Bari, il museo di Informatica del Campus: dove si ripercorre la storia dei computer
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martedì 6 febbraio 2024
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di Daniela Caiati - foto Rafael La Perna
Siamo dunque andati a visitare la mostra permanente allestita all’interno del dipartimento di Informatica e visitabile gratuitamente. (Vedi foto galleria)
Ad accoglierci è il professore Stefano Ferilli, responsabile scientifico del museo, che ci conduce in due ambienti dove, protetti da teche di vetro, sono accolti vari computer d’epoca. Si tratta di pezzi usati in passato dall’Università o donati in seguito da privati.
Il docente ci indica subito un calcolatore grigio di notevoli proporzioni. «È il Mainframe - ci illustra -: si tratta del primo computer della storia e risale agli anni 40. È grande quanto una stanza e supportava una notevole quantità di memoria e capacità di archiviazione. Questo modello è stato usato dal Campus sino agli anni 90 per elaborare l’anagrafica degli studenti e fare calcoli di tasse e carriere».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Negli anni 60 il computer assunse dimensioni più piccole, quanto un elettrodomestico, prendendo il nome di “minicomputer”. A differenza però delle lavatrici queste macchine venivano impiegate solo nelle aziende e nelle università, non in casa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
È di quegli anni l’uscita sul mercato di quello che molti definiscono il primo personal computer della storia: il Programma 101, un calcolatore “da tavolo” prodotto dall’Olivetti privo di schermo e dotato di una stampante a rotolo che riportava i risultati delle elaborazioni. Venne addirittura acquistato dalla Nasa per effettuare alcuni calcoli per il primo viaggio sulla Luna.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«La nostra Università nel 2019 ha conferito la laurea honoris causa in “Computer Science” a Natale Cappellaro, progettista capo area dell’Olivetti e a Gastone Garziera, uno dei quattro inventori del Programma 101», racconta orgoglioso il professore.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E arriviamo al 1971 quando l’italiano Federico Faggin ideò per l’Intel il microprocessore 4004: un dispositivo elettronico che aveva le dimensioni di un’unghia. Fu quello che i giovani programmatori californiani dell’Homebrew Computer Club (di cui faceva parte Steve Jobs) utilizzarono nel 1975 per costruire dei rudimentali pc da utilizzare in casa. Il loro esempio diede il via alla produzione industriale di “home computer”, destinati quindi non solo alle aziende ma anche e soprattutto alle famiglie.
Negli anni 80 ci fu quindi il boom dei dispositivi informatici “domestici”. «A farla da padrone furono i Commodore Pet: dispositivi con funzionalità grafiche avanzate per l’epoca - sottolinea Ferilli -. Il primo fu il Vic 20: un computer con schermo a colori venduto a 300 dollari. A questo seguì il più potente Commodore 64, utilizzato dai ragazzi per lo studio ma soprattutto per i videgiochi: fu il più venduto nella storia con oltre 20 milioni di pezzi».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Nel Museo è presente un “64” con tanto di periferiche quali joystick e nastri che servivano per caricare e salvare programmi: i “datassette”. Così come è ospitato un altro celebre home computer: l’Apple II, che registrava i dati su un supporto magnetico esterno (il “dischetto”).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Ci sono poi i pc dell’IBM, i cui processori e software potevano essere utilizzati anche su altri computer. «Come l’M24 Olivetti - chiarisce la nostra guida -. L’azienda italiana nel 1984 lanciò il primo pc “compatibile” al cento per cento nella storia dell’informatica: qualsiasi programma e file presente sull’IBM poteva girare anche sull’M24».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Concludiamo la nostra visita con quelle che sembrano delle valigie 24 ore, ma che in realtà sono i cosiddetti “trasportabili”: pesanti antesignani dei pc portatili che per funzionare dovevano essere attaccati a una presa di corrente, poiché privi di batteria. Ci fa sorridere il tastierino numerico, ossia la sezione della tastiera dedicata alle cifre che negli anni 90 veniva venduta separatamente.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Per ora siamo riusciti a raccogliere qui un centinaio di pezzi - sottolinea Ferilli prima di salutarci - ma il museo con il tempo si arricchirà notevolmente, visto che stiamo recuperando numerosi calcolatori presenti in deposito che serviranno a illustrare ancora meglio la grande storia dell’Informatica».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
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