di Eloisa Diomede

 Bari, al Policlinico le diagnosticano un tumore per errore: «Mi hanno uccisa per un mese»
BARI - «Ho pensato di essere vicina alla fine, che la malattia non mi avrebbe dato scampo. E invece i medici si erano sbagliati: ho ancora da dare tanto alla vita e a me stessa». Sono le commosse parole della 48enne barese Alessandra (nome di fantasia), che per un intero mese ha creduto di essere in pericolo a causa di un cancro che le era stato diagnosticato al Policlinico di Bari. Ma la donna in realtà era in perfetta salute: dopo più attente indagini si è infatti scoperto che il suo tumore era benigno e non maligno come scritto sul referto. (Vedi foto galleria)

La storia è questa. Nel 2019 alla signora al Policlinico viene rimosso un melanoma, un tumore della pelle fortunatamente ancora superficiale e al primo stadio, dal quale può quindi considerarsi guarita. Fatto l’intervento si sottopone però a una Tac che evidenzia una lesione renale: una formazione della quale occorre indagare la natura.

Dal momento che è ancora molto piccola, i medici le consigliano di monitorarla ogni sei mesi, anche se alla fine si decide per l’asportazione. Cosa che avviene il 25 gennaio 2021. La lesione viene così soggetta a esame istologico, strumento diagnostico che studia i tessuti al microscopio per valutare se presentino anomalie.

E arriva il fatidico 23 febbraio, giorno in cui viene comunicato ad Alessandra il risultato del test. Ebbene, sul suo rene si trova una metastasi del melanoma, ovvero una “progressione” del tumore della pelle. Il fenomeno ha interessato la parte adiposa che circonda l’organo, che probabilmente sarà necessario rimuovere.

«Quando ebbi la notizia non ci volevo credere, era come se la cosa non mi riguardasse – confessa la signora -. poi è subentrata la paura di non farcela, di non essere in grado di affrontare questo male». Lei decide di non dire nulla alla madre e ai due figli con cui vive per non turbarli. «Fingevo che tutto fosse normale, quando andavo in ospedale a consultare i dottori trovavo mille scuse per uscire», continua.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Temendo la morte o nel caso “migliore” l’asportazione del rene seguita da mesi di immunoterapia oncologica, Alessandra contatta vari specialisti per avere pareri diversi sulla diagnosi. «In preda all’angoscia ho preso appuntamento con due luminari, uno di Napoli e uno dell’Istituto Europeo Oncologico di Milano – ci confida –. Ho inviato loro le Tac e le documentazioni, prenotando anche voli e alloggi per andare a incontrarli di persona».


Al Policlinico intanto si riunisce un team multidisciplinare con vari medici, perché qualcosa non torna: la lesione renale in teoria non avrebbe dovuto avere alcuna relazione col melanoma asportato, che era di primo stadio, superficiale, e di conseguenza non lasciava pensare a sviluppi metastatici. Senza contare che, come detto, la presunta metastasi veniva controllata ogni sei mesi ed era rimasta inalterata anziché avanzare ed espandersi.

È soprattutto la dottoressa Nacchiero, chirurgo plastico, a essere sospettosa. «I melanomi non fanno “brutte sorprese” – ci spiega –. Per provocare una metastasi doveva essere stato molto più grave di quanto avessimo diagnosticato».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


La specialista chiede quindi di sottoporre a revisione i vetrini dell’esame istologico del 2019 e del 2021: in uno tra i due deve esserci qualcosa che non va. Precisamente vuole accertare se nel secondo, il più recente, sia presente un particolare tipo di anticorpo monoclonale, il Sox10.


Il motivo? Questo marker è la “spia” inequivocabile di una metastasi: se il Sox10 non si è sviluppato, allora c’è solo un angiomiolipoma, un tumore benigno tipico del rene che anatomicamente mostra le stesse caratteristiche ottiche, rilevate cioè al microscopio, della metastasi.

Esiste quindi almeno una possibilità che si sia verificato un banale errore e che Alessandra non sia affatto in pericolo di vita. Una visita con l’oncologo volta a delineare l’approccio terapeutico al suo male viene comunque fissata per il 3 marzo, così come l’appuntamento con l’urologo per decidere sulla rimozione del rene.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La sera prima di questi fatidici incontri arriva però una telefonata. «Era la Nacchiero – riferisce con emozione la donna  -,  non poteva resistere nel darmi una grande notizia: da Anatomia Patologica le avevano comunicato che si, il mio era un semplice angiomiolipoma».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

È la svolta. Il giorno dopo pure da Urologia le annunciano che non c’è alcun tumore maligno. L’oncologo
consiglia per scrupolo una nuova revisione dei vetrini fuori città, così questi vengono spediti a Firenze tramite corriere. La conferma della diagnosi arriva anche dalla Toscana, il 26 marzo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Era la fine di un’odissea durata un mese, periodo in cui mi avevano letteralmente “uccisa” – riferisce la signora –. Mi sentivo come nuova ma allo stesso tempo avevo paura di crederci».


Tutto è bene quel che finisce bene quindi, nonostante un grande spavento evitabile con analisi più accurate. In questa storia infatti non si possono incolpare sostanze e macchinari datati come è capitato in passato , ma la mancanza di un piccolo “step” che avrebbe in tempi brevi cambiato completamente la diagnosi.

«L’anatomopatologo, pur non tenuto a fare ulteriori analisi da sé - conferma uno specialista di nostra conoscenza -  avrebbe potuto consigliare nella sua refertazione la ricerca dell’anticorpo Sox10 che avrebbe distinto l’innocuo angiomiolipoma da una pericolosa metastasi».

«L’importante comunque è che sia tutto finito – conclude Alessandra – anche se una parte di ansia continuerà, forse per sempre, ad accompagnare la mia vita».

(Vedi galleria fotografica)


© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita



Eloisa Diomede
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  • Panella Carmine - Non mettevi a fare un mestiere che non è il vostro. Ci sono nell'articolo molte approssimazioni ed inesattezze.
  • Leonardo Resta - Spett.le Redazione, l’articolo che è stato presentato dal vostro giornale sulla vicenda che ha coinvolto l’UOC di Anatomia Patologica Universitaria merita alcune precisazioni che vi invito a pubblicare integralmente secondo le norme vigenti. Innanzitutto esprimo rincrescimento e comprensione per la signora vittima del fatto che ha subito un disagio di cui mi scuso. E’ difficile far comprendere ai giornalisti le difficoltà insite nel lavoro dell’anatomo-patologo, soggetto a molte insidie, così come riconosciuto anche dalle leggi dello stato (cfr. ISS Linee Guida Maggio 2015). Nel caso in specie, la signora ha subito in passato l’asportazione di un melanoma superficiale stadio I. Tale lesione è considerata “a basso rischio” non a rischio 0: questo significa che non tutti i pazienti in queste condizioni siano al sicuro da recidive o metastasi. La signora viene sottoposta a rimozione di una lesione renale il 25 Gennaio e il 23 Febbraio viene formulata la diagnosi di metastasi di melanoma. A questo punto non un “luminare” esterno, ma la prassi di controllo interno mette il caso in revisione. I colleghi clinici già 2 giorni dopo la diagnosi sono avvisati di non considerare la diagnosi definitiva in quanto soggetta a rivalutazione interna. La rivalutazione, anche con l’esecuzione dell’indagine immunoistochimica per SOX10, non disponibile in sede istituzionale, consente la formulazione della diagnosi di angiolipoma che viene firmata il 9 Marzo, ovvero 9 giorni dopo e non 1 mese. E comunque la prima diagnosi era stata messa in rivalutazione già 2 giorni dopo la prima firma. La diagnosi è stata rivista non solo sulla base della reazione al SOX10, ma sulla valutazione globale del caso. Bisogna informare lo “specialista” avvicinato dal giornalista che il SOX10 che ci aiuta in molti casi dubbi di melanoma, risulta negativo nella maggior casi di melanoma a cellule fusate e nel nostro caso le cellule fusate del mielolipoma risultavano confondenti con un melanoma a cellule fusate. Mi pare inoltre di dover sottolineare il comportamento poco professionale dei colleghi di Firenze, i quali per la revisione del caso hanno chiesto l’acquisizione solo di un blocchetto paraffinato, da cui hanno ricavato preparati istologici che noi non conosciamo. Non si sono preoccupati di avere l’intero caso, con i vetrini preparati da noi. La visione, quindi, è stata parziale e incompleta. In conclusione, possiamo ribadire che la diagnosi fornita dalla nostra unità è corretta; che l’errore temporaneo è stato riconosciuto, tempestivamente segnalato e validamente corretto. Tengo a precisare che nonostante le carenze strumentali e umane più volte segnalate l’UOC di Anatomia Patologica Universitaria del Policlinico di Bari gode della stima e dell’apprezzamento della comunità scientifica e accademica nazionale e internazionale, come attestato più volte con atti che non sono tenuto a mostrare al vostro giornale.
    Grazie, Leonardo Resta Responsabile dell'UOC Anatomia Patologica Universitaria Policlinico di Bari


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