di Gaia Agnelli - foto Christian Lisco

Rutigliano: dove dal 1910 le suore producono le ostie, offrendo poi i "ritagli" ai bambini
RUTIGLIANO – Ogni domenica i bambini di Rutigliano si precipitano davanti a una grata che si apre come una finestra: ad attenderli c’è una suora pronta a consegnare a ognuno di loro, in cambio di una piccola offerta, un gustoso e salutare sacchetto di “ritagli” di ostie. È questo il rito che caratterizza da più di un secolo il “paese dei fischietti”, lì dove lavorano le Suore crocifisse adoratrici dell’eucarestia, tra le poche religiose nel barese a produrre ancora artigianalmente il “Corpo di Cristo”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Le sacre particole vengono infatti ormai realizzate generalmente da industrie ad hoc (gli ostifici), anche se in provincia di Bari ci sono due Ordini religiosi che continuano la tradizione di “sfornare” rotonde sfoglie di pane azzimo, da affidare poi a tutte le chiese vicine. Sono le Clarisse di Mola e, appunto, le predette Adoratrici, che operano sia a Conversano che all’interno di un antico monastero di Rutigliano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E tra le pareti del convento non si butta via nulla. I cosiddetti “ritagli” delle ostie, scartati durante la produzione, vengono infatti da sempre distribuiti ai piccoli rutiglianesi a mo’ di merenda, animando le vie del borgo antico, tra i sorrisi dei piccini e quelli dei genitori che rispolverano i ricordi della loro infanzia. (Vedi foto galleria)

Per raggiungere il monastero delle “Suore crocifisse” ci rechiamo nel centro storico di Rutigliano. Qua si apre la larga piazza Colamussi, su cui si stagliano le mura in pietra bianca del complesso religioso. Un cancello nero permette l’ingresso nell’atrio, in cui è presente la grata dove i bimbi bussano per ricevere le ostie (e che incontreremo più tardi).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Si passa poi nel cortile interno, nel quale troviamo ad accoglierci l’87enne madre superiora Maria Lucilla Mennuni, in carica dal 1999, alle prese con i fiori di cui si occupa ogni giorno. «Le origini di questo luogo risalgono al 500 – esordisce –, quando qui si trovavano le Clarisse francescane, suore di clausura. Il nostro Ordine, fondato a Napoli da Madre Maria Pia Notari nel 1885, si stabilì nel 1910. Oggi il luogo è abitato e curato da nove di noi».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Fiore all’occhiello del monastero è la settecentesca chiesa delle Suore Crocifisse Adoratrici, di aspetto barocco, che mantiene ancora le “gelosie”: eleganti grate bombate dietro le quali un tempo le monache prendevano parte alla messa pubblica senza essere viste in viso.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Passiamo quindi dagli stretti e suggestivi corridoi dove si posizionavano le suore e dalla stanza della Madre fondatrice, nella quale sono conservati il suo giaciglio e gli oggetti personali, per arrivare infine nel laboratorio delle ostie.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ci ritroviamo così in un ambiente che presenta tavoli in legno, dispense, sacchi di farina e dei macchinari con cui in quel momento è alle prese la 47enne suor Dalia. «Quello di produrre il “Pane” con le nostre mani – sottolinea la superiora –  è da sempre stato l’obiettivo dell’Ordine, che nasce proprio per adorare l’Eucarestia e non far mancare mai il “Corpo di Cristo”. Inizialmente ci occupavamo anche del vino, ma poi per una questione di spazi ci siamo dovute limitare solo alle particole».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La religiosa ci spiega i passi principali della produzione. Si parte dall’impasto, realizzato dalle “caldaie” nelle quali vengono semplicemente versate, attraverso dei dosatori, farina e acqua fresca. Il prodotto è poi colato su delle piastre che, chiudendosi per alcuni secondi, vanno a cuocere l’impasto, regalandogli la forma rotonda. Presse sulle quali sono incisi alcuni simboli religiosi, tra cui crocifissi e monogrammi che, “stampati” sulla sfoglia, le forniscono l’aspetto sacro.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


L’ostia creata è quella da cui verranno poi ricavate le singole particole. Prima però, impilati uno sull’altro, i grandi cerchi sono inseriti nell’umidificatore: una stanzetta termica dove rimangono circa sei ore, perdendo friabilità e assumendo morbidezza.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il prodotto viene infine passato attraverso dei “nastri”. Si tratta di macchinari nei quali si inserisce la sfoglia intatta che, scorrendo sotto un rullo, viene tagliata in cerchietti: le piccole ostie appunto. Il nastro che vediamo in funzione è quello per i pezzi più minuti, distribuiti ai fedeli, mentre un altro macchinario produce i più grandi riservati ai sacerdoti. «Un lavoro che fino a qualche anno fa facevamo minuziosamente a mano, aiutandoci con delle formine», sottolinea Lucilla.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A essere consegnate però sono solo le ostie venute meglio. Un altro strumento infatti, tramite un movimento sussultorio, scuote le particole facendo scivolare in basso quelle ritagliate male. Una selezione che però la superiora preferisce ancora fare “a occhio”, scegliendo le “perfette” utilizzando solo il suo sguardo esperto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Le “promosse” vengono quindi riposte in alcuni contenitori di plastica (nel laboratorio ne vediamo cinque, colmi fino all’orlo), per poi essere sistemate, pronte per la vendita, nelle bustine trasparenti dove risalta il nome dell’Ordine religioso.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma a lavorazione finita qualcosa rimane “in cucina”: tutta la sfoglia bucherellata dalla quale sono state ricavate le piccole ostie. Fogli che una volta spezzettati producono i cosiddetti “ritagli”: minuscoli frammenti bianchi che vengono, come detto, distribuiti ai bambini in cambio di un’offerta (oggi un euro).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ci spostiamo quindi nell’atrio di ingresso per assistere al “rito” della consegna dei ritagli. Qui, la grata predetta (un tempo utilizzata dalle monache di clausura per comunicare all’esterno), viene aperta per permettere a grandi e piccini di acquistare enormi buste piene zeppe di “snack”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ed ecco che subito sentiamo i passi svelti dei bambini che corrono a mettersi in fila all’ingresso. Tra i primi ad arrivare ci sono i fratellini Diego e Viola di 7 e 5 anni, accompagnati dal 30enne Francesco. È lui ad acquistare un sacchetto per i cuginetti. «Passando di qui rivivo i ricordi della mia infanzia – ci dice il giovane –. Mia madre preferiva che mangiassimo le ostie, più salutari e meno salate delle patatine. Sino a due anni fa si portavano le buste di pasta vuote della Divella che le suore poi riempivano di decine e decine di pezzi. Oggi però a causa della pandemia i contenitori li forniscono loro».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ad accompagnarlo c’è anche sua nonna Cecilia, di 79 anni. «Quando ero piccina e si pativa la fame del Dopoguerra, le particole erano una gioia per il nostro stomaco – rammenta –. Non c’erano buste di plastica e quindi le mettevamo nelle tasche dei cappotti. Se i genitori ci davano cinque lire riuscivamo a pagarle, ma la maggior parte delle volte non avevamo nulla e le religiose ce le regalavano».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma ai bambini di oggi le ostie piacciono? «In realtà sono più buone le patatine – confessa Diego -, ma mi diverte tanto frugare nella busta cercando i ritagli dalle forme più strane: alcuni mi ricordano le stelle, altri dei pianeti. E poi la cosa bella è che mamma mi permette di mangiarne quante ne voglio».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

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