di Mina Barcone

Il barese Leonardo Cruciano, mago degli effetti speciali: «Con Ridley Scott la sfida più ardua»
BARI – Vanta collaborazioni con importanti registi quali Ridley Scott, George Clooney, Paolo Sorrentino e Matteo Garrone, ha portato a casa due David di Donatello e numerosi riconoscimenti quali il “Premio Carlo Rambaldi” e nel 2019 è stato candidato ai Guild Award, gli “oscar” per gli effetti speciali. È il 46enne “effettista” barese Leonardo Cruciano (nella foto), “mago” nel campo dei trucchi scenici in ambito cinematografico.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Cresciuto tra le vie dei quartieri Carrassi e Picone, si è laureato all’Accademia di Belle Arti del capoluogo pugliese e dopo una lunga gavetta è approdato a Cinecittà, lì dove è iniziata la sua fortunata carriera. A Bari, tra l’altro, è stato istituito l’Apulia Film House, un museo che raccoglie alcune sue opere realizzate per diversi film di successo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

L’abbiamo incontrato, soprattutto per farci raccontare del come sia riuscito a diventare un “mago” del cinema.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Tutto parte dall’Accademia di Belle Arti di Bari…

Sì, anche perché in qualità di rappresentante degli studenti ebbi modo di viaggiare e girare per le varie scuole italiane. E all’Accademia di Bologna incontrai il mio mentore: il professor Maurizio Giuffredi, con il quale studiai Psicologia della percezione visiva e dell’arte. Una materia questa che si rivelò in seguito fondamentale per il mio percorso, per il modo di intendere gli effetti speciali.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Come è arrivato al cinema?

In realtà, come spesso accade nella vita, un po’ per caso. A Bari era nata da poco una casa di produzione (la “Morpheus”): feci domanda e fui preso. E così giovanissimo, negli anni 90, diventai responsabile del reparto di scenotecnica. Anche se all’epoca c’era ancora una mentalità troppo “mafiosa”: si eseguivano lavori e venivano pagati con ritardo o non venivano retribuiti proprio e decisi di andare via. Lasciai quindi il capoluogo pugliese, una città in quegli anni permeata di microcriminalità giovanile, caratterizzata da una realtà squallida. Cercai fortuna altrove e nel 2002, contando sull’aiuto di un amico attrezzista, riuscì a procurarmi un colloquio a Cinecittà.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

A Roma riuscì subito a trovare lavoro?

Ovviamente no. Ricominciai da zero e feci la classica gavetta. Il mio amico mi diede la possibilità di lavorare sul set di “Rome”, una serie dell’HBO, dove facevo il semplice manovale. Però erano anni di grande fermento, con numerose produzioni che venivano a girare in Italia e quindi pian piano riuscì a farmi conoscere. Mi assegnarono i primi lavori e così decisi di fare il grande salto fondando la “Leonardo Cruciano Workshop”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Di che cosa si occupava?

Di tutto. Dalla creazione dei salvagenti in “The Turist” (il lungometraggio con Angelina Jolie e Johnny Depp girato a Venezia), alla realizzazione di un dolce con l’aspetto di uovo alla coque in un film nel quale l’attrice era schifata dall’idea di dover mangiare un uovo. Ma era nelle pubblicità che potevo sbizzarrirmi maggiormente: vedi le creature preistoriche dello spot di Gardaland.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Qual è stato il suo primo lavoro importante?

Sicuramente la collaborazione con Matteo Garrone nel film fiabesco “Il Racconto dei Racconti” del 2015. C’erano una serie di creature da ideare e creare: una sfida che poi mi ha spianato la strada per le collaborazioni future. Dopo quest’avventura mi resi conto dell’importanza di formare una vera e propria squadra, senza ricorrere costantemente a botteghe e maestranze esterne. Nacque così “Makkinarium”, la prima fabbrica italiana di effetti speciali.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Grazie al “Racconto dei Racconti” ha ricevuto il David di Donatello. Qual è stato il “mostro” più difficile da realizzare?

C’è stato un grande lavoro dietro ogni singola creatura (molte delle quali si trovano oggi all’interno dell’Apulia Film House di Bari), ma sicuramente l’ideazione del “Drago Marino”, anche a causa delle dimensioni, è stato un confronto stimolante. Tanto per cominciare non avevo idea di che sembianze potesse avere e quindi ho cominciato a fare schizzi partendo da una lucertola. Bisognava inoltre progettare tutto il meccanismo che permettesse al grande “pupazzo” di potersi muovere per poi trasportarlo nel magico scenario delle Gole dell’Alcantara, a Taormina, dove si doveva girare la scena. Un ambiente abbastanza impervio da attraversare, un posto davvero inaccessibile: abbiamo dovuto smontare il drago in tre pezzi e impiegare tredici persone per trasportarlo. Poi, nel post-produzione, c’è stata l’integrazione dell’acqua e della sabbia, più una serie di “incastri” necessari per ottenere quella scena così poetica.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ha lavorato anche con il regista Ridley Scott.

Mi viene in mente la scena del film in “Tutti i soldi del mondo” con Ridley Scott che mi guardava e tutta la troupe concentrata a riprendere da diverse angolazioni questo taglio all’orecchio. Praticamente c’era un attore con un bisturi in mano che opera su Paul Getty: un’operazione ardua che necessitava di una precisione assurda. Il tutto avveniva in uno spazio ristrettissimo con un orecchio finto al quale erano collegati dei tubicini da dove usciva il sangue. Questa è stata una delle sfide più difficili, ma anche più belle, che ho affrontato nella mia carriera.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

E tra i tanti impegni c’è stata anche la collaborazione con la figlia del grande Carlo Rambaldi.

Sì, mi ha permesso di restaurare alcuni reperti originali del padre, chiusi in scatoloni da decenni, tra cui la mano di King Kong e il volto di E.T. Venni nominato unico restauratore di questo materiale, che poi fu utilizzato per una mostra permanente all’interno della Fondazione Rambaldi. In quell’occasione mi resi conto di come molti effetti meccanici, che pensavo provenissero dalla recente scuola americana, fossero in realtà stati utilizzati molto prima da Carlo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Pensa che la meccatronica negli effetti speciali possa un giorno essere soppiantata completamente dal digitale?

C’è stato un periodo in cui questo è avvenuto, pensiamo agli anni 90, quando si pensò che tutto si potesse risolvere solo in digitale. Ma per fortuna è stato fatto un passo indietro. Il digitale in un film fa perdere il “realismo”: mostra a tutti la “magia”, che invece è proprio quella che non va mai rivelata.


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