di Katia Moro

Il Ghetto, lì dove mille immigrati vivono in baracche senza luce e acqua
FOGGIA - A pochi chilometri dal centro abitato di Rignano Garganico, nelle campagne tra Foggia e San Severo, tra polvere, degrado e abbandono assoluto si estende per circa un chilometro una baraccopoli messa su con oggetti di fortuna da immigrati africani che vivono privi di acqua potabile, luce elettrica e un tetto solido sulla testa da circa 10 anni a questa parte. È il Ghetto, come loro stessi hanno amaramente deciso di soprannominarlo. (Vedi foto galleria)

Lì, in località Torretta Antonacci vivono quasi mille immigrati, la maggior parte dei quali provenienti da Senegal, Nigeria e Mali. Il loro numero però si duplica nel periodo estivo, quando in quelle campagne inizia la raccolta dei pomodori e lo spietato reclutamento da parte del caporalato locale: la richiesta di forza lavoro aumenta e le cattive condizioni igieniche e il pessimo odore crescono a dismisura.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L’unico avamposto di umanità in questo desolato lembo di terra dimenticato da Dio e dagli uomini è costituito da Emergency. È a pochi metri dal Ghetto che l’associazione umanitaria ha deciso di intervenire piazzando i suoi due minivan (finanziati dalla Regione Puglia), che fungono da ambulatori medici mobili. Sono di color rosso fuoco con la bianca scritta “Emergency” che campeggia a caratteri cubitali e i loro nomi non lasciano dubbi sui principi a cui si ispirano: uno dei due si chiama infatti “Articolo 11”, l’altro “Articolo 32”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«L’articolo 11 della Costituzione italiana dichiara il ripudio della guerra e l’articolo 32 sancisce la tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo», ci ricorda la responsabile Loredana Carpentieri, 30enne mediatrice culturale. Non si potevano dunque scegliere nomi più adatti per i due minivan che dal 2013, costituiscono parte del “Programma Italia” mirato a portare assistenza medica sul territorio nazionale a chi non si può permettere o non può accedere alle cure del Sistema sanitario nazionale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Al Ghetto ci arriviamo attraverso una strada dissestata con enormi buche e priva di illuminazione. Ad accoglierci c’è un cumulo di immondizia non raccolta. Tutt’intorno domina incontrastata la campagna assolata popolata solo da vaste distese di grano arso e da qualche ulivo su cui pendono fili per stendere coperte e bucato. Siamo in pieno luglio, si sfiorano i 40 gradi e un vento caldo solleva la polvere che sembra ricoprire ogni cosa. Ci sembra di essere in Africa, ma gli abitanti del posto ci assicurano che nei loro Paesi di provenienza si vive in condizioni molto più civili.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il Ghetto è formato da centinaia di piccole baracche che, allestite con gli oggetti più disparati reperiti ovunque, si addossano l’una all’altra creando un dedalo di passaggi intricati. Qualcuno ha anche messo su qualcosa che ha la parvenza di un bar-ristorante e di bancarelle da mercatino. Qui i servizi igienici biologici non vengono quasi mai puliti e diffondono un odore insopportabile. C’è solo una piccola cisterna con acqua non più potabile perché la manutenzione è assente e il numero di docce (che i migranti si sono costruiti da soli) è assolutamente insufficiente rispetto al numero dei residenti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Un bimbo nonostante tutto gioca sereno elargendo sorrisi ma anche gli adulti all’arrivo delle due responsabili accorrono per un saluto, una stretta di mano, una richiesta di aiuto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Qui la gente non vuole essere fotografata perché ha il terrore che queste immagini possano arrivare tramite internet alle loro famiglie: non vogliono che si scopra in quali condizioni vivono. Ed è per questo motivo che non possono tornare indietro anche se vorrebbero: la vergogna di ammettere di essersi ridotti in questo modo dopo che i loro genitori hanno investito tutti i risparmi posseduti per consentire il “viaggio della speranza” sarebbe troppo forte e impossibile da sopportare».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A raccontarcelo è il logista di Emergency a Foggia: Serigne, senegalese di 51 anni, che vive in Italia da 22 anni e sa bene cosa vuol dire essere costretti a abbandonare la propria terra e la famiglia. Ma lui ce l’ha fatta: vive in maniera dignitosa, è soddisfatto del suo lavoro e ora vuole aiutare i suoi fratelli africani più sfortunati di lui. Rinunciamo dunque per rispetto a fotografare il ghetto e ci spostiamo poco oltre, nell’avamposto di Emergency. In questa piazzola di fronte ad altre situazioni abitative isolate dal resto del Ghetto (che abbiamo potuto riprendere) si appostano i due minivan.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

All’interno di ognuno vi sono un medico, un infermiere, un mediatore culturale e un volontario che dà una mano dove serve. Sono attivi il pomeriggio dalle ore 16 alle ore 21 in tutti i giorni feriali. Il giovedì pomeriggio vi è in più il corso di educazione sanitaria per prevenire lombalgie e dolori osteomuscolari pensato proprio per aiutare chi è costretto a rimanere piegato tutto il giorno per la raccolta dei pomodori.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«I migranti sanno che siamo qui e arrivano sempre numerosi – descrive Mariateresa, altra mediatrice culturale -. Quando arriva il loro turno entrano nel minivan e si siedono nella postazione del mediatore che registra le sue generalità, controlla la situazione giuridica e risponde alle domande. In genere si tratta di consulenze legali o di tipo logistico. Poi passano alla visita medica nello spazio riservato con lettino e strumenti e medicine di prima necessità».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«In genere mi trovo di fronte a casi come dolori muscolari o articolari, contratture ma anche ferite e infezioni – racconta il giovane medico napoletano Andrea Pomicino -. Se i casi sono più gravi ci preoccupiamo di accompagnarli in ospedale o di provvedere a una visita specialistica».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In quel momento arrivano delle ragazze africane accompagnate da uomini in auto. Non possiamo non notare la loro bellezza e qualcuno ci racconta che nel loro paese erano studentesse ma ora sono dedite solo alla prostituzione. Arrivano anche ragazzi che hanno terminato la loro lunga giornata di lavoro nei campi. Loro lavorano per 12 ore (dalle 8 alle 20), percependo solo 3,50 euro all’ora, anche se 1 euro per ogni ora lo devono conferire al cosiddetto “capo nero”, un africano assoldato dal caporale che stabilisce chi deve lavorare e che trasporta i lavoratori nei campi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Nel frattempo, nonostante il caldo e la fatica delle ore di lavoro, alcuni ragazzi del ghetto organizzano una partita di calcio tra polvere e rifiuti, qualcuno senza scarpe. Altri ancora fanno il tifo, molti sonnecchiano, qualcuno in circolo chiacchiera e ha voglia di raccontarci la sua storia. Ma il sole sta calando e a noi non resta che lasciare gli immigrati alla loro vita senza luce.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)


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