di Eva Signorile

Bari città a rischio idrogeologico? «Solo le lame ci possono salvare»
BARI –Il 20 novembre scorso il ciclone Cleopatra colpisce la Sardegna: in 24 ore sulla regione si abbatte la quantità d’acqua che normalmente cade in sei mesi. Pesante il bilancio: 17 morti, tra cui quattro bambini. Evento eccezionale o responsabilità umana? Le indagini stanno portando alla luce una situazione di abusi ambientali e negligenze nella progettazione delle costruzioni, che si sono rivelate complici nel tragico esito dell’evento climatico. Ma qual è la situazione a Bari? Il nostro capoluogo sarebbe in grado di reggere eventi di questa portata? Facciamo il punto della situazione con Antonello Fiore, consigliere nazionale e vicepresidente della sezione pugliese della Sigea (Società italiana di geologia ambientale).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Abbiamo visto le pesanti conseguenze dell’alluvione in Sardegna, quali rischi corre il territorio barese? Possono esserci delle alluvioni anche nel capoluogo pugliese?

È già successo molte volte nella storia di Bari. L’ultima, che ha registrato anche dei morti, risale al 22 ottobre del 2005: quando persero la vita sei persone: cinque per il cedimento di un terrapieno tra Cassano e Bitetto, mentre una sesta vittima rimase travolta da una piena in Lama San Giorgio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Vi sono stati altri eventi così disastrosi sul nostro territorio?

Il più importante certamente è del 1926: un’alluvione che causò il crollo di molti edifici nel centro di Bari: i morti furono 19, cinquanta i feriti. Prima di allora però c’erano già stati altri eventi di questo tipo nel 1905 e nel 1915, per restare ai più “recenti”. E comunque anche nel 1827, nel 1833 e nel 1881 ci furono alluvioni, che non causarono però vittime perché Bari non si era ancora sviluppata e il territorio poteva permettere alle acque di arrivare al mare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In che modo?

Principalmente attraverso le lame e i recenti canali deviatori, più conosciuti come “canaloni”. Le lame sono la testimonianza di corsi d'acqua formatisi in remoti tempi geologici. Oggi, sono solchi del territorio, scavatisi in migliaia di anni, che fanno convogliare naturalmente le acque meteoriche, cioè di precipitazione, dalla Murgia fino al mare.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E oggi le lame sono ancora efficienti?

Solo in parte. Molte di esse, come la lama Picone nella sua zona di foce, sono completamente urbanizzate. Guardiamo il caso della scuola Marco Polo, costruita nel “paleo alveo” di Lama Picone, anche se a valle del canale deviatore. Ciò vuol dire che, finché il deviatore sarà in grado di reggere la portata delle acque, la scuola sarà al sicuro. Ma i deviatori sono stati progettati e costruiti in situazioni climatiche e urbanistiche completamente diverse da quelle attuali.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Come tutelare le lame?

Non solo bisognerebbe evitare che si costruisca al loro interno, ma si dovrebbe vietare anche che ci siano abusi agricoli: ad esempio ci sono porzioni di lame coltivate a vigneti. E poi bisognerebbe monitorarle costantemente per evitare l’accumulo di rifiuti o di vegetazione che potrebbe, in caso di piogge abbondanti, ostruire il deflusso dell’acqua e creare una barriera.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Parliamo ancora una volta di prevenzione quindi…

Sì. Dopo la catastrofica alluvione del 1926, si progettò la foresta di Mercadante a Cassano delle Murge, che è un'opera di forestazione per la difesa idraulica del territorio. La fonte di Lama Picone, che spesso è alla base degli allagamenti del quartiere Poggiofranco, è infatti proprio nei pressi di Cassano. Mercadante, tanto amata dai baresi che vi trascorrono tradizionalmente la Pasquetta, fu progettata con un preciso intento di difesa idrogeologica, affinché le acque potessero incontrare resistenza da parte degli alberi, per evitare il fenomeno "bomba d'acqua". Questo è un bell’esempio di prevenzione.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma dal punto di vista del consumo di suolo, come va nel nostro territorio?

Purtroppo non bene. Soprattutto per quanto riguarda la provincia, ci si sta muovendo in direzione opposta rispetto alle reali esigenze. Dobbiamo ricordare che le lame partono dalla Murgia e attraversano diversi comuni, prima di arrivare al mare: sarebbe opportuno che si operassero alcune scelte edilizie in “sistema” con tutti i comuni coinvolti dal passaggio di una lama. La cementificazione continua porta alla impermeabilizzazione del suolo: le acque meteoriche, quindi, non si infiltrano più nel sottosuolo, ma “ruscellano”. È un dato di fatto, ormai, che la natura delle precipitazioni è cambiata, assistiamo sempre più a fenomeni piovosi più brevi, ma più intensi: un suolo impermeabile non è più in grado di assorbire e questo provoca i disastri a cui assistiamo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il nostro territorio è in sintesi a rischio idrogeologico?

Il nostro territorio è “tutelato” dalla presenza di lame e di canali deviatori, che però sono stati costruiti in epoche in cui Bari era molto diversa da come la conosciamo oggi: il suo territorio era molto meno densamente abitato. A questo, si aggiunge il cambiamento delle precipitazioni di cui abbiamo già parlato. Si dovrebbe operare anche con scelte “tecniche” in grado di ridurre l’impatto di certi fenomeni, ma si procede lentamente in questa direzione. Perché, ad esempio, fra tanti centri commerciali che si sono aperti a Bari, solo quello di una nota casa svedese si è preoccupato di dotarsi di un parcheggio con rivestimento drenante?

Un esempio di situazione preoccupante?

Quella dell’area industriale di Molfetta. Lì è stato costruito in una zona dove viene ostacolato seriamente il deflusso di tutte le acque.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In conclusione?

Solo il comportamento dell'uomo può ridurre l'esposizione delle vite umane e delle opere agli eventi naturali catastrofici. Oggi non possiamo più parlare di fatalità e catastrofi impreviste e imprevedibili: dobbiamo pensare alla manutenzione del territorio. Dobbiamo renderci conto che alla cultura della previsione devono associarsi la cultura della prevenzione e quella dell’adattamento.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

* con la collaborazione di Mariangela Dicillo


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Eva Signorile
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  • cesare - sono pienamente daccordoe non vorei dire l'avevo dettose mi sarà data la possibilità


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