di Giancarlo Liuzzi - foto Valentina Rosati

Bari: tra affreschi, tombe e templi bizantini rivede la luce l'antica chiesa di San Martino
BARI – Per decenni il suo ingresso serrato ha nascosto un mondo millenario fatto di affreschi, ipogei, tombe e templi bizantini. Ma oggi la Chiesa di San Martino, uno degli edifici religiosi più antichi di Bari Vecchia, sta tornando a vivere grazie a un importante restauro che potrebbe riportare alla luce anche tesori dimenticati. (Vedi foto galleria)

La cappella si trova su strada Bianchi Dottula, non lontano da largo Albicocca e di fronte al panificio Santa Rita. La sua costruzione risale al IX-X secolo ad opera della famiglia Dottula, la stessa che fece realizzare nella stessa epoca il monastero di San Nicolò dei Greci, i cui resti sono ancora visibili nell’atrio di un portone posto sulla stessa strada.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A partire dal 500 la chiesa venne completamente rifatta, sino a raggiungere l’attuale aspetto tra la fine del 600 e l’inizio del 700, periodo in cui fu inglobata nel coevo palazzo Bianchi-Dottula che ancora la custodisce. 

Gestita dai Benedettini dal 1860 fino agli inizi del 900, San Martino svolse le funzioni di cappella di quartiere fino agli inizi degli anni 60, quando fu definitivamente chiusa al pubblico inaugurando un lungo periodo di oblìo e abbandono. Ma nei primi anni 70, durante alcuni interventi di consolidamento della struttura, venne aperto un profondo varco che portò alla luce sorprendenti affreschi e i resti murari dell’antico tempio bizantino.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Quegli stessi tesori che noi siamo riusciti ad ammirare grazie a Gerardo Milillo. Si tratta dell’architetto a cui la famiglia Mitolo, discendente dei Dottula e attuale proprietaria della cappella, ha concesso la possibilità di restaurare la chiesa per poterla trasformare in un polo museale. Lavori che però attualmente sono fermi: si è infatti in attesa del parere della Sovrintendenza.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Siamo quindi davanti alla spoglia facciata di San Martino. L’unico indizio che la identifica è l’ingresso con timpano spezzato e due volute laterali che chiudono una malmessa porticina grigia con una croce.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Al di sopra, in una cornice vegetale con una protome umana, è presente un’iscrizione che ricorda la fine della ristrutturazione dell’edificio del 1716 a opera di Giordano Dottula. Alzando lo sguardo è anche possibile scorgere, nel loggiato che chiude il prospetto del palazzo, quello che un tempo era il campanile, lì  dove è ancora presente la piccola campana.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma è il momento di entrare. Lo facciamo tramite un un ingresso secondario, adiacente a quello principale. Superato un vano che presenta muri e pavimento interamente scrostati, accediamo alla chiesa vera e propria. Ai nostri occhi si mostra un ambiente alto e maestoso contraddistinto da un’unica navata divisa in tre volte a crociera e illuminata da un grande finestrone.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Lungo tutto il perimetro corre un decoro a fascia con forme circolari continue dai toni blu e ocra, interrotto da due graziosi matronei in legno. Dal centro del soffitto cade poi un raffinato candelabro settecentesco adornato da applicazioni in bronzo dorato a motivo floreale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Sulle pareti in pietra viva che hanno ormai perso quasi del tutto gli ornamenti originari, riusciamo però ad ammirare un colorato affresco della Panaghia Platytera (Madonna del segno) databile tra il XV e il XVII secolo e un elaborato stemma nobiliare comprendente i blasoni dei Bianchi Dottula sormontato da una corona.


L’abside è dominata da un settecentesco altare policromo in pietra e legno, sovrastato da una rifinita cornice con volti di angeli e forme vegetali. Al centro di essa una tela di scuola napoletana di fine 600 raffigura San Martino che dona il mantello a un povero. Alzando lo sguardo possiamo osservare, al di sopra dell’arco che chiude la zona absidale, un decoro su sfondo azzurro di due scherzosi putti tra fiori colorati. Ai piedi dell’altare invece risalta un lacerto di pavimento mosaicale a tessere colorate del XVI secolo, ma la cui composizione ricorda rivestimenti simili di epoca bizantina presenti a Santa Maria del Buonconsiglio e nel succorpo della Cattedrale di San Sabino.

Voltandoci sulla parete destra notiamo una seconda tela, probabilmente ottocentesca e di meno pregevole fattura rispetto a quella dedicata al santo, che raffigura la Madonna di Pompei inserita in una cornice di pietra bianca.

Ai due lati dell’altare si aprono poi due bassi arconi che danno su ambienti laterali coperti da volte a botte. In quello di destra c’è una botola che dà su un locale interrato di forma quadrata profondo circa tre metri. Si tratta di un ossario realizzato tra il 700 e l’800 e svuotato delle sue sepolture quando la chiesa fu abbandonata.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In quello di sinistra si trova una piccola stanzetta sulla cui parete è ancora presente il vecchio intonaco, assieme ad un’invocazione latina. Recenti lavori di scavo in questo punto hanno portato alla luce resti ben conservati riferibili all’originario tempio bizantino. Tra questi un affresco che mostra una tunica dai colori rosso e ocra e accanto una pergamena con una scritta di difficile interpretazione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma è il momento di accedere alla parte più importante della chiesa: la zona ipogea riscoperta durante le indagini degli anni 70, lì dove sono conservati interi affreschi bizantini assieme a un sepolcro con lastre decorate. Scendiamo quindi attraverso una scala in ferro a circa tre metri di profondità, per ritrovarci sul pavimento dell’edificio di culto del IX-X secolo.

Di fronte a noi ecco l’originario portale di accesso al tempio, oggi murato, con ai lati due grossi pilastri di cemento. E proprio di fianco a uno di questi, che ne ha coperto purtroppo una parte, ecco il sepolcro del sacerdote Smaragdo, uno dei primi rettori di San Martino.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La nicchia è interamente dipinta con colori accesi e incorniciata da due fasce rossastre con motivi geometrici romboidali che poggiano su due colonnette decorate.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

All’interno del piccolo arco ci sono tre figure. Al centro è rappresentato Cristo su di un trono, sulla sinistra la Vergine e sulla destra l’arcangelo Michele, riconoscibile dalle ali colorate dal bianco al bruno. Sul lato si trova una quarta figura: un vescovo anziano con tunica bianca con al suo fianco un’iscrizione greca.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Al di sotto dell’incavo sono invece presenti delle lastre in pietra. La prima raffigura una croce greca inscritta in una cornice circolare e decorata da una serie di bottoni forati. La seconda un’iscrizione in latino che ricorda il defunto Smaragdo e l’attività da lui svolta. Perché proprio qui il sacerdote insegnava canto ai bambini, in quella che fu una delle prime scholae cantorum della città: l’Oratorio di San Martino

Davanti a questo ultimo tesoro termina il nostro viaggio all’interno di uno dei più importanti siti archeologici e culturali di tutta Bari. Un luogo colpevolmente nascosto agli occhi dei baresi per lungo tempo, ma che, Soprintendenza permettendo, presto potrebbe finalmente rivelarsi alla città.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Il progetto prevede lo scavo di tutto il pavimento della chiesa - ci illustra l’architetto Milillo accompagnandoci all’uscita  - e chissà che non possano tornare alla luce altri resti dell’antico e prezioso luogo di culto bizantino».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

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Giancarlo Liuzzi
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  • Nicola Cutino - Complimenti e congratulazioni, Giancarlo & Company. Grazie a Barinedita per questo sevizio culturale alla Città ed oltre rivolto alla conoscenza delle bellezze storiche, artistiche e culturali del nostro territorio. Brava la fotografa. Conosco questo monumento e mi auguro che presto venga restituito, dopo opportuno restauro, alla cittadinanza ed ai turisti.


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