Lo scrittore Gianluca Galotta: «Affronto il disorientamento, geografico ed esistenziale»
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lunedì 20 dicembre 2021
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di Claudio Mezzapesa
Sei giornalista professionista e docente di Filosofia e Storia: perché hai deciso di scrivere un romanzo?
Alla luce dei miei studi filosofici ho naturalmente maggiore affinità con la saggistica (categoria letteraria per cui ho pubblicato altri quattro libri), ma un certo punto ho sentito l’esigenza di scrivere un romanzo: un’esperienza che per me si è rivelata catartica e illuminante. L’idea mi è venuta quando i miei nonni sono diventati molto anziani: ho così capito che avrei dovuto far qualcosa per tramandare e conservare la memoria del loro intenso vissuto, soprattutto quello relativo al periodo della Seconda guerra mondiale. In più volevo parlare del “disorientamento” che ha caratterizzato tutta la mia vita.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
È un libro quindi autobiografico?
Sì, ha uno sfondo autobiografico anche se è scritto in terza persona, poiché narra le vicissitudini del protagonista Gianni. La storia parte comunque da un’esperienza personale perché io, seppur nato e cresciuto a Bari, ho subito un certo spaesamento geografico ed esistenziale, visto che mia mamma e i miei nonni sono originari di Rivisondoli, un paesino dell’appennino abruzzese. Di fatto mi sono sempre un po’ scisso tra questi due luoghi: a Bari non mi sono mai sentito sufficientemente barese e in Abruzzo (dove andavo soprattutto durante le feste e in estate), non mi sentivo abbastanza abruzzese. Ho quindi cercato attraverso la scrittura di aprire un percorso utile a trovare dei punti di contatto tra questi posti che mi sono sempre sembrati così distanti tra di essi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E li hai trovati?
Il punto di incontro è stata la Seconda guerra mondiale vissuta dai miei nonni materni. Loro erano stati sfollati durante il conflitto a causa della difficile condizione dei paesi dell’Appenino abruzzese che si trovavano nei pressi della Gustav, la linea difensiva realizzata dai tedeschi per bloccare l’avanzata dal Sud Italia degli Alleati. Furono quindi trasferiti a Bari, città dalla quale erano scapparono dopo il bombardamento del 2 dicembre 1943 per dirigersi nella più tranquilla Fasano. Da quel momento iniziò la vita pugliese dei miei nonni, fatta di fave e cicorie e lettura della Gazzetta del Mezzogiorno. E così Abruzzo e Puglia hanno cominciato a “unirsi”. Tra l’altro il patrono di Rivisondoli è lo stesso di Bari: San Nicola.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Qual è la trama del libro?
Il tema che lo attraversa è come detto il disorientamento esistenziale del protagonista (che rappresenta me nel romanzo). Un giovane che proprio quando sembra essere riuscito a trovare una chiave di lettura della sua vita, assiste al rimescolamento della carte del suo destino. Disoccupato, riceve infatti un’offerta lavorativa a Roma: è costretto quindi a un ennesimo trasferimento, che lo disorienta. Ma anche nella Capitale riuscirà a trovare un contatto con i luoghi della sua infanzia: si innamora ad esempio di una giovane insegnante che bacia proprio in via Bari. Poi scopre che vicino la sua abitazione c’è via Rivisondoli e al Quirinale nota la bandiera con lo stemma della Puglia. Questa serie di intrecci faranno sì che Gianni, anche a Roma, potrà sentirsi a casa: in una grande città che non nega le singole identità, ma le comprende tutte.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Che stile ha il racconto e a chi ti sei ispirato?
Lo stile è semplice ma spesso introspettivo. E non voglio fare paragoni eccessivi, ma una mia fonte di ispirazione è stato il barese Gianrico Carofiglio, di cui ho letto molti libri.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Perché consigli di leggere il tuo libro?
Perché parla di una difficile situazione che tanti giovani oggi stanno affrontando. Nella società “liquida” e in continua evoluzione in cui viviamo è facile infatti essere costretti a spostarsi per lavoro e o per studio da una città all’altra, senza più rimanere “fissi” nel luogo di nascita. Il rischio è quello di perdere le proprie radici. Diventa quindi fondamentale trovare dei punti in comune tra i propri “posti del cuore” per dare un senso all’esistenza. In più il romanzo permette di riportare alla luce alcuni episodi della Seconda guerra mondiale relativi a Bari e all’Abruzzo: storie che rappresentano la memoria dei nostri nonni che non deve essere mai smarrita.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
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Scritto da
Claudio Mezzapesa
Claudio Mezzapesa