La storia di Pasquale Cascella, da portavoce di Napolitano a sindaco di Barletta
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venerdì 12 luglio 2013
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di Rachele Vaccaro
Diventare sindaco è stato sempre nei suoi piani?
Oltre a quello per la scrittura, ho sempre nutrito l'amore per la politica. Ad esser sinceri, il mio nome in politica è comparso ancor prima di diventare giornalista: già nel 1973 venivo candidato per il PC a Margherita di Savoia e due anni dopo a Barletta, anche se all'epoca ero poco più che un ragazzo che fungeva da “riempilista”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Però poi ha fatto il giornalista…perché ora questo “ritorno di fiamma”?
Avendo raggiunto il culmine della mia carriera professionale e istituzionale, ho potuto toccare con mano il divario che c'è tra la classe politica e il bisogno di partecipazione dei cittadini. C'è un'esigenza fortissima di riconoscibilità dei propri diritti e io non ho fatto altro che pensare a come avrei potuto mettere a frutto la mia esperienza per dare una mano al processo. Tornare alle origini è stata la chiave.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Come ha trovato la sua città, dopo anni di esperienza romana?
Mi hanno colpito alcuni atteggiamenti di personalizzazione esasperata delle polemiche, specialmente al termine della campagna elettorale, probabilmente per la mia attitudine nello spegnere le polemiche invece di accentuarle. Ho potuto constatare una certa indole a rincorrere le voci più che ad accertarle e constatare i fatti: mi aspettavo un rigetto sociale più forte nei confronti di queste tendenze. Tuttavia, ho trovato motivante soprattutto il bisogno di partecipazione dei cittadini.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Lei crede che un giornalista possa essere un buon politico?
Un giornalista è il migliore osservatore della realtà e dei bisogni della gente. Credo non sia un caso che sia io, sia Davide Carlucci (sindaco neoeletto di Acquaviva) sia Paola Natalicchio (sindaco neoeletto di Molfetta) siamo tre giornalisti professionisti. Tutti e tre proveniamo da esperienze di scrittura e formazioni diverse, ma tutti e tre siamo stati ai vertici della comunicazione e abbiamo poi deciso di metterci in gioco, sfruttando il fatto che il nostro era un giornalismo “particolare”, legato al sociale, all'ambiente giuridico e politico.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
A parte gli uffici stampa, di che tipo di giornalismo si è occupato?
Io sono nato come sindacalista e cresciuto come notista: prima notista sindacale, poi politico, infine istituzionale. Le mie mansioni si sono sempre concentrate sull'analisi dei fatti pura e oggettiva: è un giornalismo di nicchia, poco conosciuto e che oggi sta scomparendo. Scrivere una nota non significa solo trascrivere i fatti del giorno, bensì spiegarne le motivazioni, gli effetti, le modalità. Non è che un riflettere su un insieme di fatti, per trarne una visione globale il più completa possibile e aderente alla realtà. E non è forse questo il modo migliore per osservare le esigenze dei cittadini?
Qual è l'insegnamento più grande che ha tratto da tutti questi anni a fianco di Napolitano?
Oltre ad aver incontrato tante persone che mi hanno arricchito e insegnato il mestiere, posso dire di aver imparato una lezione essenziale: mai confondere comunicazione e marketing, in politica e non solo. La comunicazione deve essere vera, effettiva, trasparente. Se si ha la possibilità economica di usare strumenti di marketing all'interno del processo comunicativo, che ben venga. Ma le due sfere devono rimanere distinte. Un esempio? Durante la campagna elettorale, farmi apparire come “un turista da Roma” è stato marketing allo stato puro. Invece, ringraziare il mio avversario per aver dato risalto alla mia immagine è stata una strategia comunicativa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Lei si è candidato quando è scaduto il mandato di Napolitano. Ma poi il Presidente è stato rieletto…ha dei rimpianti?
No, andare avanti nel mio impegno a Barletta è stato un dovere morale. Non me la sarei mai sentita di candidarmi e poi abbandonare la nave per tornare a Roma. Ho preso un impegno e ho dei progetti importanti, quindi non mi sono tirato indietro. La mia priorità principe è quella di restituire unità ai barlettani, cominciando dalle infrastrutture e magari innescando in loro un senso di appartenenza. Se fossi andato via, non avrei avuto neanche il tempo di provarci.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Pochi giorni fa, dinanzi al comune di Barletta si è tenuta una manifestazione dai toni accesi, con alcuni cittadini che richiedevano l'assegnazione di una casa popolare. Come ha vissuto l’episodio?
Chi fa politica è consapevole della possibilità che nascano proteste, non si può contare sul gradimento dei cittadini su ogni decisione. Di tutta la vicenda, mi ha colpito la strumentalizzazione generale delle condizioni di disagio. I giornali hanno accentuato quella che è una guerra tra poveri, senza spiegare realmente la radice del fenomeno. I pensionati a cui il comune aveva assegnato le case popolari sono i soggetti più deboli della città. Vi è stata una sopraffazione nei confronti dei soggetti deboli inaudita di cui io, da sindaco della città ma prima ancora da cittadino, ho preso atto purtroppo con indignazione.
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Scritto da
Rachele Vaccaro
Rachele Vaccaro