di Angela Pacucci

Un laboratorio artistico che si trova ai "margini" di Bari: è lo "Speciale Tarshito"
BARI – C’è una particolare zona di Bari di cui ci siamo già occupati: è quella che sorge all’ombra dell’Ikea, a Mungivacca. “Particolare” perché qui trovano posto piccole stazioni ferroviarie con tanto di “cimitero” dei treni, grandi industrie abbandonate, ex mitiche discoteche e caserme nascoste. Ma questo è anche il punto dal quale si diramano importanti e storiche strade rurali, creando un inedito contrasto tra campagna e archeologia industriale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Abbiamo scritto più di un articolo su quest’area ai “margini” di Bari, ma dobbiamo tornarci ancora una volta, per parlarvi di un laboratorio artistico che lontano dalla vita e dal traffico del centro città è nato proprio qui tre anni fa, creato in un ex capannone industriale. Si tratta dello “Speciale Tarshito”, in strada Torre di Mizzo, che prende il nome dal suo fondatore, il 65enne coratino Nicola Strippoli, in arte appunto Tarshito, pseudonimo che gli è stato assegnato dal mitico Osho, il mistico e maestro spirituale indiano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Ho lavorato sempre in centro – ci dice l’artista al telefono – ma tre anni fa ho deciso di “architettare” questo posto in un ambiente così urbano ma allo stesso tempo così rurale. C'è tanto spazio qui e mi sento ispirato da quest'aria che respiro». Di solito non ci occupiamo degli artisti affermati, ma in questo caso abbiamo deciso di fare un’eccezione, attratti da una “location” inusuale, siamo così andati a trovare Tarshito. (Vedi foto galleria)

Per raggiungere il laboratorio bisogna oltrepassare l’Ikea, passare davanti alla piccola stazione, attraversare il passaggio a livello che si trova di fronte alla caserma dell’Aeronautica, per poi immettersi in una stradina sulla quale si affacciano piccole case. Superate le abitazioni, prima di immergersi in campagna, sulla destra troviamo una grande struttura bianca con un tetto spiovente e un grande cancello grigio in ferro battuto con su scritto “Speciale Tarshito”. Siamo proprio al confine tra la parte industriale della zona (rappresentata da alte ciminiere in disuso) e quella rurale, marcata con l’inizio di un lungo e continuo muretto a secco. A regnare è il silenzio, interrotto solo dal rumore dei treni che passano da qui, visto che il laboratorio si trova proprio accanto ai binari.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ad aprirci il cancello (davanti al quale si trova un binario morto) è Maria, una giovane assistente del maestro che ci introduce in un cortile nel quale si stagliano numerose strutture bianche ciascune con due ordini di finestre. Tutt'intorno un verdissimo prato, ghiaia e cespugli, alberi d’ulivo e alte palme con accanto alti vasi di terracotta.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Entriamo in uno degli edifici dove incontriamo finalmente l’artista, avvolto in un mantello bianco. Un uomo alto, dai ricci capelli brizzolati e una folta barba grigia. Lui è attivo dal 1984 e si è fatto conoscere come pittore, scultore e architetto e organizza mostre un po’ in tutto il mondo. Attualmente insegna design presso l'Accademia di Belle Arti di Bari. Gli chiediamo subito del suo particolare nome d’arte. «Nel 1979 dopo la laurea, mi fu regalato un viaggio in India– ci risponde -. Qui incontrai un guru, un maestro spirituale di nome Osho che mi affascinò così tanto da spingermi a seguirlo. Fu lui ad assegnarmi il nome “Swami Deva Tarshito”, che significa "sete di conoscenza interiore". Da quel momento l’ho sempre usato per definirmi ed è così che tutti mi conoscono».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il richiamo al misticismo orientale è d’altronde ben visibile nelle sue opere e negli ambienti che l’artista ci mostra accompagnandoci all’interno del laboratorio. Sulle pareti, lasciate grezze, spiccano alcune tele sulle quali intravediamo disegni di animali incorniciati da decorazioni floreali e altre con disegni orientali alla cui base sono legate delle bandierine indiane. «Nelle mie opere ci sono vari richiami alle religioni – spiega Tarshito -. L'arte e l'ispirazione sono per me qualcosa che viene dal mistero, dalla trascendenza, dalla luce. Mi piace pensarmi come un operaio del divino».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Dopo aver visitato la sala meditazione attraversiamo nuovamente il cortile dove vediamo svolazzare sulle nostre teste delle bandierine coloratissime. «Sono tibetane – ci dice Tarshito - sopra sono stampati dei mantra, preghiere che con l'aiuto del vento vengono donate a tutto l'Universo».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Entriamo così nel salone espositivo: un’enorme sala con pareti completamente bianche e su cui grandi finestre permettono l'ingresso della luce che attraverso i vetri viene filtrata e si diffonde sulle opere e sul soffitto ligneo. Al centro sono presenti numerosi strumenti musicali tra cui un grande gong. A predominare sono i coloratissimi vasi: grandi e piccoli, realizzati con molteplici e diversi materiali, dalla carta alla ceramica. Alcuni, di considerevole dimensione, hanno su disegnati o installati forme di mani, pesci o ancora piccole campanelle.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Il vaso rappresenta un simbolo essenziale per la mia ricerca artistica – ci spiega Tarshito passeggiando tra le sue opere - accoglie e si riempie fino a traboccare. Un travaso concettuale ed emotivo che avviene nella relazione con la forma-materia dell'artigiano. L'artista è il vaso vuoto: la creativita è di natura divina, non è mia, ma si manifesta attraverso me riempiendo il mio vaso».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica di Gennaro Gargiulo)


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