di Eva Signorile

Xylella, tutti contro lo Iamb: «Ma non c'è cura, gli ulivi vanno abbattuti»
BARI - Ci siamo occupati diverse volte della morìa di ulivi nel Salento. Abbiamo anche seguito a Lecce la manifestazione che nel giorno delle Palme ha mobilitato migliaia di cittadini, per raccogliere gli umori di quei pugliesi che si oppongono al piano proposto dalla Protezione Civile per arginare la xylella fastidiosa, il batterio killer ritenuto il primo indiziato per l'epidemia che sta sconvolgendo il paesaggio del Tacco d'Italia. La soluzione di abbattere gli alberi malati ed eradicare quelli a rischio non piace ai salentini, che tra gli altri puntano il dito contro lo Iamb, l’Istituto agronomico mediterraneo di Bari, che sta facendo ricerche sul batterio ed è promotore dell’abbattimento.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L'Istituto, con sede a Valenzano in provincia di Bari, è addirittura al centro di polemiche e sospetti perché nel 2010, quando non si parlava ancora di epidemia degli ulivi, ha ospitato un convegno proprio sulla xylella fastidiosa. Secondo le teorie di alcuni ambientalisti in quell’occasione il batterio sarebbe sfuggito ai controlli andando a colpire gli alberi pugliesi. Ad alimentare il clima di sospetto, il mese scorso sono arrivate le dichiarazioni del sostituto procuratore di Lecce, Valeria Elsa Mignone che ha affermato di non poter indagare sull'operato dello Iamb a causa dell' immunità che gli conferisce lo statuto. Abbiamo quindi intervistato Michele Digiaro e Franco Valentini, ricercatori dell'istituto. 

La prima cosa che sorprende, quando si arriva qui allo Iamb, è la presenza dell'ulivo: lo stemma della pianta circondata da 13 stelle (nella foto) è presente ovunque. Per non parlare dell'uliveto che si incontra a sinistra subito dopo l'ingresso. Sembra un paradosso rispetto alla proposta di abbattere ed eradicare tanti alberi in Puglia, pur di arginare l'epidemia di xylella fastidiosa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L'ulivo è il simbolo del nostro istituto, mentre le 13 stelle che lo circondano rappresentano i Paesi del Mediterraneo che hanno questo tipo di istituzione. Qui tutti noi amiamo la natura e amiamo l'ulivo: siamo agronomi perché teniamo all'agricoltura. Dobbiamo però comprendere che l'Unione europea ci chiede di eliminare la xylella fastidiosa perché non vuole assolutamente che finisca col diffondersi negli altri Paesi. Quindi, indipendentemente dal fatto che questo batterio sia responsabile del 100% del disseccamento rapido degli ulivi, o solo al 70%, o persino al 50%, bisogna combatterlo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma ci sono esempi di piante che, pur essendo state pesantemente infettate, si sono poi riprese a seguito di cure specifiche, spesso neanche particolarmente complesse.

Noi non mettiamo in dubbio che certe cure e certe buone pratiche agronomiche abbiano avuto effetti positivi sulle piante, magari rivitalizzandole e stimolandole a reagire in qualche modo alla malattia, ma questo non toglie che il batterio resti comunque presente in quella pianta, che in tal modo diventa un pericoloso serbatoio di infezione, da cui gli insetti vettori, le “sputacchine”, possono poi diffondere ulteriormente la xylella. Quindi, il fatto che ci sia o meno un risanamento della pianta, all'UE interessa poco perché all'Italia chiede che si fermi la diffusione del batterio.Tra l'altro, rischiamo una procedura di infrazione se non mostriamo di attivarci per evitare il peggio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Quanto è reale il rischio di contaminazione al di fuori del Salento?

Il rischio è altissimo, soprattutto perché si continua a non fare nulla. Presto il caldo porterà gli insetti vettori allo stato adulto e questo favorirà la diffusione della malattia. Per questo si insiste sulla necessità di estirpare le piante infette di olivo, in particolar modo quelle localizzate nelle aree più sensibili e nelle zone focolaio, a partire da Oria. Si tratta di una scelta difficile, ma dobbiamo ricordare che al momento non esiste cura contro questo batterio. Pensiamo a un malato con il piede in cancrena: il medico deve amputargli il piede. Se si fa vincere dalla compassione, la malattia si estende e finisce col far morire il paziente. In questo momento, l'unica soluzione è tagliare, rinunciare ad alcune piante, nel tentativo di salvarne molte altre.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Però qui si propone di tagliare tantissimi ulivi, quando la presenza della xylella è risultata solo su una minima percentuale rispetto alle migliaia di piante analizzate e senza che sia stato accertato che davvero la xylella sia la causa della morìa.


Allora, se noi esaminiamo un campo con 100 piante infette e 100 sane, possiamo mettere la mano sul fuoco che 98 delle 100 infette presenteranno la xylella e forse troveremo il batterio solo su due o tre di quelle sane, che magari presentano la malattia ancora in modo asintomatico. Ora, se da un punto di vista scientifico, questo non costituisce una "prova provata", qualcosa vorrà pur dire: certamente dimostra un rapporto di causa-effetto tra xylella e manifestazione del disseccamento rapido dell'ulivo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E se si dimostrasse un giorno che le cure alternative funzionano contro la xylella e nel frattempo si saranno abbattuti gli ulivi?

E se si scoprisse invece che questi rimedi non funzionano? Non possiamo permetterci di tergiversare. Prendiamo ad esempio un'altra malattia, la sharka delle drupacee (mandorli, peschi, susini), che è causata da un virus considerato da quarantena. La normativa prevede che la pianta infetta venga estirpata entro 15 giorni. Se in un campo si riscontra il 10% di piante infette, l'intero campo viene estirpato.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma un pescheto o un mandorleto non possono essere paragonati a un ulivo, che ha tempi di produttività molto lunghi e che in qualche modo legano le vecchie generazioni alle nuove, creando un rapporto affettivo con la pianta che si trasmette di padre in figlio e che non si può ricostruire in tempi brevi. 

Capiamo bene l'alto valore, non solo economico, ma anche paesaggistico ed emotivo che ha l'ulivo, ma l'approccio verso una malattia da quarantena è diverso. Pensiamo a cosa è successo in passato per i polli colpiti dall'aviaria, o per il morbo della "mucca pazza": interi allevamenti di bovini e ovini abbattuti per la presenza al loro interno di qualche capo infetto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A volte si ha la sensazione che ci siano stati ritardi negli interventi che in qualche modo hanno portato all'emergenza.

Bisogna capire una cosa: quello che si è manifestato in Salento è il primo caso al mondo di attacco della xylella fastidiosa agli ulivi. Prima di comprenderlo, sono state valutate e poi scartate molte ipotesi e sono state fatte molte analisi. Tutto questo ha richiesto del tempo. Ci sono stati giorni in cui, i colleghi dell'Osservatorio fitosanitario hanno lavorato anche di sabato e di domenica. Alcune proposte di intervento sono quindi arrivate solo dopo che i ricercatori hanno potuto dare delle risposte. 

La Francia ha vietato l'importazione di piante dalla Puglia, con il benestare della Commissione Europea. Questo crea un precedente cui potrebbero fare seguito anche altri Paesi. I controlli comunque adesso ci sono. Perché non ci sono stati prima?

Dopo la segnalazione della provenienza del batterio dal Costa Rica si è posta in atto una rete di controlli che ha portato a scoprire la presenza del batterio anche in Emilia Romagna, in Olanda e in Francia. Certo, se ci fosse stato un sistema di controlli più efficace a livello comunitario sicuramente il problema xylella non lo avremmo avuto.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

C'è però chi accusa voi di aver diffuso il batterio della xylella a seguito dell'incontro del 2010.

Le subspecie del batterio utilizzate in quell'evento non appartengono alla subspecie pauca, che è quella presente in Salento. Inoltre, la xylella si diffonde solo attraverso dei vettori che non sono in grado di fare lunghi voli: se davvero provenisse da un nostro laboratorio, la prima zona ad essere contaminata sarebbe stata Valenzano, non la penisola salentina, che è lontana da qui.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Certo, le recenti dichiarazioni del magistrato Mignone, circa le speciali immunità di cui gode il vostro istituto non rassicurano sulla trasparenza del vostro operato

L'Istituto Agronomico del Mediterraneo è un organismo internazionale di cui fanno parte 13 Paesi, ognuno con una legislazione differente: l'immunità è necessaria a proteggere coloro che vi studiano e vi lavorano. Detto questo, il nostro statuto all'articolo 16 prevede che tutto il personale cooperi con le autorità italiane e con le forze dell'ordine per assicurare il rispetto dei regolamenti e per evitare qualunque abuso relativo ai privilegi e alle immunità concessi dallo stesso Protocollo. In ogni caso, abbiamo sempre garantito tutta la massima collaborazione alla magistratura, fornendo documentazione e dichiarazioni ben prima delle affermazioni del sostituto procuratore Mignone.


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Eva Signorile
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  • Zora N. - Ciò che davvero preoccupa circa la questione Iamb non è tanto il loro coinvolgimento nella diffusione del batterio "Xylella", cosa non accertata, ma il fatto che sia in Puglia uno dei due unici enti scientifici preposti a collaborare con il CNR al vaglia delle piante malate, e l'inefficacia dei loro laboratori, troppo piccoli per contenere il fenomeno! Ecco le cose di cui parlare!
  • Valentino Traversa - E' un'analisi carente in molti punti: 1 - bisogna menzionare che il rapporto scientifico dell'Unione Europea, prodotto dall'EFSA, ritiene assolutamente improbabile l'eradicazione del batterio, considerato che i tentativi in passato, sia in Brasile che a Taiwan, hanno fallito. 2 - la ragione di questo fallimento è l'alta quantità di specie potenzialmente ospiti della Xylella, tra cui, per esempio, comprendiamo, oltre all'olivo anche il mirto, lo sparto e l'umile vica: è pressoché impossibile controllare la presenza del batterio anche in queste piante. 3 - è fatto giustamente divieto di utilizzare insetticidi, erbicidi e tantomeno lavorazioni del suolo e trinciatura della vegetazione in tutte le aree protette, tra le quali, ovvimente, sono comprese le aree a bosco e macchia perimetrate nel nuovo piano paesaggistico - PPTR - che a sua volta si richiama al codice dei beni culturali e del paesaggio: come mai potrebbe essere possibile quindi eliminare tutti i possibili serbatoi della Xylella, che comprendono olivastri, mirti, sparto ed altre piante? 4 - nell'articolo si fa per l'appunto riferimento alla "fascia cuscinetto", in cui intervenire con estirpazione delle piante infette, così come indicato dalla Comunità europea, ma finora le estirpazioni sono avvenute in un'altra fascia, a sud di quella cuscinetto, quella detta di "eradicazione", che non è invece un'indicazione della Comunità Europea, ma un'iniziativa indipendente del piano Silletti 5 - la "fascia di eradicazione del batterio", larga 20-30 km [e non 15 come scritto sul piano Silletti, che ha quindi gli elabotrati di mappa in contrasto con quanto scritto, per cui sarebbe pure da invalidare, legalmente parlando], non comprende tutto il Salento, ma lascia al di fuori la gran parte dei focolai più attivi. In questa parte del Salento non si interverrà con operazioni coattive, per cui il batterio e la sputacchina continueranno tranquillamente a prosperare. A questo punto, il superamento della fascia di eradicazione e della fascia cuscinetto, da parte di una cicalina-sputacchina, all'interno dell'abitacolo di uno degli infinitamente numerosi autoveicoli del periodo estivo è più che probabile, è certezza [come anche l'arrivo in Grecia sui traghetti]. Alla luce di quanto scritto, non bisognerebbe assolutamente perdere tempo, ed invece dedicarsi ad una ricerca forte, di correlazione ecologica tra la diffusione del batterio e le singole condizioni stazionali e, al contempo, la sperimentazione di tutti i diversi metodi di cura sui quali ci sono ampie pubblicazioni scientifiche nonché gli altri, empirici, che però appaiono dare buoni risultati. In questo invece, raviso una preoccupante inerzia.


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