di Nicolò Devitofrancesco

Terlizzi: la storia di Gesmundo, il "professore partigiano" fucilato alle Fosse Ardeatine
TERLIZZI - «Io sono un sacerdote della verità, la mia esistenza è votata al suo servizio, sono impegnato a tutto fare, tutto osare, tutto soffrire per essa. Foss’io perseguitato e odiato per causa sua, dovessi pur morire per essa, che farei di straordinario? Non altro che il mio dovere assoluto». Sono le parole di Gioacchino Gesmundo, scritte in un documento ritrovato dopo la morte del “professore partigiano” di Terlizzi. (Vedi foto galleria)

Medaglia d’oro al valor militare, Gesmundo fu uno dei primi organizzatori e promotori della Resistenza, nonché figura di riferimento nel panorama intellettuale antifascista. La sua voglia di libertà fu però spezzata alle famigerate Fosse Ardeatine, lì dove fu ucciso assieme un altro terlizzese: il parroco don Pietro Pappagallo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Gioacchino nacque a Terlizzi nel 1908, in via Vittorio Veneto 45, come ricorda ancora oggi una targa commemorativa posta sull’edificio. Crebbe in una famiglia di umili condizioni e fu l’unico dei sei fratelli ad avere un’istruzione completa. Durante gli studi fu allievo di alcuni degli intellettuali italiani più affermati del tempo, tra cui il pedagogista bitontino Giovanni Modugno, suo docente all’Istituto Magistrale “Bianchi Dottula” di Bari, lo storico Guido De Ruggero, futuro ministro della Pubblica istruzione, e il filosofo Nicola Abbagnano.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Queste influenze fecero crescere in lui una profonda sensibilità verso la verità, che lo portarono a dedicare la sua vita all’insegnamento. Per questo motivo si trasferì a Roma nel 1928, dove studiò all’Istituto Superiore di Magistero. Lavorò in seguito prima a Formia, poi a Rieti e infine ottenne la cattedra di Storia e filosofia al liceo scientifico “Cavour” di Roma, dove fu impiegato per tutti gli anni 30 e 40.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Durante il Fascismo insegnò ai suoi alunni i valori della democrazia e della libertà, formando in loro uno spirito critico con cui approcciarsi al mondo che li circondava. Nonostante l’aperta avversità al Regime, l’affetto e la stima degli allievi nei suoi confronti fu tale che mai nessuno lo denunciò alle autorità. Al contrario, molti credettero in questi ideali e, all’occupazione di Roma da parte dei Nazisti nel 1943, si unirono alla Resistenza.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Tra questi Pietro Ingrao, futuro presidente della Camera, che fu alunno di Gioacchino a Formia. «Egli - disse Ingrao dopo la morte del suo mentore -, non era lì per un atto di routine o una formalità burocratica, ma per insegnarci quello che era indispensabile fare, così da costruire un domani diverso, per noi stessi e per gli altri. Questo suscitò in tutti un affetto e un rispetto, veramente profondi, verso di lui».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Dal canto suo durante l’occupazione Gesmundo si unì al Partito comunista clandestino, diventando capo locale del controspionaggio del PCI. La sua casa, in via Licia 76, si trasformò presto in covo partigiano e punto di ritrovo dei GAP (Gruppi di azione patriottica): piccole cellule segrete di resistenza a cui tenne corsi di formazione politica. Per un periodo la sua abitazione funse anche da redazione segreta dell’Unità.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Aldo Natoli, uno dei fondatori del futuro Manifesto, fu tra quelli che lavorò al giornale. «Quando ci trasferimmo da lui – disse – ci accorgemmo subito che il posto era pericoloso: c’era troppo via vai di persone. Decidemmo così di trasferirci. Due settimane dopo arrivarono le SS e presero Gesmundo».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il professore fu infatti arrestato il 29 gennaio 1944. Nella sua abitazione furono trovati tre sacchi contenenti chiodi a quattro punte, necessari per un’azione di sabotaggio a danno di autocarri tedeschi. Lo stesso giorno anche don Pappagallo, tradito da una spia fintasi un fuggiasco in cerca di aiuto, venne catturato. Il prete fu accusato di aver nascosto e fornito aiuto a disertori, partigiani, ebrei e soldati alleati.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Gesmundo fu così imprigionato per due mesi nelle carceri di via Tasso, tristemente famose per le indicibili torture cui erano sottoposti i detenuti politici. «Tutte le volte che ritornava in cella notavo in lui aumentati i segni delle torture e la fierezza del suo volto», ebbe a dire un suo compagno. La sua camicia insanguinata è tutt’ora conservata in quel penitenziario, oggi divenuto Museo Storico della Liberazione.

Per il professore e il prete l’epilogo si ebbe il 24 marzo 1944, quando furono fucilati assieme ad altri 335 uomini alle Fosse Ardeatine.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ma Terlizzi non si è mai dimenticata dei suoi eroi. Il “paese dei fiori” ha infatti intitolato a loro nome due istituti scolastici e due strade. In più nel 2013 è stata posta in largo La Ginestra la scultura in bronzo “Memoria e identità”, opera dell’artista Pietro De Scisciolo, raffigurante i due uomini nel momento del martirio. Il miglior modo per ricordare chi, per la verità e un futuro migliore, ha dato in cambio la propria vita.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

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