di Redazione

Stiamo cedendo più dati personali di quanto crediamo?

Ogni volta che usiamo uno smartphone o visitiamo siti web, lasciamo dietro di noi una scia di informazioni. Così, crescono i timori. Sempre più persone sospettano di condividere inconsapevolmente una quantità eccessiva di dati e che ogni gesto, abitudine o interesse finisca in qualche database. Il punto è chiaro: forse ignoriamo davvero fino a che punto la nostra vita privata finisca nelle mani sbagliate. E forse è arrivato il momento di aprire gli occhi perché, una volta ceduti i dati, recuperarli è impossibile.
 

Sempre meno persone vogliono condividere i propri dati

Un numero crescente di utenti inizia a porsi domande serie su che fine facciano le proprie informazioni personali. Per anni abbiamo accettato tutto senza pensarci troppo: cookie, condizioni d’uso, geolocalizzazione. Intanto, i tentativi di phishing si moltiplicano ovunque. Arrivano messaggi che imitano comunicazioni di banche, corrieri o enti ufficiali. Ancora più preoccupante è che circa il 40% degli attacchi informatici viene oggi realizzato con strumenti di intelligenza artificiale, secondo un rapporto de Il Sole 24 Ore.

Anche nei piccoli gesti, la privacy è diventata una priorità. C’è chi ormai scrive su WhatsApp solo con messaggi criptati, chi imposta timer di autodistruzione per le conversazioni.

Questa nuova consapevolezza si riflette anche nel mondo dell’intrattenimento. Sempre più utenti scelgono di giocare su piattaforme come i casino online non AAMS. Non tanto per seguire una moda, quanto perché questi operatori, a differenza di quelli locali, spesso garantiscono pagamenti in criptovalute e protocolli di sicurezza più avanzati.

Lo stesso approccio si nota nel campo della salute. Molti preferiscono usare app che salvano i dati solo in locale, senza l’uso del cloud. Vogliono sapere dove finiscono le proprie informazioni mediche e mantenerne il controllo. È una forma di autodifesa digitale, dopo anni in cui la tecnologia ha preteso molto e spiegato poco.

Quando condividere troppo diventa un rischio

Spesso non ci soffermiamo a pensare a chi possa vedere le nostre informazioni o a come possano essere utilizzate. Ma anche una quantità minima di dati può causare gravi problemi. Con un nome, una data di nascita e un indirizzo email, un truffatore può aprire conti correnti, richiedere prestiti o effettuare acquisti a tuo nome.

Poi c’è l’aspetto psicologico. Esporsi troppo può scatenare commenti offensivi o molestie. Un profilo pubblico, con opinioni o foto accessibili a tutti, diventa un bersaglio facile per chi vuole attaccare. E in ambito professionale, vecchi post o battute fuori luogo possono riemergere e compromettere opportunità lavorative.

Come difendersi senza impazzire

Proteggersi online non richiede competenze informatiche avanzate: bastano un po’ di attenzione e buone pratiche. Il primo passo è semplice: creare password forti e uniche per ogni account. Usare un gestore di password evita di doverle memorizzare tutte e riduce i rischi di violazione.

Nei social, vale la pena controllare le impostazioni di visibilità dei post e disattivare la geolocalizzazione automatica. Meno informazioni circolano, meglio è. Utilizzare browser con blocco dei tracker pubblicitari o estensioni che limitano la raccolta dei dati può fare un’enorme differenza, spesso senza nemmeno accorgersene.

Un’altra buona abitudine è mantenere aggiornati il telefono e il computer. Molte violazioni sfruttano le versioni obsolete dei software. E se ti connetti a reti pubbliche, una VPN ti protegge da occhi indiscreti. Leggere le informative sulla privacy non è entusiasmante, ma sapere chi riceve i tuoi dati ti permette di scegliere con maggiore consapevolezza.

Le leggi che stanno cambiando le regole del gioco

Negli ultimi anni le normative sulla protezione dei dati sono cambiate parecchio. In Europa, il GDPR ha imposto alle aziende di essere più trasparenti sull’uso delle informazioni e di ottenere un consenso esplicito dagli utenti. Sono nati anche nuovi ruoli interni, come i responsabili della protezione dei dati, figure che garantiscono l’osservanza delle regole. 

C’è ancora molta strada da fare, soprattutto con l’avanzare dell’intelligenza artificiale, che tratta i dati in modi sempre più complessi. Ma almeno oggi il dibattito è aperto, e chi usa internet comincia a capire che la privacy non è un lusso, ma una forma di libertà personale.



© RIPRODUZIONE RISERVATA Barinedita



Lascia un commento


Powered by Netboom
BARIREPORT s.a.s., Partita IVA 07355350724
Copyright BARIREPORT s.a.s. All rights reserved - Tutte le fotografie recanti il logo di Barinedita sono state commissionate da BARIREPORT s.a.s. che ne detiene i Diritti d'Autore e sono state prodotte nell'anno 2012 e seguenti (tranne che non vi sia uno specifico anno di scatto riportato)