di Francesco Sblendorio

Molestie, mobbing e stalking: avvengono anche in caserma. Ma il Codice militare non li prevede
BARI – Molestie sessuali, mobbing, stalking, bullismo: le cronache spesso ci raccontano di episodi di questo tipo, che a volte avvengono anche nelle caserme. Non tutti sanno però che il Codice Penale Militare (C.P.M.), il testo legislativo che regolamenta e punisce gli atti illeciti commessi nell’ambito delle forze e dei corpi armati, incredibilmente non prevede tali reati, che non possono così essere puniti in campo militare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Parliamo infatti di un codice entrato in vigore nel 1941 e la cui ultima modifica risale agli inizi degli anni 90: un insieme di norme che non sono state quindi al passo con i cambiamenti avvenuti nella società, oggi maggiormente sensibile su temi quali la violenza sulle donne e gli atti persecutori.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Abbiamo parlato di questo problema con l’avvocato barese Laura Lieggi, la quale, in questi mesi, è impegnata nella difesa di una soldatessa che sarebbe stata molestata sessualmente mentre era in servizio in una caserma del Nord Italia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Facciamo una premessa: come è strutturato il mondo delle Procure militari?

Prima c’era un Tribunale in ogni città, a Bari ad esempio l’ultima sede è stata quella di via San Francesco d’Assisi con affaccio su Piazza Massari (nella foto). Dal 2008 le Procure sono però state ridotte a tre: Verona per il Settentrione, Roma per il centro e Napoli per il Sud. Il caso di cui mi sto occupando è oggetto delle attenzioni della procura veneta.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ci vuole sintetizzare il caso su cui sta lavorando?

La mia assistita è una ragazza da poco arruolata che afferma di avere subìto «attenzioni non gradite» da un suo superiore. Come previsto dai regolamenti, ha immediatamente segnalato l’accaduto ai vertici gerarchici della sua caserma, i quali hanno provveduto ad avviare un procedimento giudiziario presso la Procura militare competente. Il problema è che, nel Codice Penale Militare, il reato di molestia sessuale nei confronti delle donne non è presente, pertanto il presunto colpevole se la caverebbe al massimo con una condanna per “offesa al decoro”. Che è cosa ben diversa dalla molestia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Perché non è previsto?

Semplice, perché alle donne è stata data la possibilità di indossare una divisa solo nel 1999, mentre il CPM è aggiornato agli inizi degli anni 90, quando appunto in caserma prestavano servizio solo uomini. Per questo, nel corso della prima udienza preliminare sul caso, abbiamo chiesto che gli atti del processo siano trasferiti al Tribunale ordinario. Ora attendiamo una risposta, ma è anche possibile che il Tribunale neghi il passaggio di consegne. In quel caso dovremo ricorrere alla Corte di Appello militare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


La giovane a chi ha denunciato l’accaduto?

Come detto ai suoi superiori. C’è da dire che nel Codice non è prevista la possibilità di sporgere querela. L’articolo 748 obbliga semplicemente i componenti delle forze armate a “riferire” ai rispettivi superiori ciò che accade in caserma. Questi ultimi possono decidere di avviare un procedimento giudiziario, oppure anche ritenere che non ci siano gli estremi per rivolgersi alla Procura militare. In quest’ultimo caso, la vittima può indirizzarsi verso ufficiali con un grado maggiore o anche sporgere denuncia “all’esterno”, ovvero a Carabinieri o Polizia.   

Ma perché non denunciare la molestia direttamente ai Carabinieri, così come avviene per i normali cittadini?

Questa strada è in realtà perseguibile già in partenza, parallelamente alla segnalazione al superiore gerarchico (che non può essere omessa, perché è un dovere dei soldati). Nella maggior parte dei casi, tuttavia, i componenti delle forze armate sono restii a sporgere querela all'esterno, un po' per forte senso del dovere e un po' per una questione psicologica. La caserma per loro è una sorta di seconda casa, gestita da persone dalla quale ci si aspetta di essere protetti e difesi. Ci si fida quindi del corpo a cui si appartiene. Il problema però, come detto, è che i Tribunali non hanno le “armi” per poter garantire giustizia, visto che sono costretti a emettere sentenze sulla base di un codice obsoleto che non prevede, ad esempio, i reati persecutori di mobbing, stalking o bullismo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma nel 2022 non è anacronistica la stessa esistenza di un codice penale ah hoc per soli militari?

In realtà l’Italia non è l’unico Paese, neppure nel quadro dell’Unione Europea, a conservare un codice penale specifico per chi porta la divisa. Finché l’ordinamento dello Stato prevede un ente, nello specifico il Ministero della Difesa, che sovrintende alle gerarchie delle forze armate, è sensato che queste abbiano una gestione separata e specifica anche per ciò che concerne il sistema penale e che esistano procure con competenze diverse rispetto a quelle ordinarie.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Quali sono allora i maggiori ostacoli che si pongono dinanzi alla possibilità di aggiornare questo Codice da parte dello Stato?

I Codici (non solo quello militare, ma anche quelli Civile e di Procedura Penale) sono “pilastri normativi” che storicamente è difficile modificare. Perciò si tende a non intaccarli, preferendo intervenire con circolari, regolamenti e altre fonti del diritto “secondarie”, a cui si aggiungono poi le varie sentenze emesse dai giudici che, in virtù del proprio potere giurisdizionale, e non legislativo, possono di volta in volta interpretare diversamente una norma, ma non modificarla. Detto questo però ora la riforma del CPM è divenuta necessaria e urgente: solo in questo modo infatti i militari potranno sentirsi realmente protetti all’interno della propria caserma.


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