di Irene Gianeselli

Nicola Imperiale: «Scrivere è il mio modo per parlare con me stesso»
BARI - «Scrivere è il mio modo per parlare con me stesso». Parole del 37enne scrittore e poeta barese Nicola Antonio Imperiale (nella foto), che ha intrapreso la strada della letteratura da poco, pubblicando nel novembre scorso il suo primo romanzo: "La coscienza del cuore". Lo abbiamo incontrato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Quando hai cominciato a scrivere e perché?
 
Ho iniziato quando ero bambino, le mie prime poesie le ho scritte all'età di otto anni, naturalmente erano orribili. Era il mio modo di esprimere le emozioni. Da piccolo ero timidissimo e introverso, guardavo il mondo e mi sentivo intimorito. L'unico modo che conoscevo per far sentire la mia "voce" era per iscritto. Solo così non avevo paura di essere giudicato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
Eppure chi legge in qualche modo poi deve giudicare.
 
Beh, da piccolo non avevo dei lettori. Questo è un problema che devo pormi solo ora, ma ora non sono più timido e introverso. Oggi scrivere è rimasta però la mia "valvola di sfogo". Nelle pagine di un libro posso comunque parlare dei miei sogni e desideri. È diventato un modo per parlare con me stesso, con il mio inconscio, più che con il lettore. Non mi considero uno scrittore per professione, solo una persona che ama scrivere.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
 
Qual è stato il tuo percorso in questi anni?
 
Dopo le prime poesie e racconti di gioventù, per tanto tempo non ho scritto quasi più nulla: a parte qualche rara occasione ho preferito dedicare il mio tempo alla lettura. Qualche anno fa ho iniziato a pubblicare i miei versi su un piccolo giornale di Gioia del Colle, a partecipare ai concorsi letterari e nel 2013 c'è stata la prima pubblicazione in formato e-book della mia raccolta poetica "Le nebbie dell'Io". Nel 2014 una mia poesia è stata pubblicata da una casa editrice e a novembre 2015 è arrivata la pubblicazione del romanzo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Quali sono i tuoi punti di riferimento letterari?
 
Non mi ispiro a un autore in particolare. Sicuramente Pirandello, Hesse, Wilde o i grandi poeti inglesi sono stati degli ottimi maestri, ma non ho un genere specifico di scrittura, perché credo che ognuno di noi scriva il "diario" della sua vita, in maniera personale e unica. Cerco di esprimermi in maniera efficace e immediata, non uso paroloni ma molta semplicità per esser compreso da tutti. L'unico riferimento è e sarà sempre la mia vita e le mie esperienze, che si riflettono nei miei scritti, anche quelli di fantasia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Che cosa racconti con “La coscienza del cuore”?

Di una giovane donna che prende consapevolezza dell'amore perduto e lotta quotidianamente contro la solitudine. Si parla di una vita come tante, non una di quelle da “film” ma di un'esistenza normale, nella quale tutti possono rispecchiarsi. Nei dubbi e nelle paure della protagonista ci sono quegli stessi timori e inquietudini che tutti noi affrontiamo tutti i giorni. Una vita normale ha in sé qualcosa di meraviglioso, non c'è bisogno di scalare montagne o affrontare draghi per essere coraggiosi. Basta alzarsi al mattino e decidere di cambiare la propria vita.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Perché il tuo è un romanzo epistolare e l’io narrante è una donna?

L’epistolare è la forma di scrittura che considero più intimistica e questo doveva essere un romanzo che doveva "toccare" sentimenti ed emozioni nascoste. Sul secondo punto: ho scritto questo racconto più volte, prima al maschile e solo in seguito al femminile, ma infine ho deciso di portarlo avanti così. E’ stato un bellissimo esperimento letterario, anche molto “terapeutico”, perché cercando di immaginare ciò a cui a pensava “l'altra persona”, ho compreso meglio lei e me stesso.


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