Conversano. Masserie, lame e grotte: sono i tesori della suggestiva Gravina di Monsignore
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mercoledì 13 gennaio 2021
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di Giancarlo Liuzzi - foto Valentina Rosati, Antonio Caradonna
Un luogo abitato sin dai tempi dell’Età del Bronzo che, grazie alla sua storia secolare e agli spettacolari scenari, è diventato nel 2006 sito protetto, entrando così a far parte delle riserve naturali pugliesi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Raggiungerla è semplice: da Cozze basta imboccare la provinciale 50 per Conversano. Dopo circa tre chilometri bisogna svoltare a destra in una strada di campagna: il viottolo conduce così alle spalle della dimenticata masseria di Monsignore che svetta con la sua facciata in pietra.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La masseria di Monsignore – Dopo aver camminato su un vialetto ci ritroviamo così davanti all’alto portale di accesso alla tenuta. Quest’ultima si presenta come un edificio in pietra a due livelli scandito da alcuni volumetrie che sporgono rispetto al prospetto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Fu il vescovo Francesco Maria Sforza a volerla realizzare nei primi decenni del 600 come dimora rurale per i sacerdoti. Tutta la zona, dal XV secolo e per i successivi 500 anni, divenne infatti proprietà della curia vescovile di Conversano, da cui prese l’appellativo “ecclesiastico”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Inizialmente il fabbricato era costituito da una torre a più piani soppalcati con strutture in legno: fu successivamente ampliato e abbellito durante il 700 dai vescovi Filippo Meda e Michele Tarsia che vi aggiunsero la stalla, il trappeto, il forno e la chiesa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E con questo aspetto rimase nei secoli, anche quando nel 1867 la gestione passò prima al Demanio e poi al possidente Nicola Alberotanza di Mola. Gli ultimi padroni furono gli Accolti Gil di Conversano, sino al 1925 però, quando l’area fu frazionata fra tutti gli eredi: una divisione che portò man mano all’abbandono totale della masseria.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Cominciamo a visitare il luogo, notando come l’edificio principale sia circondato da fabbricati più piccoli. Tra queste l’antica chiesetta, ormai spoglia e pericolante, anche a causa del pesante manto di edera che ne sormonta il tetto. Accediamo tramite un arco in pietra anche alle vecchie stalle e poi al forno: locali che seppur affascinanti risultano ormai quasi completamente crollati.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Non ci resta ora che entrare nella struttura principale. La prima tappa è il piano terra, dove ci imbattiamo in una serie di stanzoni bui e decadenti. Uno di questi è interamente ricoperto da scritte di vandali e il nero delle pareti e dei pavimenti fa presumere che siano stati appiccati dei fuochi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Attraverso una scala arriviamo al primo livello. Qui, sul pianerottolo, notiamo i resti dorati dello stemma del vescovo Tarsia e poche righe di un motto latino di Sant’Ambrogio. Sono gli unici decori sopravvissuti, assieme a qualche disegno color ocra posto su una parete. Anche in questo ambiente le alte volte e i muri sono ormai scrostati e mostrano la pietra viva. Vi sono anche una serie di stanzette numerate: probabilmente le celle dei religiosi che qui venivano a ristorarsi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Saliamo ancora fino a raggiungere il terrazzo e da qui possiamo ammirare la campagna circostante, puntellata da coltivazioni, ulivi e macchia mediterranea che si espande sino al mare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La gravina di Monsignore - Lasciandoci alle spalle la masseria ci incamminiamo su un viottolo che costeggia un coloratissimo tappeto verde e rosso di insalata lollo. Alla fine del campo un sentiero si apre nel muretto a secco perimetrale per scendere nella Gravina di Monsignore.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La vallata, così come leggiamo nel bollettino Pugliagrotte del 1999 a cura di Antonio Fanizzi e Vincenzo Manghisi, è l’unica grande lama del territorio di Conversano e veicola le acque piovane fino al mare. È formata da due diversi rami profondi circa 20 metri che si uniscono in un unico canale e procedono per qualche centinaio di metri, fino a scomparire del tutto nella zona pianeggiante quasi a ridosso della costa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La sua origine è di tipo erosivo e si struttura su due fasce geologiche distinte: il calcare di Bari e la calcarenite di Gravina (meglio conosciuta come tufo calcareo), i cui blocchi sono visibili in alcuni punti dove la fitta vegetazione lascia spazio alla roccia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ci facciamo strada, seguendo il sentiero, tra lecci, biancospini, oleastri e lentischi, rimanendo estasiati dalla bellezza incontaminata e pura del luogo in cui è facile imbattersi in uccelli migratori, volpi, faine, donnole e tassi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La grotta di Monsignore – Procediamo sin quando sul versante opposto del “canyon” intravediamo una cavità: è l’ingresso principale della Grotta di Monsignore, detta anche di Sant’Antonio per un antico culto qui praticato. Nel 1808 infatti il canonico Luigi Tarsia parlò del ritrovamento in questo sito di alcuni massi lavorati appartenenti a qualche precedente costruzione, ipotizzando l’esistenza di un vecchio altare dedicato al santo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ci introduciamo nella caverna che ha uno sviluppo di circa 125 metri suddivisi in tre canali. Dopo pochi metri giungiamo in un spazio largo circa 30 metri, sul quale si apre una larga spaccatura della roccia che ha visibilmente portato al crollo di alcuni blocchi calcarei che giacciono sul pavimento.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Intorno la vista è tetra ma molto suggestiva. Possiamo ammirare le varie sfumature di colori della pietra, dal verde al viola e, alzando lo sguardo verso il soffitto, notiamo pendere una serie di stalattiti. Alcune sono state spezzate da qualche visitatore non rispettoso, altre invece tentano di “ricrearsi” goccia dopo goccia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Da qui in poi la grotta si divide in tre differenti percorsi. Seguiamo quello centrale, un tunnel buio che si allunga per circa 40 metri. Dopo pochi passi ci ritroviamo così in un ambiente più ampio, dominato al centro da una singolare colonna violacea che quasi tocca la stalattite sovrastante. Sulle pareti laterali invece le varie concrezioni rocciose hanno formato delle “rughe” che fanno sembrare la pietra quasi scolpita.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il corridoio si chiude infine con un’ultima “stanzetta”, lì dove sul soffitto riposa un pipistrello, piccolo abitante di questa millenaria e ammaliante dimora.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
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