Lapislazzuli, goethite e vurroite: nel Campus di Bari alla scoperta del Museo di Mineralogia
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lunedì 11 dicembre 2023
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di Daniela Caiati - foto Rafael La Perna
Nel polo universitario infatti, tra orti botanici, balene preistoriche, animali impagliati e insetti, si trova dal 1995 anche il Museo di Mineralogia, una galleria aperta al pubblico che comprende due raccolte: la “Alberto Pelloux” e la “Garavelli”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La prima (che conta 10mila campioni) è quella dedicata al mineralogista di Crema vissuto agli inizi del 900. Alla sua morte il figlio Riccardo mise in vendita la collezione e nel 1957 l’Università di Bari l’acquistò grazie a un finanziamento straordinario del ministero della Pubblica Istruzione. La seconda (circa 1100 campioni) è la raccolta privata dello studioso Carlo Lorenzo Garavelli (1929-1998), professore barese di mineralogia.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Siamo quindi andati a visitare il Museo, guidati da Alessandro Monno, ricercatore di Mineralogia e conservatore nel settore mineralogico-petrografico. (Vedi foto galleria)
«Il fiore all’occhiello della collezione - ci rivela l’esperto aprendo per noi una delle tante bacheche di vetro qui presenti - sono i 18 “olotipi”, ovvero i primi esemplari ritrovati di un dato minerale. L’Ima (International mineralogical association) li considera fondamentali per studiare e caratterizzare una specie».
Tra questi la "francoanellite" che prende il nome dal suo scopritore Franco Anelli, speleologo e professore di geografia dell’Università degli Studi di Bari. Si tratta di un fosfato molto raro, formato da microscopici cristalli di colore giallo chiaro che fu rinvenuto nelle Grotte di Castellana.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
E poi la “garavellite”, piccolo minerale ritrovato in depositi idrotermali di rame e ferro dal professor Garavelli. La “vurroite” invece, che deve la sua denominazione al professor Filippo Vurro, si è formata intorno alle fumarole del Gran Cratere della Fossa dell’isola di Vulcano.
Non sono olotipi, ma incantano per la loro forma e colore la gialla “calcite” proveniente dal Messico, la verde “malachite” che arriva dai Monti Urali e la “rodocrosite” che ha una lucentezza vitrea e fasce che vanno dal bianco al rosso. È considerata una pietra rara perché si trova in giacimenti molto piccoli, situati soprattutto in alcune zone dell’Argentina.
Caratterizzata da una iridescenza metallica, è poi la “goethite", costituita da idrossido di ferro e il cui nome rimanda al poeta tedesco Goethe. «Il grande scrittore era anche un appassionato di minerali - ci spiega Monno -. Scrisse anche dei saggi sull’origine dei colori naturali».
Sì, perché da molti minerali si producono colori. Si veda il "lapislazzuli", da cui si ricava l’intenso bleu oltremare ampiamente utilizzato sin dall’antichità. «È quello usato da Jan Vermeer per dipingere il turbante della ragazza nel famoso ritratto “La ragazza con l’orecchino di perla”», sottolinea il docente.
Cattura poi la nostra attenzione il giallo intenso dello “zolfo di Sicilia”, estratto per secoli dai giacimenti dell’isola italiana servendosi anche dell’aiuto dei “carusi”, operai che già in tenera età erano costretti al lavoro nelle miniere.
Infine ammiriamo i cristalli pallidi e delicati che compongono la “celestina”, dal latino caelum (“cielo”), perché il suo candore e il colore azzurro ricordano proprio la volta celeste.
(Vedi galleria fotografica)
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