di Daniela Calfapietro

Alte, fiabesche, nascoste e abbandonate: alla scoperta delle cento "torri" di Bisceglie
BISCEGLIE – Grazie alla loro altezza le famiglie di nobili e possidenti sorvegliavano il territorio circostante per difendersi dai nemici. Parliamo delle torri pugliesi, costruzioni “strategiche” sorte dal Medioevo sino all’Età borbonica e disseminate soprattutto nelle campagne del nord barese.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Se in passato ci siamo occupati di quelle situate tra
Giovinazzo, Terlizzi e Molfetta, oggi andremo a scoprire alcune che caratterizzano il territorio di Bisceglie. Qui se ne contano oltre cento, la stragrande maggioranza delle quali però completamente abbandonate a loro stesse. (Vedi foto galleria)

Partiamo da Bari percorrendo la statale 16, per poi uscire su via vecchia di Terlizzi. Procedendo verso il “paese dei fiori” e superato il Casale Zappino risalente circa all’anno Mille, ci imbattiamo nella nostra prima meta, la diroccata Torre di Zappino, così chiamata per la sua vicinanza al complesso predetto. Eretta con funzione di vigilanza militare tra IX e X secolo, con la sua porticina lignea e la grande monofora che si apre tra i due piani mantiene un fascino quasi fiabesco.

Ritorniamo sulla statale proseguendo verso nord. All’altezza dell’uscita di Bisceglie Sud è impossibile non notare sulla nostra destra la massiccia e ben restaurata Torre Longa, quasi addossata alla strada. A pianta circolare, è l’unico “cilindro” che incontriamo nel nostro percorso e si sviluppa su due livelli per un’altezza totale di una quindicina di metri. Risale all’XI secolo e un tempo faceva parte del Casale di Ensita, che fu distrutto dai Saraceni.

Entriamo adesso  nel centro storico di Bisceglie, dove si distingue per maestosità e imponenza la cosiddetta Torre Maestra del Castello Svevo-Angioino al quale è collegata attraverso un ponte levatoio. Edificata in pietra calcarea locale dal conte Pietro I il Normanno nel 1060, venne innalzata dagli svevi fino a raggiungere gli attuali 27 metri. Era destinata sia alla sorveglianza che al combattimento e la difesa, ma a denominarla “Maestra” furono i pescatori biscegliesi che la usavano come riferimento quando si trovavano troppo al largo della costa.

Affascinante è anche la prenormanna Torre di via Balestrieri, che sorse nell’VIII secolo per “sorvegliare” il mare, distante circa un chilometro. Il paramento murario è lavorato a bugnato e la porta presenta uno splendido arco romanico sormontato da un altro arco che ne ricalca l’apertura. Oggi si ritrova stretta tra costruzioni bassomedievali al punto da confondersi quasi tra di esse, ma l’altezza “tradisce” le sue origini.

Torniamo ora a esplorare il territorio agricolo. Percorriamo via Vecchia Corato e a sette chilometri da Bisceglie troviamo ciò che resta dello storico Casale di Sagina, distrutto nel XIII secolo. Qui è ancora in piedi l’imponente Torre di Tecla, di tre piani e 20 metri con un arco-campanile in cima. La struttura fu attestata e nomenclata nel VII secolo ma la sua edificazione è probabilmente tardoromana, precedente di cento o duecento anni.


Il suo nome si deve una patrizia convertitasi al cattolicesimo, Tecla de Fabiis, che in questo sito fece costruire tra VI e VII secolo una sepoltura per i santi Mauro, Sergio e Pantaleone, poi divenuti patroni di Bisceglie. I resti dei tre martiri vi rimasero fino al ritrovamento nel 1167 e al conseguente spostamento all’interno delle mura della città.

Ci avviciniamo alla torre. Sull’ingresso è posta un’epigrafe con un’iscrizione latina con la quale la torre "comunica" la sua funzione protettrice. Affacciandoci all’interno ci imbattiamo in un ambiente sostanzialmente abbandonato, con sassi ed erbacce sul pavimento e graffiti “romantici” lasciati su una parete e al lato della scala.

Lasciamo ora questo posto millenario e ripercorriamo la via per Corato, dalla quale scorgiamo la Torre di Pacciano, a pianta rettangolare e di altezza modesta: 6,5 metri per due piani. È costruita in pietrame sbozzato e addossata alla cinta muraria del Casale omonimo, edificato alla fine dell’VIII secolo, che include anche una preziosa chiesa preromanica. Tra il 1990 e il 1991 il complesso è stato oggetto di un restauro a cura del comune di Bisceglie in collaborazione con la Soprintendenza.

Poco distante è la quadrangolare Torre Gattamanza, del secolo XI o XII, parte “esploratoria” a due piani del casino dello stesso nome rimaneggiato tra il Seicento e il Settecento probabilmente dalla nobile famiglia Lepore. La costruzione è in blocchetti di pietra squadrata e ha due ingressi, uno dei quali condurrebbe all’interno se non fosse per il cumulo di erbacce e macerie che ci sbarra la strada.

La nostra prossima tappa è situata invece nella campagna dell’interno confinante con quella tranese. Si tratta di Torre Palombara, quadrangolare, con la struttura merlata e le feritoie a vista tipiche delle “sentinelle” del XV secolo. È inglobata in una grande masseria fortificata del 1815 che le conferisce l’aspetto di un castello romanticamente immerso tra gli ulivi che svetta al di sopra delle sue alte mura di cinta.

Il nostro viaggio termina al cospetto della bella Torre Olivieri, sita sul litorale tra Bisceglie e Trani. Chiamata anche Torre Lama per la vicinanza all’omonimo ponte in pietra naturale, fu progettata dai due ingegneri partenopei Benvenuto Tortelli e Giovan Tommaso Scala e terminata nel 1598.

Alta 20 metri, era parte della rete delle torri di avvistamento costiere del Regno di Napoli. Presenta una base quadrangolare e ogni lato ha tre caditoie, ovvero tre botole da cui era possibile lanciare proiettili, pietre o altre “armi” su eventuali assalitori. Tra le più interessanti sentinelle della terra di Bari, ha però il grave problema del suolo su cui fu costruita: una falesia di roccia calcarea stratificata severamente minacciata dall’erosione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

* con la collaborazione di Giuseppe Maldera, ingegnere ambientale


(Vedi galleria fotografica di Daniela Calfapietro e Giuseppe Maldera)


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