra l’assalto turco di una città costiera e l’intervento miracoloso e salvifico di un’icona della Vergine sua protettrice.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il secondo invece, l’“altare di Costantinopoli”, custodisce l’icona della Madonna di Costantinopoli in una rara raffigurazione: il seno nudo è in vista, mentre la madre è intenta ad allattare il bambino. Il volto della donna, dalle linee morbide, è scritto su una tavola dalle forti tinte in stile orientale, che vanno dall’oro al verdone.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Su questo lato, accanto all’organo usato durante le celebrazioni, trova rifugio una chicca “segreta”. Sul retro della settecentesca tela della Madonna della Neve si nasconde infatti un dipinto ancora più antico, attribuibile alla scuola leonardesca: un abbozzo di Maria col figlioletto che ricorda le opere del famoso maestro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ci spostiamo ora sulla parte destra, dominata centralmente dal Cappellone del Santissimo risalente al XVIII secolo caratterizzato da una cattedra marmorea e da una nicchia che accoglie l’Immacolata, statua di legno dipinto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E da questo punto, attraverso una porta alla destra dell’altare, accediamo alla parte più inedita della chiesa, quella che custodisce un sorprendente oratorio. Appena varcata la soglia veniamo così travolti da un tripudio di stucchi e scene sacre che interrompono il tenue azzurro delle pareti. A farla da padrone è sicuramente il settecentesco coro ligneo che circoscrive l’ambiente.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Andiamo ora a visitare la cripta dedicata al Santo Legno della Croce, che raggiungiamo per mezzo di una scala. Il suggestivo ambiente, dall’austera semplicità, è a pianta rettangolare ed è anch’esso diviso in tre navate, con volte a crociera, archi a tutto sesto e ricchi capitelli.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Una lapide funeraria del 1150 è affissa sulla parete destra: ricorda la fine di Agosmundo, presule della Repubblica marinara di Pisa fatto prigioniero durante una scorreria saracena, poi liberato ma morto durante il viaggio di ritorno e sepolto a Mola. Il sotterraneo infatti, prima di essere trasformato in pubblico oratorio, era adibito alla sepoltura di ecclesiastici e ricchi fedeli.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il particolare nome dell’ipogeo è legato alle reliquie che furono donate nel 1713 alla Matrice dal monastero di San Silvestro in Nonantola di Modena: si tratta di due frammenti lignei della croce di Gesù oggi conservati nel Monastero di Santa Chiara.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L’ultima tappa del nostro viaggio è un locale all’apparenza anonimo raggiungibile attraversando la sacrestia. Ora adibito a magazzino della Caritas, conserva i resti di una piccola e antica cappella con tanto di soffitto finemente affrescato, sui cui figurano putti e cartigli della passione di Cristo. L’ennesima testimonianza dell’antica storia di Mola di Bari.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica)
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita
Scritto da
Ilaria Palumbo
Ilaria Palumbo
Foto di
Antonio Caradonna
Antonio Caradonna