Il silenzioso Sette Torri: ottocentesco borgo disperso nelle campagne del nord barese
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lunedì 7 maggio 2018
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di Nicola Imperiale
La contrada è adagiata su una dolce collina a 120 metri di altezza e della sua storia si sa ben poco. Secondo la Pro loco di Giovinazzo (comune del quale fa parte) fu fondata da benestanti in fuga dalle pestilenze. Oggi quegli edifici sono popolati soprattutto da famiglie di Molfetta che in alcuni periodi dell’anno cercano un rifugio per allontanarsi dalla "civiltà".Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La stessa denominazione potrebbe derivare dal dialetto molfettese, per il quale il termine "torre" indica una piccola rimessa di campagna: probabilmente a dare origine al borgo sono state proprio sette di queste case rurali.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Per raggiungerlo da Giovinazzo dobbiamo percorrere due strade provinciali. La prima è la 107, che dopo cinque chilometri incrocia la seconda, ossia la 55: imbocchiamo quest'ultima svoltando a destra. Guidiamo per un altro chilometro e mezzo prima di girare a sinistra in strada vicinale Palmento Cotugno, sulla quale troviamo una prima indicazione del borgo. Svoltiamo ancora nella prima arteria che si presenta sul lato sinistro, quella che tra pittoreschi muretti a secco ci porta finalmente a destinazione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Subito sulla destra notiamo una prima dimora in stile liberty che si affaccia su un prato poco curato: il bianco delle lesene e il verde scuro delle persiane spiccano sulle sue graziose pareti rosa. Proseguiamo per qualche altro metro e sullo stesso lato balza all'occhio una candida edicola votiva risalente al 1899. Sull'altro ciglio della strada invece da un'inferriata pende un cartello marrone con la scritta bianca "rallentare”: più che un avvertimento per gli automobilisti sembra un invito a dimenticare la frenesia urbana.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Giungiamo così nel cuore del borgo, una piazzetta dove non si vede anima viva e la quiete regna sovrana. Sulla destra si affaccia quello che secondo alcuni molfettesi conoscitori della zona dovrebbe essere il primo edificio a esser stato costruito: una masseria a due piani "protetta" da una fila di ulivi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Le sue mura hanno un colore rosso sfiancato dal passare del tempo e un campanile a vela a fornice fa capolino sull'ala destra, segnalando l’esistenza di un'annessa cappella. L'ingresso della chiesetta è sormontato da un architrave con un'iscrizione del 900, una finestrella rotonda e il simbolo nobiliare degli Uva, famiglia originaria di Molfetta.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Proseguiamo lungo l'unica lingua d'asfalto che solca la località, imbattendoci in alcune abitazioni più moderne. Ma della presenza umana non c'è nemmeno l'ombra: nè un bar, nè un ufficio postale, solo tanti gatti che ci osservano pigramente nei pressi dei cancelli.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Lasciamo alle nostre spalle un'altra nicchia religiosa e ci soffermiamo su altre due costruzioni posizionate sulla sinistra. La prima, con un ampio terrazzo dotato di fioriere, è contraddistinta da un cartello "vendesi" sull'ingresso e l'anno 1880 inciso sullo stipite. La seconda, munita di un grande cancello verde, è caratterizzata da una targa commemorativa risalente al 1773: un periodo che dunque precede la datazione ufficiale del villaggio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Un mistero che cerchiamo di chiarire con il proprietario dello stabile, il molfettese Giampiero Giovine, l'unica persona che incontriamo durante l'esplorazione. «Il borgo risale all'800 - afferma il signore -. Questa targa, trovata durante la ristrutturazione della villa, potrebbe essere stata portata al suo interno in un secondo momento».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L'uomo poi ci parla dell'estrema tranquillità circostante. «È normale non trovare nessuno - prosegue Giampiero -. Solo d'estate c'è un po' di movimento, proveniente quasi tutto dalla mia città. Tra l'altro negli ultimi decenni il luogo è stato di fatto abbandonato e le dimore sono vandalizzate e depredate, anche se ultimamente il “Sette Torri” è tornato a vivere. E pensare che qui un tempo venivano portati persino i bambini malati di pertosse, in modo da far respirare loro l'aria salubre».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Salutiamo il proprietario e continuiamo il cammino, scorgendo in lontananza la mole di un'antenna che stona in questo paesaggio dominato dalla natura silente. Dopo qualche metro la strada passa tra due magioni rosse poste una di fronte all'altra. Quella a destra, ben tenuta, ha un curioso torrino circolare svettante dal tetto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Quella a sinistra invece è la più grande costruzione del borgo: realizzata in stile liberty, reca la scritta "Regia domus" sulla cima della facciata ed è stata recentemente trasformata in un'elegante sala ricevimenti. Il suo giardino è disseminato di enormi pini, popolati da vivaci pappagalli e taccole.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Avanziamo ancora, notando come le case diventino sempre più rade, fin quando la strada finisce e si perde tra le campagne. Poco male, visto che tornando indietro avvistiamo all'orizzonte l'intera Giovinazzo: un panorama spettacolare, contemplato da un posto dove il tempo sembra essersi veramente fermato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
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Scritto da
Nicola Imperiale
Nicola Imperiale