Il "Marco Boccia trio": «Il nostro jazz si ispira alle teorie sulla gravità terrestre»
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lunedì 20 aprile 2020
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di Marisa Dibenedetto
Partiamo dalle origini: quando hai cominciato a suonare?
Da ragazzino avevo un gruppo rock e suonavo il basso. Poi pian piano mi sono evoluto: ho iniziato a frequentare il Conservatorio e mi sono diplomato in contrabbasso, passando dalla musica leggera a quella da camera. Sono entrato così a far parte di alcune orchestre. Anche se il jazz ha cominciato sempre più ad attrarre la mia attenzione, tanto da farmi “convertire” nel 2010, quando ho deciso di dedicarmi esclusivamente a questo genere.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E hai fondato il “Marco Boccia Trio”…
Sì, con altri due pugliesi, il 48enne Gianlivio Liberti alla batteria e il 32enne Martino Cardasco al pianoforte, ho dato via a questa band che ci ha condotto al primo album: “In the park”, del 2017.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Che tipo di jazz fate?
Alcuni critici hanno paragonato il mio stile a quello di Brad Meldhau. Io d’altro canto mi ispiro al jazz newyorkese, anche se in realtà mi risulta difficile racchiudere la nostra musica in una casella preordinata. Noi infatti cerchiamo il più possibile di staccarci da un genere riconoscibile, intraprendendo la via della personalizzazione.
Tu componi tutti i brani?
Sì, anche se appena scrivo lo spartito lo mostro a Gianlivio e Martino che a loro volta lo rielaborano. Tutti quanti ci mettono infatti del proprio: nel jazz è una connotazione abbastanza tipica, a differenza degli altri generi dove ci sono parametri più fissi, qui ci si affida all’interpretazione dei musicisti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Parliamo di Gravity.
È un album strumentale di 8 tracce. A darmi ispirazione sono state le teorie del scienziato italiano Marco Rovelli. Lui si occupa dello studio e dello sviluppo di una parte della fisica quantistica di Einstein: il “Quantum loop gravity”. Proprio da ciò deriva il nome di “gravità”, intesa come spinta che ci consente di restare in piedi, che trattiene i pianeti l’uno accanto all’altro impedendo loro di perdersi nell’Universo, legata al concetto di tempo che in buona sostanza non esiste per come lo concepiamo noi. Tutti i pezzi rappresentano una declinazione di gravità terrestre, ricordata con la forza delle note e con il titolo dei brani del disco.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il brano “Gravity”, dall’omonimo album del Marco Boccia Trio:
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Scritto da
Marisa Dibenedetto
Marisa Dibenedetto