di Katia Moro

SENZA RETE: LETTERE DAL MANICOMIO. Genere: Drammatico. Regia: Giovanni Gentile. Attori: Vito Liturri, Barbara Grilli, Maurizo Sarubbi. Durata: 70 minuti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
“Ero matta in mezzo ai matti. I matti erano matti nel profondo, alcuni molto intelligenti. Sono nate lì le mie più belle amicizie. I matti son simpatici, non così i dementi, che sono tutti fuori, nel mondo. I dementi li ho incontrati dopo, quando sono uscita”. La citazione della poetessa Alda Merini inserita nella sceneggiatura dell’opera teatrale “Senza rete: lettere dal manicomio” del regista e autore barese Giovanni Gentile, riassume il senso e il messaggio di quest’opera teatrale rappresentata domenica 27 dicembre al teatro Osservatorio di Bari.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Caustica e graffiante la rappresentazione affronta senza esclusione di colpi due difficili temi di denuncia sociale: l’assenza di una  valida politica culturale a Bari e il trattamento riservato ai malati mentali considerati reietti della società quando, secondo l'autore dell’opera, il vero germe della “follia” appare nelle figure di chi governa la popolazione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Qual è il legame tra due tematiche apparentemente così lontane? E’ rappresentato da un articolo di Barinedita (“Gigi D'Alessio in piazza, l’assessore: «Soddisfiamo la “gente”, non l’élite barese»”), da cui l’opera parte come spunto di riflessione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La rappresentazione teatrale ha infatti inizio con la lettura integrale dell’intervista a Silvio Maselli, assessore alle Culture e al Turismo del Comune di Bari, che difende la scelta di affidare il concerto di capodanno in piazza Libertà a Bari al re del genere neomelodico napoletano Gigi D’Alessio, investendo così notevoli risorse economiche per un unico (e discusso) evento e sottraendole al contrario alle tante piccole iniziative culturali locali. La piccata risposta dell’assessore (“questa è una città di pazzi dove invece di gioire per la grande opportunità di visibilità fornita si sa solo vomitare sterili critiche”) alla pioggia di critiche rivolte al suo indirizzo, rappresenta lo spunto sul tema della pazzia da cui l’opera teatrale prende avvio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


L’assessore interpretato da un parodistico Maurizio Sarubbi in mutande, quasi a voler sottolineare come le sue stesse parole lo mettano realmente a nudo, ha il volto coperto da una maschera, che rimanda al concetto pirandelliano per cui quelli che vengono diagnosticati come pazzi sono solo coloro che hanno il coraggio di liberarsi dalla finta maschera delle convenzioni sociali che ognuno di noi indossa. Il personaggio dell’assessore interpreta dunque il ruolo leggendo integralmente il testo dell’intervista e rispondendo alle domande di una divertita giornalista in tailleur interpretata da Barbara Grilli entrambi seduti su due semplici sedie in legno sullo sfondo di un palcoscenico vuoto e buio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La seconda parte dello spettacolo è interamente dedicata al tema della pazzia. Lo stesso scenario spoglio e minimale fa ora da sfondo a tre diversi momenti in cui si avvicendano uno dopo l’altro tre malati mentali (due donne interpretate da Barbara Grilli e un uomo interpretato da Maurizio Sarubbi) che rinchiusi in una casa di cura, vengono ricevuti da un silenzioso medico interpretato da Vito Liturri che comunica unicamente tramite i suoni della  sua tastiera. Su una sedia al centro della scena, uno alla volta, i tre personaggi raccontano le loro drammatiche vicende personali determinate dall’incomprensione e dalla ferocia della società in cui vivono costringendoci a chiederci chi è davvero il “pazzo” se quello che frequenta le case di cura o coloro che dormono tranquillamente a casa propria.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Intense e toccanti le interpretazioni degli attori che alternano racconti profondamente drammatici ad altri di tenera commozione. Lo spettacolo, che ha un ritmo incalzante continuamente sottolineato da un sottofondo musicale mai casuale, si chiude con la ricomparsa dell’assessore mascherato e in mutande che sventola la bandiera italiana mentre riecheggiano i versi del sesto canto del Purgatorio “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiero in gran tempesta, non donna di provincie ma bordello”. E in sottofondo risuonano le inconfondibili note della colonna sonora di Pinocchio.


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  • senza nome - A me sinceramente leggendo questo articolo mi vien da dire che la politica ci ha dirottato verso una malattia comune:il menefrechismo della nostra condizione d'essere forse matti incoscienti e restii ad una società se non imbecille.


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