Crociati, pellegrini e dipinti miracolosi: è il complesso della Madonna dei Martiri di Molfetta
Letto: 5017 volte
lunedì 8 febbraio 2021
Letto: 5017 volte
di Federica Calabrese - foto Valentina Rosati
Ad oggi però solo l’ala comprendente chiesa e monastero è utilizzata per le celebrazioni ecclesiastiche e religiose, tra cui la popolare festa patronale di settembre che include una processione dei pescherecci, fuochi d’artificio e bande. Al contrario il suo “spedale” medievale, costruito per l’accoglienza di pellegrini e crociati, versa quasi in stato di abbandono.
Per andare alla scoperta di questo gioiello, ci dirigiamo all’estremità nord di Molfetta, in viale del Crociati, dove si trova un grande spiazzo fronte mare su cui si erge il complesso.
Davanti a noi si profila la candida facciata della chiesa dai tratti neoclassici scandita in due parti. Quella inferiore vede le statue di Santa Chiara e San Francesco costeggiare il portale ligneo sormontato da un frontone rettangolare. Quella superiore invece esibisce un insolito rosone ad archetti sorretti da esili colonnine, un timpano triangolare acromo e un pinnacolo a forma di croce.
A “coronare” la struttura c’è una torretta quadrangolare terminante con una loggia colonnata. Un tempo parte dello spedale ma più volte rimaneggiata nei secoli, oggi custodisce quattro campane di ferro.
Alla sinistra dell’ingresso della chiesa notiamo un’arcata in pietra con un bassorilievo della Madonna, quella che introduce all’ex cortile dei pellegrini. Con le sue pareti adornate da bassorilievi di stemmi vescovili, questo spazio funge adesso da parcheggio per auto e accesso al piccolo museo diocesano nel quale sono esposti paramenti sacri e manufatti votivi.
La data di fondazione del luogo di culto è incerta, ma pare che fu il normanno Ruggero il Guiscardo a ordinarne la realizzazione nel 1095. Del progetto facevano parte una cappella dedicata a Maria Santissima della Pietà e un ospizio per i crociati che andavano ad ampliare un preesistente monastero benedettino.
“Affidati” alla protezione della Vergine, gli spedali sorgevano a quel tempo lungo le grandi vie di pellegrinaggio ed erano deputati a dare un alloggio ai fedeli. Nei loro pressi c’erano spesso piccoli cimiteri dove erano inumati i pellegrini e i cavalieri che venivano a mancare durante la permanenza: così fu anche per il composito edificio molfettese, che proprio a questi sepolcri deve il titolo “dei Martiri”.
Nel 1485 i Turchi misero a ferro e fuoco la chiesa: solo un prezioso quadro bizantino raffigurante la Madonna col Bambino si salvò e da allora viene venerato dai molfettesi, che lo portano in processione per le vie cittadine l’8 settembre di ogni anno.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E non solo: il dipinto è anche festeggiato l’11 maggio, in ricordo del miracolo avvenuto nel 1560 quando la Vergine protesse la città da un terremoto che aveva devastato i paesi vicini. Da allora l’icona viene soprannominata du Tremelizze (“del tremolio”).
Naturalmente dopo l’incendio il complesso fu ristrutturato. A un primo importante restauro voluto dal vescovo Celadeno nel 1500 ne seguì un secondo nel 1828, all’indomani dell’affidamento della struttura ai frati minori. Questi lavori cancellarono il poco che era rimasto dell’impianto preromanico, già in larga parte perduto con gli interventi cinquecenteschi, sostituendolo con un’impronta neoclassica tuttora visibile.
Ma è arrivato ora il momento di entrare nel tempio religioso. L’interno si presenta a tre navate divise da due ordini di colonne corinzie: quella centrale è a tutto sesto, alta, maestosa, decorata a rosoni esagonali incassati e stucchi modulari. Al di sopra della porta d’ingresso, su due colonne, è posizionata la tribuna sulla quale poggia un imponente organo a canne.
Lungo le pareti laterali si posizionano cinque altari in marmo sui quali si trovano opere d’arte realizzate tra XIV e XVII secolo. Spostando lo sguardo a destra possiamo ammirare l’altare maggiore del XVIII secolo: policromo e decorato con lunghi candelabri dorati, racchiude come detto l’icona della Vergine portata ogni anno in processione.
Superato il monumento marmoreo, il grande arco a sesto acuto rappresenta il punto di raccordo tra la navata centrale e il maestoso cappellone della Madonna dei Martiri, con cupola in asse rivestita a chiancarelle. Banchi lignei con motivi ornamentali a forma di animale si distribuiscono lungo il perimetro semicircolare dell’ambiente.
A sinistra di questo spazio si apre l’antica cappella dell’Annunziata, dalla quale uno stretto e basso anfratto conduce a una riproduzione cinquecentesca del Santo Sepolcro. Qui il Cristo è adagiato su un bancone in pietra, con ancora sul corpo i segni della crocifissione.
Attraverso il chiostro interno al cortile accediamo finalmente alla parte più antica del complesso: lo Spedale dei Templari, edificato come detto tra XI e XII secolo. Originariamente era molto più esteso di quanto appaia oggi: della sua struttura è infatti rimasta intatta (e visitabile) solo l’area Nord, un ambiente lungo “appena” 16 metri e largo 11.
Qui su due file di possenti pilastri poggiano alti archi in pietra che reggono le volte a botte realizzate con conci locali, dividendo la sala in tre corridoi. Lungo le pareti si aprono delle piccole nicchie che probabilmente servivano per deporre le suppellettili dei pellegrini, mentre alcune sporgenze su delle colonne testimoniano la presenza di fiaccole che dovevano illuminare lo spazio.
Percorrendo il corridoio centrale, formato da chianche scure e regolari, qua e là riusciamo a scorgere tracce di ambienti sotterranei coperti con lastre di vetro. Nella nostra perlustrazione scopriamo anche anfratti bui e incustoditi dove icone della Madonna e lucernari in terracotta convivono con cavi elettrici, travi di legno e stracci abbandonati.
A stento visibile appare poi l’apertura di una cisterna antica, oggi vuota, usata per raccogliere l’acqua potabile da distribuire agli ospiti. E con quest’ultima testimonianza della vita passata dello storico edificio lasciamo quindi la Madonna dei Martiri, permettendole di tornare al silenzio quasi mistico dei suoi spazi millenari.
(Vedi galleria fotografica)
© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita